Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10305 del 10/05/2011

Cassazione civile sez. VI, 10/05/2011, (ud. 30/03/2011, dep. 10/05/2011), n.10305

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – rel. Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 8598-2010 proposto da:

INAIL – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI

SUL LAVORO (OMISSIS), in persona del Dirigente con incarico di

livello generale Direttore della Direzione Centrale Prestazioni,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso lo

studio dell’avvocato LA PECCERELLA LUIGI, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ROMEO LUCIANA, giusta procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

M.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA TACITO 50, presso lo studio dell’avvocato COSSU BRUNO, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARIOLI IVAN, giusta

delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1022/2009 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA del

13/10/09, depositata il 26/10/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/03/2011 dal Consigliere Relatore Dott. PIETRO ZAPPIA;

udito l’Avvocato Savina Bombo, delega avvocato Bruno Cossu, difensore

del controricorrente che si riporta agli scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. ELISABETTA CESQUI che ha

concluso per la manifesta infondatezza del ricorso.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

Con sentenza in data 13.10/26.10.2009 la Corte d’appello di Bologna, giudicando in sede di rinvio a seguito della sentenza di questa Corte di Cassazione n. 15914/2005, nella causa promossa da M.M. nei confronti dell’Inail ed avente ad oggetto la richiesta di condanna dell’Istituto previdenziale alla corresponsione in favore del predetto della rendita ai superstiti ai sensi del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 85, n. 4 in conseguenza della morte per infortunio sul lavoro del fratello maggiore M.R. (richiesta azionata sotto il profilo che quest’ultimo provvedeva in maniera determinante al mantenimento del ricorrente), condannava l’Inail – per come emergeva dal dispositivo – a corrispondere la chiesta rendita in favore di M.M. e di B.L..

Avverso questa decisione propone ricorso per cassazione l’Inail lamentando nullità della sentenza per contrasto fra motivazione e dispositivo, nonchè violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c..

In particolare rileva che la Corte d’appello, dopo aver evidenziato nella parte motiva che il diritto alla chiesta rendita doveva essere riconosciuto a M.M., fratello minore del de cuius, nel dispositivo aveva condannato l’Inail alla relativa corresponsione sia nei confronti di M.M. che della madre B.L., la quale aveva iniziato il giudizio in qualità di genitore esercente la potestà sul figlio minore M.M., divenuto maggiorenne in corso di causa.

Resiste con controricorso l’intimato.

Il Consigliere relatore ha depositato relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., che è stata comunicata al Procuratore Generale e notificata ai difensori costituiti.

Il ricorso è infondato.

E’ ben vero che nel rito del lavoro il contrasto insanabile fra dispositivo, letto all’udienza, e motivazione da luogo a nullità della sentenza (a norma dell’art. 156 c.p.c., comma 2) che si converte in motivo di gravame (ai sensi dell’art. 161 c.p.c.) – secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza di questa Corte – non essendo in tal caso applicabile la procedura di correzione degli errori materiali o di calcolo (art. 287 ss. c.p.c.), nè potendosi far ricorso all’integrazione del dispositivo con la motivazione, ma prevalendo – in difetto d’impugnazione – il dispositivo, in quanto questo, mediante la pubblicazione con la lettura in udienza (art. 420 c.p.c.), cristallizza stabilmente il decisum, precludendone qualsiasi ripensamento successivo da parte dello stesso giudice. Tuttavia presupposto indefettibile della prospettata nullità della sentenza è l’insanabilità del contrasto tra dispositivo e motivazione, in quanto rechino affermazioni del tutto antitetiche tra loro (come nel caso in cui la stessa parte risulti totalmente vittoriosa in dispositivo e soccombente in motivazione, o viceversa).

La prospettata insanabilità del contrasto non sussiste, invece, quando la motivazione – lungi dal risultare dei tutto antitetica – sia, invece, coerente rispetto al dispositivo, limitandosi a ridurne o ad ampliarne il contenuto, senza tuttavia inficiarne il contenuto decisorio, e se ne possa escludere, peraltro, qualsiasi ripensamento sopravvenuto, essendo la motivazione saldamente ancorata ad elementi acquisiti al processo.

In tal caso, la divergenza tra dispositivo e motivazione non preclude il raggiungimento dello scopo – di consentire l’individuazione del contenuto del decisum – ed esclude, di conseguenza, la nullità della sentenza (ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 2), essendo questa configurabile solo quando l’atto risulti inidoneo, appunto, al raggiungimento del suo scopo, e la motivazione della sentenza evidenzi un sopravvenuto ripensamento in capo al decidente.

Siffatta inidoneità non si verifica nel caso di specie, laddove si osservi che nella parte motiva della sentenza la Corte territoriale aveva posto in rilievo che ” B.L. era ricorsa al giudice del lavoro per ottenere accertamento del diritto, nella qualità di genitore esercente la potestà sul figlio minore M., alla rendita Inail, D.P.R. n. 1124 del 1965, ex art. 85, n. 4 in relazione all’evento mortale in danno del figlio maggiore R.”; precisando che il prematuro decesso di M.R. aveva “determinato, correttamente e legittimamente, il fratello M., all’epoca rappresentato dalla madre L., ad agire nei confronti dell’Inail, al fine di ottenere la costituzione di rendita con gli accessori ex lege, quale erede superstite di congiunto deceduto per causa di lavoro”; e concludendo che andava “pertanto accolta la domanda, come originariamente formulata da B. L. – costituzione di rendita nell’interesse del figlio minore – e, attualmente, da M.M. in proprio, per la sopravvenienza, nelle more processuali, della maggiore età”.

La motivazione risulta quindi saldamente ancorata ad elementi acquisiti al processo, che inequivocabilmente la sostengono, ed evidenziano come non si sia in presenza di alcun ripensamento da parte del giudice: ciò anche in considerazione del fatto che la B. non è stata mai parte sostanziale nel processo, avendo in realtà agito nella qualità di legale rappresentante del figlio minore M.M.. La divergenza prospettata, essendo nella fattispecie in esame configurabile l’ipotesi legale del mero errore materiale, può quindi essere emendata – come questa Corte ha già avuto occasione di affermare (v. Cass. sez. lav., 27.8.2007 n. 18090;

Cass. sez. lav., 29.11.2002 n. 16988; Cass. sez. lav., 11.11.2001 n. 300) – mediante procedura di correzione degli errori materiali (art. 287 ss. c.p.c.), essendo per contro inammissibile l’impugnazione diretta a far valere la nullità della sentenza asseritamente dipendente dal contrasto tra dispositivo e motivazione.

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Sussistono giusti motivi, avuto riguardo alla controvertibilità delle questioni sollevate, per compensare tra le parti le spese relative al presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e compensa tra le parti le spese relative al presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 30 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2011

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