Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10312 del 13/05/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 10312 Anno 2014
Presidente: MAMMONE GIOVANNI
Relatore: TRICOMI IRENE

ORDINANZA
sul ricorso 21163-2012 proposto da:
ORLANDONI ALFREDO RLNLRD50T17A2710, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA POMPEO MAGNO 23/A, presso lo studio degli avvocati PROIA
GIAMPIERO e PETRASSI MAURO che lo rappresentano e difendono, giusta delega a
margine del ricorso;

– ricorrente contro
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE 80078750587
in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE
DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati SERGIO PREDEN, LUIGI
CALIULO, ANTONELLA PATTERI, GIUSEPPINA GIANNICO, giusta procura
speciale in calce al controricorso;

– controrícorrente –

Data pubblicazione: 13/05/2014

avverso la sentenza n. 803/2011 della CORTE D’APPELLO di GENOVA del
16.9.2011, depositata il 19/09/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’1/04/2014 dal
Consigliere Relatore Dott. IRENE TRICOMI;
udito per il ricorrente l’Avvocato Mauro Petrassi che si riporta ai motivi di ricorso;

udito per il controricorrente l’Avvocato Antonella Patteri che si riporta agli scritti.

2

FATTO E DIRITTO
Atteso che e’ stata depositata relazione dal seguente contenuto.
«La Corte d’Appello di Genova, con la sentenza n. 803 del 20 settembre 2011,
confermava la sentenza n. 463 del 2009 del Tribunale di Genova che aveva rigettato la
domanda proposta da Orlandoni Alfredo, responsabile del servizio strumentazione degli
stabilimenti del gruppo Eridiana e ISI agroindustriale, nei confronti dell’INPS (volta ad
ottenere la rivalutazione dell’ anzianità contributiva relativa al periodo 10 agosto 198031 dicembre 1995 con l’applicazione del coefficiente dell’1,5% e , in subordine
dell’1,25%, in ragione dell’esposizione qualificata al rischio amianto.
La Corte d’Appello disponeva nuova CTU. La prima CTU e la sentenza che
l’aveva recepita, ad avviso del giudice di appello si sottraevano a censure, come
confermato anche dal nuovo CTU che pure ha indicato valori di esposizione lievemente
superiori ma sempre inferiori alle 100 FA previste dalla legge come soglia minima. In
particolare, il CTU, dopo aver messo in evidenza la limitatezza della documentazione
tecnica a sua disposizione riportante misure di concentrazione di fibre di amianto aereo
disperse nello stabilimento in cui operava il ricorrente, procedeva facendo riferimento
a fonti bibliografiche e a fonte INAIL di cui dava puntualmente atto nell’elaborato.
Teneva poi conto del fatto che il ricorrente, quale capo laboratorio sovrintendeVei ai
lavori che si svolgevano in vari punti dell’impianto e alle riparazioni che venivano
effettuate e verificava il lavoro dei sottoposti, smentendo quanto all’attività di
laboratorio, la critica dell’appellato secondo cui non sarebbe stata considerata.
Ragionevolmente il CTU quantificava in 1200 ore all’anno per dipendente l’impegno
diretto sulla strumentazione con manufatti in amianto — e ha considerato l’attività del
responsabile del laboratorio come quella di bystander vale a dire di chi assiste al lavoro
intervenendo direttamente qualche volta. In proposito non era provato che l’Orlandoni
fosse presente a tutte le operazioni di manutenzione nei vari stabilimen4, per cui i
numeri riportati nell’atto di appello non apparivano tranquillizzanti. Pertanto l’aver
diviso per due le 1.200 ore di cui sopra era criterio ragionevole.
Il nuovo CTU ribadiva l’esposizione ad amianto solo indiretta del ricorrente, ma
pur in mancanza di elementi certi, considerava anche per il 10% delle giornate
lavorative una esposizione diretta dovuta ad intervento in aiuto dei suoi collaboratori.
Procedeva, quindi, dettagliatamente alla quantificazione dell’esposizione, pervenendo
ancora a condivisibile valutazione negativa per il ricorrente, che la Corte d’Appello
recepiva, in ragione degli argomenti a conforto, che non venivano scalfiti dalla CTP.
Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre l’ Orlandoni,
prospettando un articolato motivo di ricorso con cui prospetta violazione e falsa
applicazione degli artt. 115, 116 e 416 cpc; violazione e falsa applicazione dell’art. 132,
n. 4, cpc; dell’art. 118 disp. att. cpc e dell’art. 111, comma 6, Cost. (art. 360, n. 3, cpc).
Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della
controversia. Con il suddetto motivo il ricorrente ripercorre le statuizioni della sentenza
d’Appello e le risultanze della CTU, contestandole in ragione delle prospettazioni
difensive svolte nel corso del giudizio.
Resiste con controricorso l’INPS chiedendo il rigetto del ricorso.
Il motivo è manifestamente infondato, in ragione dei principi di seguito riportati,
ai quali si intende dare continuità.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, qualora il giudice di merito
fondi la sua decisione sulle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, facendole
proprie, affinché i lamentati errori e le lacune della consulenza determinino un vizio di
motivazione della sentenza è necessario che essi si traducano in carenze o deficienze
diagnostiche, o in affermazioni illogiche e scientificamente errate , o nella omissione

Il Presidente

degli accertamenti strumentali dai quali non possa prescindersi per la formulazione di
una corretta diagnosi, non essendo sufficiente la mera prospettazione di una semplice
difformità tra le valutazioni del consulente e quella della parte circa l’entità e l’incidenza
del dato patologico; al di fuori di tale ambito, la censura di difetto di motivazione
costituisce un mero dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo logico, che si
traduce in una inammissibile richiesta di revisione del merito del convincimento del
giudice (ex multis, Cass., n. 7341 del 2004).
Il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità
ex art. 360, n. 5, cpc, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale
risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi
della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle
prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perché la citata norma non
conferisce alla Corte di legittimità il potere di riesaminare e valutare il merito della
causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza
giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di
individuare le fonti del proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le prove,
controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie
quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (ex multis, Cass., n. 6288 del
2011).
Con il ricorso in esame le censure, pur articolate, si sostanziano nella
prospettazione di una propria lettura degli atti di causa di cui si chiede l’avallo al
giudice di legittimità, non potendo ritenersi che le argomentate risultanze della CTU,
basate su un esame oggettivo, come fatte proprie dalla Corte d’Appello attraverso un
iter argomentativo congruamente motivato, come sopra riportato, che teneva conto
anche delle osservazioni del CTP, possano essere incise dal mero richiamo dei fatti
esposti nelle proprie difese. Ciò, tenuto conto, altresì, che e’ onere del ricorrente, in
osservanza del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, dar conto delle
specifiche censure mosse, nella fase di merito, alla relazione peritale, riportandone
analiticamente il contenuto, al fine di consentire a questa Corte di apprezzarne la
pertinenza e la tempestività, e quindi, in definitiva, la decisività ai fini del presente
processo, in coerenza con i caratteri che riveste il giudizio di legittimità, e che,
comunque, devono ritenersi inammissibili contestazioni della consulenza tecnica
d’ufficio non espresse già nel giudizio di merito (cfr., Cass. n. 17916 del 2010)».
All’esito della relazione sia il ricorrente che l’INPS hanno depositato memorie
con le quali hanno insistito nelle rispettive conclusioni.
Il Collegio condivide e fa proprie le considerazioni e conclusioni che precedono,
svolte dal consigliere relatore.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e
sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di
giudizio che liquida in euro cento per esborsi, euro duemila per compensi professionali,
oltre IVA e CPA.
Così deciso in Roma, il 10 aprile 2014

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