Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1031 del 17/01/2011

Cassazione civile sez. I, 17/01/2011, (ud. 10/12/2010, dep. 17/01/2011), n.1031

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 19922/2009 proposto da:

D.F. (OMISSIS)) elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA BARBERINI 86, presso lo studio dell’avvocato ILARIA

SCATENA, rappresentato e difeso dall’avvocato DEFILIPPI Claudio,

giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA (OMISSIS), in persona del Ministro in

carica, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende, ope legis;

– controricorrenti –

avverso il decreto n. 886/07 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA del

6/11/08, depositato il 18/11/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/12/2010 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO DIDONE;

udito l’Avvocato Fabrizio Cipollaro, (delega avvocato Claudio

Defilippi), difensore del ricorrente che si riporta agli scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. COSTANTINO FUCCI.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

p.1.- La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. è del seguente tenore: “1.- Con decreto depositato il 18.11.2008 la Corte di appello di Venezia ha accolto la domanda di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001 proposta contro il Ministero della Giustizia da D.F. in relazione alla dedotta durata irragionevole di un procedimento di insinuazione tardiva instaurato dinanzi al Tribunale di Mantova con ricorso del 13.3.2002 e definito con il riparto finale in data 9.11.2006.

La Corte di merito ha determinato in quattro anni la durata ragionevole del processo concorsuale, dall’insinuazione del credito sino all’esecutività del riparto e, per il ritardo di otto mesi, ha liquidato a titolo di indennizzo per danno non patrimoniale, la somma di Euro 670,00 in favore del ricorrente, compensando per metà le spese processuali in ragione del limitato accoglimento della domanda.

Contro il decreto l’attore ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

Il Ministero intimato resiste con controricorso.

2.1.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89 e art. 6 CEDU ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e/o n. 5, quanto al danno non patrimoniale indennizzabile e formula il quesito: se vi è stata violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, per non aver liquidato il risarcimento dei danni non patrimoniali secondo i parametri stabiliti dalla Corte Europea e, in caso positivo, enunci a norma dell’art. 366 bis c.p.c., il principio di diritto nell’interesse della legge al quale il Giudice avrebbe dovuto attenersi.

2.2.- Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione all’art. 92 c.p.c., quanto alla compensazione parziale delle spese e formula il quesito:

se vi è stata violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, per aver compensato le spese determinando per il ricorrente una somma esigua non corrispondente a quanto liquidato in casi analoghi dalla Corte Europea e in caso positivo, enunci a norma dell’art. 366 bis c.p.c., il principio di diritto nell’interesse della legge al quale il Giudice avrebbe dovuto attenersi.

3.- Va premesso che il provvedimento impugnato risulta emesso dalla Corte di appello di Venezia e non dalla Corte di appello di Ancona, come erroneamente indicato sia dal ricorrente che dal Ministero resistente, benchè le parti concordino su quale sia il provvedimento che ha deciso sul ricorso del D..

Ciò premesso, va rilevato che entrambi i motivi appaiono manifestamente inammissibili per violazione dell’art. 366 bis c.p.c..

Infatti, secondo la giurisprudenza della S. Corte il quesito di diritto deve essere formulato, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata.

In altri termini, il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ., deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie (Sez. 3^, ordinanza n. 19769 del 17/07/2008). E’, pertanto, inammissibile il ricorso contenente un quesito di diritto che si limiti a chiedere alla S.C. puramente e semplicemente di accertare se vi sia stata o meno la violazione di una determinata disposizione di legge perchè, ponendosi in violazione di quanto prescritto dal citato art. 366 bis, si risolve sostanzialmente in una omessa proposizione del quesito medesimo, per la sua inidoneità a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie (Sez. U., Sentenza n. 26020 del 30/10/2008).

Per contro, entrambi i quesiti formulati dal ricorrente si risolvono nella mera richiesta di accertamento delle violazioni denunciate, in ogni caso insussistenti perchè il Giudice del merito si è attenuto ai parametri CEDU nella liquidazione dell’indennizzo (Euro 1.000,00 per anno di ritardo) e ha correttamente giustificato la compensazione parziale delle spese con il limitato accoglimento della domanda.

Il ricorso, quindi, può essere deciso in Camera di consiglio”.

p.2. – Il Collegio condivide le conclusioni della relazione e le argomentazioni sulle quali esse si fondano e che conducono alla declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Le spese del giudizio di legittimità – liquidate in dispositivo – seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare all’Amministrazione resistente le spese processuali che liquida in complessivi Euro 230,00 oltre le spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2011

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