Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10308 del 29/04/2010
Cassazione civile sez. I, 29/04/2010, (ud. 23/03/2010, dep. 29/04/2010), n.10308
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –
Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –
Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –
Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –
Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
R.F., rappresentato e difeso dall’avv. Furnari F.,
come da mandato a margine del ricorso;
– ricorrente –
Contro
Ministero della Giustizia, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi
12, presso l’Avvocatura dello Stato che per legge lo rappresenta e
difende;
– controricorrente –
Avverso il decreto n. 45/2008 della Corte d’appello di Messina,
depositato il 5 febbraio 2008;
Sentita la relazione svolta dal Consigliere dott. NAPPI Aniello;
Udite le conclusioni del P.M. RUSSO Libertino Alberto, che ha chiesto
dichiararsi inammissibile il ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con il decreto impugnato la Corte d’appello di Messina ha condannato il Ministero della Giustizia al pagamento della somma di Euro 14.000,00 in favore di R.F., che aveva proposto domanda di equa riparazione per la durata irragionevole di un procedimento fallimentare apertosi nel 1993 e non ancora definito alla data del 10 maggio 2007.
Ricorre per Cassazione R.F. e lamenta che sia stata determinata in soli sette anni la durata irragionevole del procedimento, che non gli sia stato riconosciuto il danno esistenziale, che siano stati liquidati gli onorari in violazione delle tariffe professionali.
Resiste con controricorso l’amministrazione convenuta.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso e’ infondato.
Secondo la giurisprudenza di questa corte, infatti, “la violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, riconosciuto dal par. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dalla L. 24 marzo 2001, n. 89, va accertata, in materia fallimentare, distintamente con riguardo alla procedura prefallimentare, volta alla dichiarazione del fallimento, ed a quella fallimentare, volta alla realizzazione dell’esecuzione concorsuale. Con riferimento a quest’ultima – il cui “dies a quo” coincide con la data della sentenza di fallimento ed il “dies ad quem” con il momento in cui diviene definitivo il decreto di chiusura della procedura concorsuale – deve escludersi che la valutazione del termine di ragionevole durata vada effettuata con esclusivo riferimento al tempo impegnato nella distribuzione dell’attivo ai creditori, senza tener conto di quello oggettivamente trascorso nella definizione dei procedimenti incidentali o, comunque, connessi, avviati dal curatore per il recupero di attivita’ alla massa” (Cass., sez. 1^, 10 novembre 2006, n. 24040, m. 594619, Cass., sez. 1^, 23 settembre 2005, n. 18687, m.
584063).
Inoltre, “non essendo possibile predeterminare astrattamente la ragionevole durata del fallimento, il giudizio in ordine alla violazione del relativo temine richiede un adattamento dei criteri previsti dalla L. 24 marzo 2001, n. 89, e quindi un esame delle singole fasi e dei subprocedimenti in cui la procedura si e’ in concreto articolata, onde appurare se le corrispondenti attivita’ siano state svolte senza inutili dilazioni o abbiano registrato periodi di stallo non determinati da esigenze ben specifiche e concrete, finalizzate al miglior soddisfacimento dei creditori concorsuali. A tal fine, occorre tener conto innanzitutto del numero dei soggetti falliti, della quantita’ dei creditori concorsuali, delle questioni indotte dalla verifica dei crediti, delle controversie giudiziarie innestatesi nel fallimento, dell’entita’ del patrimonio da liquidare e della consistenza delle operazioni al riparto. Secondariamente, chi ritiene che il notevole protrarsi della procedura sia dipeso dalla condotta dei suoi organi ne deve provare l’inerzia ingiustificata o la neghittosita’ nello svolgimento delle varie attivita’ di rispettiva pertinenza, o nel seguire i processi che si siano innestati nel tronco della procedura” (Cass., sez. 1^, 2 aprile 2008, n. 8497, m. 602813).
Nel caso in esame i giudici del merito hanno adeguatamente valutato la pendenza di un giudizio civile ancora in fase d’appello per un credito di importo considerevole. E questa valutazione non e’ censurabile nel giudizio di legittimita’. Infondata e’ anche la pretesa del ricorrente per la liquidazione del danno esistenziale, che non e’ categoria autonoma dal danno non patrimoniale (Cass., sez. un., 16 febbraio 2009, n. 3677, m. 608130), gia’ liquidatogli.
Inammissibile e’ infine il motivo relativo alle spese, perche’ il ricorrente non specifica per quali voci dei diritti e degli onorari siano state violate le tariffe professionali.
PQM
LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore del resistente, Liquidandole in complessivi Euro 1.000,00 per onorari, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 23 marzo 2010.
Depositato in Cancelleria il 29 aprile 2010