Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10313 del 13/05/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 10313 Anno 2014
Presidente: CARLEO GIOVANNI
Relatore: TRAVAGLINO GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso 16986-2010 proposto da:
PRIVITERA MICHELANGELO PRVMHL45C01C351Z, CAVALLARO
ALFIO CVLLFA66H23C351L, elettivamente domiciliati in
ROMA, PIAZZA DELLA BALDUINA 44, presso lo STUDIO
LEGALE BENEDETTI X. BENEDETTI, rappresentati e
difesi dall’avvocato DI BELLA DARIO GIUSEPPE MARIA
2014

giusta delega in calce;
– ricorrenti –

210

contro

CURATELA

FALLIMENTO

SRL

TAU

IN

LIQUIDAZIONE

00998380893, in persona del curatore Avv. ALESSANDRA

1

Data pubblicazione: 13/05/2014

LEGGIO, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BOEZIO
14, presso lo studio dell’avvocato LIBERTINI MARIO,
rappresentata e difesa dall’avvocato GIRLANDO
GIUSEPPE giusta delega a margine;
– controrícorrente

di CATANIA, depositata il 30/04/2009 R.G.N. 62/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 28/01/2014 dal Consigliere Dott. GIACOMO
TRAVAGLINO;
udito l’Avvocato DARIO GIUSEPPE MARIA DI BELLA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIOVANNI GIACALONE che ha concluso per
l’accoglimento del 4 ° motivo di ricorso assorbiti gli
altri.

2

avverso la sentenza n. 567/2009 della CORTE D’APPELLO

I FATTI
Alfio Cavallaro e Michelangelo Privitera, con atto notificato il
9 gennaio 2004, impugnarono la sentenza con la quale il
Tribunale di Catania:
– Aveva ritenuto non concluso alcun contratto tra il

liquidazione, e successivamente fallita;
– aveva rigettato la conseguente domanda di inadempimento
proposta dalla curatela della società;
aveva

affermato

l’esistenza

di

una

responsabilità

precontrattuale del Privitera, peraltro dichiarata non
risarcibile per carenza di prova del danno;
aveva dichiarato contrattualmente responsabile, ex art.
2932 c.c., Alfio Cavallaro, quale amministratore della
società,
condannandolo al pagamento della somma di E. 40.000.
Nel costituirsi, la curatela del fallimento propose appello
incidentale, chiedendo che, contrariamente a quanto deciso in
prime cure, venisse dichiarata la avvenuta conclusione del
contratto con il Privitera, con sua conseguente condanna al
risarcimento dei danni conseguenti all’inadempimento all’obbligo
di acquisto delle quote della TAU per un prezzo di circa 103
mila euro, ovvero in subordine al risarcimento dei danni da
responsabilità precontrattuale per un importo pari al Lire 100
milioni.
L’appello fu così deciso dalla Corte catanese:
3

Privitera e la s.r.l. Tau all’epoca dei fatti in

- Declaratoria di condanna del Privitera al pagamento della
somma di 51.645 euro in favore della curatela;
– Declaratoria di igetto della domanda nei confronti del
Cavallaro.
La sentenza della Corte territoriale è stata impugnata dai due

motivi di censura e illustrato da memoria.
Resiste il fallimento Tau con controricorso.
LE RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso è inammissibile.
Va preliminarmente esaminata la questione di rito sollevata dai
ricorrenti con la memoria illustrativa, che attiene al rapporto,
quoad tempus,

tra le decisioni di merito intervenute in epoca

antecedente al vigore della legge 69/2009 e la correzione di
errori materiali in esse contenute, intervenuta in epoca
successiva (nella specie, nel febbraio del 2010).
Come già osservato da questa Corte regolatrice (Cass. n. 7242
del 2011), la correzione

de qua

non incide sul regime

processuale applicabile al ricorso in relazione alla data di
deposito della sentenza, onde la necessità che lo stesso risulti
corredato dai quesiti di diritto di cui all’art. 366 bis del
codice di rito.
Con il primo motivo,

si denuncia violazione e falsa applicazione

degli artt. 1218, 2043, 1337 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3
c.p.c..
La censura è corredata dal seguente quesito di diritto:
4

appellanti principali con ricorso per cassazione sorretto da 4

Statuisca la Corte che 11 danno deve essere risarcito non già in
presenza di qualsiasi fatto lesivo, ma solo se il fatto lesivo
abbia cagionato in concreto un danno, ossia un pregiudizio
meritevole per l’ordinamento giuridico di reintegrazione.
Con il secondo motivo,

si denuncia violazione degli artt.

115 e

La censura è corredata dal seguente quesito di diritto:
Statuisca la Corte che l’omessa valutazione di un
implica la violazione dell’art. 115 c.p.c. e del

documento
dovere

di

giudicare secondo ciò che viene dalle parti del processo
allegato e provato.
Con il terzo motivo,

si denuncia violazione e falsa applicazione

degli artt. 1337, 1328 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3
c.p.c.
La censura è corredata dal seguente quesito di diritto:
Statuisca la Corte che il recesso dalle trattative
ritenersi giustificato qualora si

deve

verifichi il perimento del

bene oggetto del negozio.
Con il quarto motivo,

denuncia

si

violazione e falsa

applicazione di norme dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art.
360 nn. 3 e 4 c.p.c.
La censura è corredata dal seguente quesito di diritto:
Statuisca la Corte che il principio della corrispondenza tra il
chiesto e il pronunciato risulta violato anche nell’ipotesi in

cui il giudice ometta di pronunciarsi sull’eccezione di
insussistenza del danno.

5

116 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c..

Tutti i motivi del ricorso sono inammissibili, per patente
inammissibilità dei quesiti che ne concludono l’esposizione
quanto alle denunciate violazioni di legge, e per irredimibile
omissione della chiara indicazione del fatto controverso con
riferimento a lamentato vizio motivazionale (motivo sub 2, anche

censura).
Questo giudice di legittimità ha già avuto più volte modo di
affermare che il quesito di diritto deve essere formulato, ai
sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., in termini tali da
costituire una sintesi logico-giuridica unitaria della
questione, con conseguente inammissibilità del motivo di ricorso
tanto se sorretto da un quesito la cui formulazione sia del
tutto inidonea a chiarire,

in concreto,

l’errore di diritto

imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta
controversia (Cass. 25-3-2009, n. 7197), quanto che sia
destinato a risolversi (Cass. 19-2-2009, n. 4044) nella generica
richiesta (quale quelle di specie) rivolta al giudice di
legittimità di stabilire se sia stata o meno violata – o
disapplicata o erroneamente applicata, in astratto, – una norma
di legge. Il quesito deve, di converso, investire ex se la ratio
decidendi della sentenza impugnata, proponendone una alternativa

di segno opposto destinata ad una soluzione che, pur partendo
dalla fattispecie concreta, e poi trascendendo la medesima, sì
come sottoposta all’esame del giudice di legittimità, ne dia
specifico conto ed esaustiva esposizione: le stesse sezioni

6

se la doglianza non è presente nelle’intestazione della

unite di questa corte hanno chiaramente specificato (Cass. SS.
uu. 2-12-2008, n. 28536) che deve ritenersi inammissibile per
violazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ. il ricorso per
cassazione nel quale l’illustrazione dei singoli motivi sia
accompagnata dalla formulazione di un quesito di diritto che si

già presupponga la risposta senza peraltro consentire un utile
riferimento alla fattispecie in esame.
Tali appaiono, nella specie, i quesiti illustrati poc’anzi.
La corretta formulazione del quesito esige, in definitiva (Cass.
19892/09), che il ricorrente
fattispecie concreta, poi
tipico, infine formuli, in

dapprima indichi in esso la

la rapporti ad uno schema normativo
forma interrogativa

e non (sia pur

implicitamente) assertiva, il principio giuridico di cui si
chiede l’affermazione; onde, va ribadito (Cass. 19892/2007)
l’inammissibilità del motivo di ricorso il cui quesito si
risolva (come nella specie) in una generica istanza di decisione
sull’esistenza di una astratta violazione di legge.
Quanto all’esposizione del denunciato vizio di motivazione
(motivo sub 2), essa non tiene conto di quanto più volte
affermato da questo giudice di legittimità sul tema della
sintesi necessaria per il relativo esame, tema affrontato dalle
stesse sezioni unite di questa Corte, che hanno all’uopo
specificato (Cass. ss.uu. 20603/07) l’esatta portata del
sintagma “chiara indicazione del fatto controverso” in relazione
al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria,

7

P/I

risolve in una tautologia o in un interrogativo circolare, che

ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della
motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione: si è
così affermato che la relativa censura deve contenere un momento
di sintesi omologo del quesito di diritto (cd. “quesito di
fatto) – che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da

di valutazione della sua ammissibilità.
Tale momento di sintesi, formulato in veste di quesito di fatto,
nella specie risulta del tutto omesso, in aperta violazione
della norma di cui all’art. 366 bis c.p.c.
La disciplina delle spese segue il principio della soccombenza.
Liquidazione come da dispositivo.

P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione,
che si liquidano in complessivi euro 2800, di cui 200 per spese.
Così deciso in Roma, li 28.1.2014

non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e

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