Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10308 del 26/04/2017
Cassazione civile, sez. lav., 26/04/2017, (ud. 13/12/2016, dep.26/04/2017),n. 10308
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –
Dott. BRONZINI Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. MANNA Antonio – Consigliere –
Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –
Dott. GHINOY Paola – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 15217-2014 proposto da:
SIELTE S.P.A. P.I. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante
pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COSTANTINO MORIN
1, presso lo studio dell’avvocato MASSIMILIANO SCARINGELLA,
rappresentata e difesa dall’avvocato NICOLA LANDI, giusta delega in
atti;
– ricorrente –
contro
B.F. C.F. (OMISSIS), I.G. C.F. (OMISSIS),
D.F.R. C.F. (OMISSIS), R.C. C.F. (OMISSIS), tutti
elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 25, presso lo
studio dell’avvocato MASSIMO ERRANTE, rappresentati e difesi dagli
avvocati ROBERTO CROCE, MASSIMO BARRILE, giusta delega in atti;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 481/2014 della CORTE D’APPELLO dì PALERMO,
depositata il 18/04/2014 R.G.N. 1345/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
13/12/2016 dal Consigliere Dott. BRONZINI GIUSEPPE;
udito l’Avvocato NICOLA LANDI;
udito l’Avvocato MASSIMO ERRANTE per delega Avvocato ROBERTO CROCE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
SANLORENZO RITA che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
FATTI DI CAUSA
1. Con la sentenza della Corte di appello di Palermo impugnata
in questa sede veniva accolta la domanda proposta da alcuni lavoratori
dipendenti della Sielte di dichiarazione di illegittimità del
licenziamento collettivo loro intimato il (OMISSIS) (domanda rigettata
in primo grado, ma accolta in appello dalla Corte di appello di Palermo
con le conseguenze risarcitorie e reintegratorie di cui alla sentenza);
la Corte territoriale osservava che il recesso aveva violato la L. n. 223 del 1991, art. 4 e
art. 5, posto che non risultavano allegate le ragioni per cui si era
circoscritta la scelta dei lavoratori da licenziare alla sola unità
produttiva di Palermo e neppure allegato e comprovato se tale scelta
fosse da correlare alle specifiche professionalità di tali lavoratori;
inoltre nel caso in esame si erano valorizzati i tre criteri legali di
scelta dando a ciascun lavoratore un punteggio in un range da 1 a 10 in
ordine alle esigenze tecniche e produttive ma i criteri di attribuzione
di tale punteggio non erano stati idoneamente spiegati.
2. Per la cassazione della presente sentenza propone ricorso la
Sielte articolando tre motivi; resistono con controricorso i
lavoratori. La Corte ha autorizzato la motivazione semplificata della
presente decisione.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo si allega la violazione dell’art. 329 c.p.c., nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. Ed ancora la violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, artt. 4 e
5; l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e l’omessa e/o
insufficiente motivazione su un fatto decisivo per il giudizio. I
lavoratori non si erano mai lamentati del fatto che la comunicazione di
apertura della procedura di mobilità del 21.9.2010 non contenesse le
ragioni che ne giustificavano la restrizione settoriale all’Unità
produttiva di Palermo. In mancanza di contestazione sul punto, alla luce
anche della giurisprudenza di legittimità, si doveva ritenere che
sussistessero ragioni tecnico – produttive di natura obiettiva per
circoscrivere all’Unità produttiva di Palermo la comparazione dei
lavoratori.
2. Il motivo appare inammissibile posto che non ricostruisce le
argomentazioni del ricorso di primo grado e le relative doglianze;
peraltro la questione oggetto del motivo appare essere stata posta in
appello in quanto il terzo motivo (riportato in sentenza) affronta
proprio il tema qui in discussione (nè viene riportato al motivo come
eventualmente l’ammissibilità del terzo motivo sia stata contestata in
appello). In ogni caso, come correttamene rilevato dalla difesa delle
parti intimate, i criteri di scelta sono stabiliti dalla L. n. 221 del 1991
che ne regola anche le modalità di applicazione e quindi le ragioni che
rilevano nel limitare la comparazione tra lavoratori ad una singola
unità produttiva sono rilevanti anche ai fini dell’art. 5 predetto e non
solo ai fini della correttezza della comunicazione L. n. 221 del 1991,
ex art. 4; non vi è alcun dubbio che la comparazione effettuata dalla
società sia stata impugnata dai lavoratori che hanno allegato,
certamente dal primo grado, un’ irrazionale e non trasparente
applicazione dei criteri legali e il peso attribuito ai criteri
produttivi ed organizzativi, nel cui ambito di allegazione rientra
certamente una comparazione immotivatamente ristretta ad una sola Unità
produttiva.
3. Con il secondo motivo si allega la violazione dell’art. 112 c.p.c.,
in quanto i lavoratori non avevano mai contestato la delimitazione
territoriale dei criteri di scelta ad una specifica realtà produttiva.
4. Il motivo appare inammissibile per quanto sopra argomentato in relazione al terzo motivo.
5. Con il terzo motivo si allega la violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4 comma 9; dell’art. 5 comma 1 e ss., in combinato disposto con l’art. 2697 c.c.;
nonchè l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio e
l’insufficiente motivazione della sentenza impugnata. Erano stati
indicati i sotto – punteggi in un range tra 1 e 10 per arrivare al
conteggio complessivo per le esigenze tecniche -organizzative: i criteri
non erano nè arbitrari, nè discriminatori.
6. Il motivo appare inammissibile per difetto di
specificazione: in relazione ai sub-criteri allegati dalla Sielte per
arrivare poi ad un conteggio complessivo in ordine alle esigenze
organizzative e produttive (in un range tra 1 e 10) la Corte di appello
ha ritenuto che non siano mai stati indicati i termini in concreto di
applicazione di tali criteri consentendo un giudizio di comparazione tra
il punteggio dato all’uno o all’altro anche in rapporto alle singole
prestazioni lavorative. La vaghezza di tale meccanismo e la sua non
trasparenza non viene superata in alcun modo nel motivo che sostiene
solo apoditticamente la loro non arbitrarietà senza però richiamarli in
dettaglio ed offrire quelle delucidazioni applicative che la Corte di
appello ha ritenuto completamente omesse. In ogni caso, essendo la
sentenza impugnata stata risolta in base a due rationes decidendi (la
prima è quella già ricordata dell’omessa dimostrazione di ragioni che
giustificassero la limitazione territoriale della ponderazione tra
lavoratori), la ricorrente non ha interesse all’accoglimento di questo
motivo che non potrebbe portare alla chiesta cassazione della sentenza
impugnata.
7. Si deve quindi dichiarare l’inammissibilità del ricorso. Le
spese di lite – liquidate come al dispositivo- seguono la soccombenza.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.
PQM
Dichiara l’inammissibilità del ricorso. Condanna pare
ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si
liquidano in Euro 100,00 per esborsi, nonchè in Euro 5.000,00 per
compensi oltre spese generali al 15% ed accessori come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228,
la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento,
da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso
art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 13 dicembre 2016.
Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2017