Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10305 del 13/05/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 10305 Anno 2014
Presidente: FINOCCHIARO MARIO
Relatore: AMENDOLA ADELAIDE

ORDINANZA
sul ricorso 25478-2012 proposto da:
SORGE MARTINA

SRGMTN93B59H501X,

SORGE

FRANCESCO SRGFNC51CO3H501N, BAGLINI BRUNETTA,
elettivamente domiciliati in ROMA, VIA POMPEO UGONIO 3,
presso lo studio dell’avvocato PAVIA CARLO, che li rappresenta e
difende, giusta delega a margine del ricorso;
– ricorrenti contro
SOVIGEST – SOCIETA’ VALORIZZAZIONI IMMOBILIARI E
GESTIONI SPA 05872940639 nella qualità di capogruppo e
mandataria dell’R.T.I. costituito tra la Sovigest SpA e la Edilnord
Gestioni SpA in persona del Consigliere Delegato dal Consiglio di
Amministrazione, quale procuratrice speciale dell’INPS – ISTITUTO
NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, elettivamente

Data pubblicazione: 13/05/2014

domiciliata in ROMA, VIA PIEMONTE 39, presso lo studio
dell’avvocato GIOVANNETTI ALESSANDRA, che la rappresenta e
difende, giusta procura a margine del controricorso;
– controrkorrente –

GRASSETTO COSTRUZIONI SPA in persona dell’amministratore
unico, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SARDEGNA 38,
presso lo Studio Legale CAPORALE & ASSOCIATI – Associazione
Professionale, rappresentata e difesa dall’avvocato CAPORALE
ANTONIO MICHELE, giusta procura in calce al controricorso;
– controrkorrente avverso la sentenza n. 1132/2012 della CORTE D’APPELLO di
ROMA, depositata il 28/03/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
27/03/2014 dal Consigliere Relatore Dott. ADELAIDE
AMENDOLA;
udito per i ricorrenti l’Avvocato Carlo Pavia che si riporta agli scritti.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA
DECISIONE
È stata depositata in cancelleria la seguente relazione, regolarmente
comunicata al P.G. e notificata ai difensori delle parti.
“Il relatore, cons. Adelaide Amendola
esaminati gli atti,
osserva:

1. Con ricorso depositato il 17 settembre 2007 Francesco e Martina
Sorge nonché Brunetta Baglini, premesso di essere conduttori di
immobili di proprietà di SCIP s.r.1., poi trasferiti all’INPS, immobili, a
loro dire, affetti da gravi vizi, convennero innanzi al Tribunale di
Ric. 2012 n. 25478 sez. M3 – ud. 27-03-2014
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contro

Roma, sez. dist. di Ostia, la locatrice, instando per la determinazione
del canone effettivamente dovuto, per la ripetizione delle somme
indebitamente versate, in relazione al mancato godimento del bene, per
il ripristino dei locali e il risarcimento dei danni.
Resistette Sovigest, procuratrice dell’Inps, che, in via riconvenzionale,

abusivamente occupati. Chiese, ed ottenne, di chiamare in causa
Grassetto Costruzioni s.p.a., per esserne manlevata in caso di
soccombenza.
La chiamata, costituitasi, contestò le avverse pretese.
2. Con sentenza del 2 marzo 2010, depositata il 26 successivo, il
giudice adito rigettò la domanda attrice e, in accoglimento della
riconvenzionale, ordinò agli attori il rilascio degli immobili.
Proposto dai soccombenti gravame, la Corte d’appello, in data 28
marzo 2012, lo ha respinto.
Per la cassazione di detta decisione ricorrono a questa Corte Francesco
e Martina Sorge nonché Brunetta Baglini, formulando tre motivi.
Resistono con due distinti controricorsi Sovigest — Società
Valorizzazioni Immobiliari e Gestioni s.p.a., quale procuratrice
speciale dell’Inps nonché Grassetto Costruzioni s.p.a.
3. Il ricorso è soggetto, in ragione della data della sentenza impugnata,
successiva al 4 luglio 2009, alla disciplina dettata dall’art. 360 bis,
inserito dall’art. 47, comma 1, lett. a) della legge 18 giugno 2009, n. 69.
Esso può pertanto essere trattato in camera di consiglio, in
applicazione degli artt. 376, 380 bis e 375 cod. proc. civ. per esservi
rigettato.
Queste le ragioni.

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domandò la condanna degli attori al rilascio degli immobili, in quanto

4. Con il primo motivo gli impugnanti denunciano violazione dell’art.
1597 cod. civ., delle disposizioni del d.lgs. n. 104 del 1996 nonché della
legge n. 410 del 2001.
Oggetto delle critiche è l’affermazione del giudice di merito secondo
cui il contratto di locazione, disdettato con lettera del giugno 1993, era

attori erano privi di un legittimo titolo di detenzione degli
appartamenti già condotti in locazione, tenuto altresì conto: a) che la
percezione del canone di locazione, da parte dell’Inps, non si prestava
a essere qualificata in termini di rinnovazione o continuazione del
cessato contratto, in mancanza di una manifestazione di volontà
contraria a quella espressa con la disdetta; b) che, peraltro, siffatta
manifestazione di volontà, provenendo da un ente pubblico, avrebbe
dovuto essere formulata, a pena di nullità, in forma scritta; c) che
l’adesione al programma di dismissione del patrimonio immobiliare era
stata allegata in termini del tutto apodittici; d) che, in ogni caso,
l’esercizio del diritto di prelazione non implicava un titolo di
detenzione sostitutivo del già cessato rapporto di locazione.
Sostengono per contro gli esponenti che la Corte d’appello non
avrebbe in alcun modo valutato la natura della lettera del giugno 1993 e
che, incorrendo in errore, avrebbe affatto ignorato le disposizioni del
d.lgs. 16 febbraio 1996, n. 104, le quali espressamente prevedevano la
possibilità di acquistare gli immobili già condotti in locazione, anche se
in base a contratto scaduto.
Con il secondo mezzo, nuovamente lamentando violazione del d.lgs. n.
104 del 1996 nonché della legge n. 410 del 2001, i ricorrenti criticano
l’affermata apoditticità della loro allegata partecipazione al programma
di dismissione, evidenziando che questa era, per contro,
documentalmente dimostrata.
Ric. 2012 n. 25478 sez. M3 – ud. 27-03-2014
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definitivamente scaduto nel luglio del 1996, sicché da quella data gli

Con il terzo motivo deducono vizi motivazionali con riferimento alla
possibilità di ravvisare una continuazione del precedente rapporto
locativo, laddove questa sia prevista da apposita clausola negoziale.

5. Le critiche sono, per certi aspetti inammissibili, per altri infondate.
Valga considerare, sotto il primo profilo, che i richiami, peraltro

quale il giudice di merito non avrebbe colto la reale portata; a clausole
pattizie aventi ad oggetto la rinnovazione tacita del contratto di
locazione; a pretesi documenti versati in atti, dai quali emergerebbe
l’adesione dei ricorrenti al programma di dismissione, sono formulati
in palese spregio del disposto dell’art. 366 n.6 cod. proc. civ., che
impone, a pena di inammissibilità del ricorso, la specifica indicazione
degli atti e dei documenti sui quali il motivo è fondato, con
l’indicazione della sede processuale in cui essi sono reperibili.
Non è superfluo in proposito ricordare che, sull’interpretazione
dell’art. 366, comma 1, n. 6 cod. proc. civ. sono intervenute le SS.UU.
di questa Corte con sentenza 2 dicembre 2008, n. 28547, affermando il
principio, puntualizzato con sentenza 25 marzo 2010, n. 7161, secondo
cui l’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., novellato dal d.lgs. n.
40 del 2006, oltre a richiedere l’indicazione degli atti, dei documenti e
dei contratti o accordi collettivi posti a fondamento del ricorso, esige
che sia specificato in quale sede processuale il documento risulti
prodotto. Tale prescrizione va correlata all’ulteriore requisito di
procedibilità di cui all’art. 369, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ.,
per cui deve ritenersi, in particolare, soddisfatta: a) qualora il
documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso
ricorrente e si trovi nel fascicolo di esse, mediante la produzione del
fascicolo, purché nel ricorso si specifichi che il fascicolo è stato
prodotto e la sede in cui il documento è rinvenibile; b) qualora il
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estremamente confusi, alla lettera di disdetta del giugno 1993, della

documento sia stato prodotto, nelle fasi di merito, dalla controparte,
mediante l’indicazione che il documento è prodotto nel fascicolo del
giudizio di merito di controparte, pur se cautelativamente si rivela
opportuna la produzione del documento, ai sensi dell’art. 369, comma
2, n. 4, cod. proc. civ., per il caso in cui la controparte non si

fascicolo o lo produca senza documento; c) qualora si tratti di
documento non prodotto nelle fasi di merito, relativo alla nullità della
sentenza o all’ammissibilità del ricorso (art. 372 cod. proc. civ.) oppure
di documento attinente alla fondatezza del ricorso e formato dopo la
fase di merito e comunque dopo l’esaurimento della possibilità di
produrlo, mediante la produzione del documento, previa
individuazione e indicazione della produzione stessa nell’ambito del
ricorso.
In sostanza, ancorché l’onere del ricorrente, di cui all’art. 369, secondo
comma, n. 4, cod. proc. civ., così come modificato dall’art. 7 del d.lgs.
2 febbraio 2006, n. 40, di produrre, a pena di improcedibilità del
ricorso, “gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi
sui quali il ricorso si fonda” è soddisfatto, quanto agli atti e ai
documenti contenuti nel fascicolo di parte, mediante la produzione
dello stesso, e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo
d’ufficio, mediante il deposito della richiesta di trasmissione, presentata
alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e
restituita al richiedente munita di visto ai sensi dell’art. 369, terzo
comma, cod. proc. civ., resta ferma, in ogni caso, l’esigenza di specifica
indicazione, a pena di inammissibilità ex art. 366, n. 6, cod. proc. civ.,
del contenuto degli atti e dei documenti sui quali il ricorso si fonda,
nonché dei dati necessari al loro reperimento (confr. Cass. civ. 3
novembre 2011, n. 22726).
Ric. 2012 n. 25478 sez. M3 – ud. 27-03-2014
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costituisca in sede di legittimità o si costituisca senza produrre il

6. Sotto altro, concorrente aspetto, va poi rilevato che le critiche volte
a far valere la pretesa rinnovazione o continuazione del contratto di
locazione, sono destituite di ogni fondamento. Nella giurisprudenza di
questa Corte sono invero consolidate le seguenti affermazioni, dalle
quali non v’è ragione di discostarsi: 1) la rinnovazione tacita del

continuazione della detenzione della cosa da parte del conduttore e la
mancanza di una manifestazione di volontà contraria da parte del
locatore, cosicché, qualora questi abbia esternato con la disdetta la
volontà di porre termine al rapporto, la rinnovazione non può
desumersi dalla permanenza del locatario nell’immobile locato dopo la
scadenza o dal fatto che il locatore abbia continuato a percepire il
canone senza proporre tempestivamente azione di rilascio, occorrendo,
invece, un comportamento positivo idoneo ad evidenziare una nuova
volontà, contraria a quella precedentemente manifestata per la
cessazione del rapporto (confr. Cass. civ. 23 giugno 2011, n, 13886;
Cass. civ. 14 marzo 2006, n. 5464); 2) la volontà della P.A. di obbligarsi
non può desumersi per implicito da fatti o atti, dovendo essere
manifestata nelle forme richieste dalla legge, tra le quali l’atto scritto ad
substantiam, di talché, nei confronti della stessa, non è configurabile
alcun rinnovo tacito del contratto di locazione, né rileva, per la
formazione del contratto, un mero comportamento concludente,
anche protrattosi per anni (confr. Cass. civ. 17 gennaio 2013, n. 1167;
Cass. civ. 23 giugno 2011, n. 13886; Cass. civ. 12 aprile 2006, n. 8621);
3) con riferimento alle procedure di dismissione del patrimonio degli
enti pubblici, il diritto di prelazione dei conduttori di immobili
appartenenti ad enti previdenziali, riconosciuto dal d.lgs 16 febbraio
1996, n. 104, è esercitabile esclusivamente quando l’ente abbia
validamente ed adeguatamente manifestato la volontà di porre in
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contratto di locazione, ai sensi dell’articolo 1597 cod. civ., postula la

vendita gli immobili, in attuazione del dettato normativo, formulando
una specifica proposta di alienazione (confr. Cass. civ. 24 ottobre 2011,
n. 21988).
Ne deriva che la sentenza impugnata, la quale ai suddetti principi si è
uniformata, resiste alle critiche dei ricorrenti, critiche oscure e

programma di dismissione, posto che neppure si comprende come,
quando e in che termini sarebbe stata formalizzata dall’ente la proposta
di alienazione e come, quando e in che termini la stessa sarebbe stata
accettata.
Il ricorso appare pertanto destinato al rigetto”.
Ritiene il collegio di dovere fare proprio il contenuto della sopra
trascritta relazione, alla quale i ricorrenti non hanno del resto neppure
replicato.
Al rigetto del ricorso segue la condanna dei ricorrenti al pagamento
delle spese di giudizio.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese di giudizio, liquidate in complessivi euro 3.200 (di cui euro
200,00 per esborsi), oltre IVA e CPA, come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 27 marzo
2014.

generiche soprattutto in ordine alla pretesa adesione degli stessi al

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