Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10309 del 13/05/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 10309 Anno 2014
Presidente: MAMMONE GIOVANNI
Relatore: TRICOMI IRENE

ORDINANZA
sul ricorso 24291-2011 proposto da:
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, UNIVERSITA’ E RICERCA 80185250588, in
persona del Ministro pro tempore elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo
rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente contro
LANZAFAME VANDA, elettivamente domiciliata in ROMA, C.SO D’ITALIA 102,
presso lo studio dell’avvocato MOSCA GIOVANNI PASQUALE, che la rappresenta e
difende giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente avverso la sentenza n. 2870/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA del
30/03/2011, depositata il 05/04/2011;

Data pubblicazione: 13/05/2014

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’01/04/2014 dal
Consigliere Relatore Dott. IRENE TRICOMI;
udito l’Avvocato Mosca Giovanni Pasquale difensore del controricorrente che insiste per

l’inammissibilità del ricorso.

2

FATTO E DIRITTO
Con sentenza n. 2870 del 2011, depositata il 5 aprile 2011, la Corte d’Appello
di Roma rigettava l’appello proposto dal MIUR nei confronti di Lanzafame Vanda in
ordine alla sentenza del Tribunale di Roma n. 6835/09 . Affermava la Corte d’Appello
che il diritto della Lanzafame all’equiparazione del suo trattamento economico a
quello del personale del R.E. , era stato accertato con sentenza passata in giudicato.
Per la cassazione della suddetta sentenza resa in grado di appello ricorre il
MIUR prospettando due motivi di ricorso.
Resiste la lavoratrice con controricorso.
Il primo motivo di ricorso è relativo alla intervenuta formazione del giudicato su
analoga domanda in ragione della sentenza del Tribunale di Roma 10714/06.
Il secondo motivo di ricorso, con il quale il MIUR deduce la violazione degli
artt. 2909 cc. 324 cpc, artt. 13 e 15 CCNL 1998-2001, 17 e 18 del CCNL 14 settembre
2007, art. 45 del d.lgs. n. 165 del 2001, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cpc, che
riguarda la statuizione della Corte d’Appello relativa alla domanda delle differenze
retributive tra il trattamento stipendiale goduto e quello attribuito all’Ispettore generale.
Il MIUR prospetta che erroneamente la Corte d’Appello avrebbe ritenuto che la
suddetta sentenza divenuta definitiva statuiva sulla sussistenza in concreto della
identità e comunque della non inferiorità delle mansioni del personale C3 rispetto al
personale R.E., nel suo complesso e dunque rispetto non al solo direttore di divisione,
ma anche all’ispettore generale e che quindi correttamente il Tribunale aveva dichiarato
il diritto della stessa all’equiparazione del trattamento stipendiale. La precedente
sentenza del Tribunale, invece avrebbe avuto solo sancito l’equiparazione del
trattamento con quello del personale ad esaurimento (direttore di divisione) e non di
ispettore generale.
All’esito della relazione predisposta dal consigliere relatore, la Lanzafame
depositava memoria con la quale insisteva nel chiedere il rigetto del ricorso.
La prospettazione di entrambi i motivi si incentra sul giudicato esterno di cui alla
sentenza n. 10714/06 del Tribunale di Roma.
I suddetti motivi, che devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro
connessione, come ritenuto dal consigliere relatore, sono inammissibili per
inosservanza del requisito di ammissibilità di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6.
Ed infatti, si fondano sul contenuto del documento costituito da una sentenza
resa in altro giudizio, dal Tribunale di Roma dalla quale si evincerebbe un giudicato
esterno che sarebbe stato erroneamente interpretato dalla Corte territoriale.
Di detta sentenza non si fornisce l’indicazione specifica richiesta dall’art. 366
c.p.c., n. 6, essendo omessa l’indicazione della sede in cui essa sarebbe rinvenibile ed
esaminabile in questo giudizio di legittimità.
Viene al riguardo in rilievo la consolidata giurisprudenza della Corte di cui a
Cass., S. U., n. 28547 del 2008 e n. 7161 del 2010 quanto ai documenti (ad essi
dovendo assimilarsi la citata sentenza), e il seguente principio di diritto (Cass., ord. n.
21560 del 2011):
“Poiché la sentenza prodotta in un giudizio per dimostrare l’esistenza di un
giudicato esterno rilevante ai fini della decisione assume rispetto ad esso – in ragione
della sua oggettiva intrinseca natura di documento – la natura di una produzione
documentale, il requisito di ammissibilità del ricorso per cassazione indicato dall’art.
366 c.p.c., n. 6 concerne in tutte le sue implicazioni anche una sentenza prodotta nel
giudizio di merito, riguardo alla quale il motivo di ricorso per cassazione argomenti la
censura della sentenza di merito quanto all’esistenza, alla negazione o all’interpretazione
del suo valore di giudicato esterno”.

uri

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di
giudizio che liquida in euro duemila per compenso professionale, oltre IVA e CPA, ed
euro cento per esborsi.
Così deciso in Roma, il 1° aprile 2014.

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