Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10309 del 29/04/2010

Cassazione civile sez. I, 29/04/2010, (ud. 23/03/2010, dep. 29/04/2010), n.10309

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.M., domiciliato in Roma, piazza Augusto Imperatore

22, presso l’avv. Pottino G., che lo rappresenta e difende unitamente

all’avv. C. Zauli, come da mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero della Giustizia, domiciliato m Roma, via dei Portoghesi 12,

presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che per legge lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

Avverso il decreto n. 655/2007 della Corte d’appello di Ancona,

depositato il 12 ottobre 2007;

Sentita la relazione svolta dal Consigliere dott. NAPPI Aniello;

Udite le conclusioni del P.M. RUSSO Libertino Alberto, che ha chiesto

il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con il decreto impugnato la Corte d’appello di Ancona ha rigettato la domanda proposta il 17 ottobre 2006 da S.M. per la condanna del Ministero della Giustizia a corrispondergli l’equa riparazione per durata irragionevole di un procedimento penale promosso con sua querela del 10 marzo 1998, definito in primo grado con sentenza pronunciata il 24 giugno 2002, dopo la sua costituzione di parte civile in data 31 gennaio 2001, definito in appello con sentenza pronunciata il 12 luglio 2005, ancora pendente in Cassazione.

Hanno ritenuto i giudici del merito che, non potendo computarsi la durata del procedimento precedente la costituzione di parte civile dell’attore, il procedimento non ebbe una durata complessiva superiore ai limiti di ragionevolezza.

Ricorre per Cassazione S.M. e lamenta l’ingiustificata disparita’ di trattamento tra persona offesa e indagato nel riconoscimento del diritto all’equa riparazione per durata irragionevole del processo, sostenendo che il diritto va riconosciuto a chiunque sia danneggiato, indipendentemente dall’assunzione della qualita’ di parte. Aggiunge che, quando vi sia stata costituzione di parte civile, rileva anche la durata precedente del processo, posto che la persona offesa e’ soggetta a patema d’animo anche prima di intervenire nel processo. Resiste con controricorso il Ministero della Giustizia. Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso e’ infondato.

Non v’e’ dubbio che la L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 rinvii alla C.E.D.U. per l’individuazione dei soggetti legittimati alla domanda di equa riparazione. Dispone infatti che la legittimazione spetta a chi abbia subito un danno patrimoniale o non patrimoniale per effetto di violazione della Convenzione “sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’art. 6, par. 1”.

E’ all’art. 6, par. 1, della Convenzione che occorre dunque fare riferimento; in particolare alla definizione del diritto alla durata ragionevole come legittima pretesa di qualsiasi persona che attenda da un tribunale la decisione “sia delle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile, sia cella fondatezza di ogni accusa penale che le venga rivolta”.

In realta’ questa definizione del soggetto legittimato a chiedere l’equa riparazione corrisponde alla definizione che dottrina e giurisprudenza danno dei soggetti qualificabili come parti di un procedimento penale.

Viene definito parte, infatti, il soggetto titolare gia’ un diritto di azione da cui derivi per il giudico un dovere di decidere nel merito delle sue domande. E quindi si esclude che rivesta la qualita’ di parte un soggetto come la persona offesa (Cass., sez. un. pen., 16 dicembre 1998, Messina, m. 212077, Cass., sez. 6^, 13 febbraio 2009, Barogi, m. 243836), che pure puo’ svolgere un’attivita’ particolarmente incisiva nella fase procedimentale, in particolare nel procedimento di archiviazione, facendo sorgere per il giudice o anche per il pubblico ministero il dovere di pronunciarsi su talune sue richieste, anche se non sul merito dell’accusa. E’ ad esempio la natura procedimentale, e non di merito, della decisione di archiviazione a escludere che con un tale provvedimento si applichino sanzioni (C. cost., 15 luglio 1993, n. 319); e a precludere di conseguenza il riconoscimento della qualita’ di parte alla persona offesa, che pure, come s’e’ detto, puo’ intervenirvi con un ruolo attivo. E’ condivisibile pertanto la giurisprudenza civile di questa Corte, che esclude la legittimazione alla domanda di equa riparazione per la persona offesa non costituitasi parte civile nel procedimento penale protrattosi, oltre i limiti della durata ragionevole (Cass., sez. 1^, 23 gennaio 2003, n. 996, m. 560444, Cass., sez. 1^, 20 gennaio 2006, n. 1184, m. 588638, Cass., sez. 1^, 27 febbraio 2007, n. 4476, m. 595278). E sarebbe contraddittorio con questa impostazione riconoscere il diritto all’equa riparazione anche per la durata del procedimento precedente alla costituzione di parte civile, infondata e’ anche la censura con la quale il ricorrente lamenta la mancata considerazione della durata del Giudizio di cassazione. Non v’e’ dubbio infatti che la domanda di equo indennizzo possa essere proposta anche in pendenza del giudizio della cui durata eccessiva il ricorrente si lamenta (Cass., sez. 1^, 30 dicembre 2009, n. 27719, m.

611084). Ma deve ritenersi che rilevi a tal fine soie la durata del processo fino al momento della proposizione della domanda L. 24 marzo 2001, n. 89, ex art. 2. E nel caso in esame, quando S. M. propose la domanda il 17 ottobre 2006, il giudizio di cassazione pendeva da non piu’ di un anno, come riconosce lo stesso ricorrente.

Ne consegue il rigetto del ricorso, con la condanna del ricorrente alle spese.

PQM

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore del resistente, liquidandole in complessivi Euro 1.000,00 per onorari, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 23 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 29 aprile 2010

 

 

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