Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10304 del 13/05/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 10304 Anno 2014
Presidente: MAMMONE GIOVANNI
Relatore: TRICOMI IRENE

ORDINANZA
sul ricorso 28426-2012 proposto da:
BONANNO MARIA BNNMRA30C49H778K, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIA PO 25-B, presso Io studio dell’avvocato PESSI ROBERTO, rappresentato e difeso
dagli avvocati SIGILLO’ MASSARA GIUSEPPE, SIGILLO’ VINCENZO giusta
procura a margine del ricorso;

– ricorrente contro

Data pubblicazione: 13/05/2014

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE 80078750587,
in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA CESARE BECCARLA. 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE
DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati PULLI CLEMENTINA,
CAPANNOLO EMANUELA, MAURO RICCI giusta procura in calce al
controricorso;

– controricorrente –

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avverso la sentenza n. 702/2012 della CORTE D’APPELLO di PALERMO del
26/04/2012, depositata il 23/05/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’01/04/2014 dal
Consigliere Relatore Dott. IRENE TRICOMI;
udito l’Avvocato Emanuela Capannolo difensore del controricorrente che si riporta gli

scritti.

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FATTO E DIRITTO
Atteso che e’ stata depositata relazione dal seguente contenuto.
«La Corte d’Appello di Palermo, con la sentenza n. 702/12, dichiarava
improcedibile l’impugnazione proposta da Bonanno Maria nei confronti dell’INPS, non
costituitosi, avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Agrigento il 4 marzo 2011.
La Corte d’Appello fondava la propria statuizione sulla mancata effettuazione
della notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza di discussione in
ragione di un’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme processuali
conforme al principio della ragionevole durata del processo.
Affermava, altresì, il giudice di secondo grado, l’impossibilità di disporre la
rimessione in termine ex art. 153 cpc, chiesta dalla Bonanno, per le seguenti ragioni:
era stato il difensore della Bonanno, nell’epigrafe del ricorso in appello, a
segnalare, “ai sensi e per gli effetti di cui alla legge 14 maggio 2005, n. 80, che tutte le
comunicazioni relative alla vicenda processuale in oggetto potevano “essere fatte
all’utenza fax n. 091/409821”;
in ottemperanza ai dettami del procuratore dell’appellante, la cancelleria della
Corte d’Appello provvedeva tempestivamente, nell’agosto del 2011, alla comunicazione
del decreto di fissazione dell’udienza, adottato dal Presidente ex art. 435 cpc, alla
udienza indicata (come emergeva dal positivo riscontro della ricevuta di trasmissione
fax allegata al fascicolo d’ufficio);
il difensore dell’appellante, resosi conto dei problemi di stampa del proprio fax e
consapevole dei tempi ristretti del processo del lavoro, Nt avrebbe dovuto diligentemente
attivarsi al fine di verificare tempestivamente le sirti del procedimento in oggetto e non
attendere ben quattro mesi (il ricorso era depositati) in cancelleria il 28 luglio 201 e la
prima udienza di discussione era fissata per il giorno 10 dicembre 2011) prima di
attivarsi al fine di sanare una rilevante deficienza processuale evidentemente non
imputabile al caso fortuito.
Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre Bonanno Maria
prospettando tre motivi di ricorso.
Con il primo motivo, la sentenza è censurata per error in judicando ex art. 360,
n. 3, cpc. Violazione falsa applicazione degli art. 435, 176 e 137 cpc.
In sintesi, si rileva che la ricorrente, come ampiamente dedotto in ricorso,
afferma che è onere della cancelleria effettuare la comunicazione del decreto di
fissazione dell’udienza e nel caso in cui la stessa sia omessa occorre provvedere alla
fissazione di altra udienza e che la comunicazione effettuata a mezzo fax sarebbe nulla
in quanto effettuata con un mezzo di trasmissione previsto dall’ordinamento, ma di
fuori delle disposizioni normative specifiche ricordate con ricorso,aelative a specifici
riti e da soggetti non abilitati.
Con il secondo motivo di ricorso è prospettato error in judicando ex art. 360, n.
3, cpc. Violazione e falsa applicazione degli artt. 125 e 137 cpci dell’art. 24 Cost.
La previsione dell’art. 125 cpc di indicazione da parte del difensore del numero
di fax, non determina per lo stesso un’assunzione di responsabilità del rischio di omessa
osservanza di norme di legge da parte della cancelleria. Ciò contrasterebbe non solo
con le richiamate norme processuali ma con l’art. 24 Cost.
Con il terzo motivo di ricorso è dedotto error in procedendo ex art. 360, n. 4
cpc. Falsa applicazione dell’art. 348 cpc, violazione dell’art. 421 cpc.
Essa ricorrente adempiva all’onere di notifica, sia pure in ritardo, in data 5
dicembre 2011, dopo il primo differimento dell’udienza del 1° dicembre 2011, presso
l’INPS di Palermo. Quindi la Corte d’Appello errava nell’affermare l’improcedibilità
3

dell’appello per non essere stata mai notificato all’ente appellato il ricorso introduttivo
e il relativo decreto di fissazione.
La ricorrente chiedeva accogliersi il ricorso e pronunciare nel merito ex art. 384,
n. 2, cpc, confenando il disposto della sentenza di primo grado del Tribunale di
Agrigento n. 509 del 2011 del 4 marzo 2011 che stabiliva il diritto all’indennità di
accompagnamento dalla data della revoca del giorno 2 settembre 2009, all’accertamento
effettuato dal CTU, che concludeva per il diritto all’indennità di accompagnamento a
decorrere dal 1° agosto 2008, primo giorno del mese successivo a quello nel quale era
stata presentatat la domanda.
I suddetti motivi devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro
connessione. Gli stessi appaiono manifestamente infondati.
Nel rito del lavoro (applicabile in materia di locazione ai sensi dell’art. 447 bis
cpc) l’appello, pur tempestivamente proposto nel termine previsto dalla legge, è
improcedibile ove non siano stati notificati il ricorso depositato ed il decreto di
fissazione dell’udienza, non essendo al giudice consentito – alla stregua di
un’interpretazione costituzionalmente orientata imposta dal principio della cosiddetta
ragionevole durata del processo di cui all’art. 111, secondo comma, Cost. – di assegnare,
ai sensi dell’art. 421 cod. proc. civ., all’appellante un termine perentorio per provvedere
ad una nuova notifica a norma dell’art. 291 cpc (Cass, ord., n. 9597 del 2011, Cass., SU,
n. 20604 del 2008).
Pertanto è corretta la decisione della Corte d’Appello, atteso che è la completa
mancata effettuazione della notifica del ricorso e del relativo decreto di fissazione
prima dell’udienza di discussione stessa, come verificatosi nel caso di specie, che dà
luogo alla improcedibilità, non rilevando una notificazione successiva, salvo
l’intervenuta rimessione in termini
Sul punto, va ricordato come questa Corte ha affermato che la mancanza di
comunicazione all’appellante dell’avvenuto deposito del decreto di fissazione
dell’udienza di discussione, escludendo l’insorgere dell’onere di quest’ultimo di
provvedere alla notificazione dell’atto di gravame e del decreto stesso, non è
incompatibile con la conservazione dell’effetto preclusivo del giudicato, conseguente al
tempestivo deposito del ricorso in appello. Pertanto, quando sopravvenga, a causa di
detta mancanza, l’impossibilità di eseguire tale notificazione nel rispetto dei termini di
cui ai commi secondo e terzo dell’art. 435 cpc, deve essere disposta, di ufficio o ad
istanza dell’appellante medesimo, la fissazione di altra udienza di discussione in data
idonea a consentire il rispetto di detti termini, potendo, peraltro, il contraddittorio
ritenersi validamente costituito anche quando il collegio, senza emettere un formale
provvedimento di rinnovo, si sia limitato, all’udienza di discussione originariamente
fissata, a disporre il rinvio della medesima e l’appellante, nell’osservanza dei ripetuti
termini, abbia notificato alla controparte copia del ricorso in appello e del decreto del
presidente del tribunale nonché del verbale della prima udienza nella quale è stato
disposto il rinvio (Cass., n. 21978 del 2010).
Nella fattispecie in esame come correttamente e congruamente motivato dalla
Corte d’Appello le circostanze del caso escludevano la possibilità della rimessione in
termine.
Con riguardo all’uso del fax per effettuare la comunicazione in questione da
parte della cancelleria, occorre rilevare che la disciplina di riferimento si rinviene
nell’art. 136 cpc, giova precisare nel testo anteriore alle modifiche apportate dalla legge
12 novembre 2011, n. 183, ratione temporis, e non nell’art. 137 cpc, relativo alle
notificazioni.

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2it/

Il comma 3 del suddetto art. 136 cpc, nel testo anteriore alle modifiche introdotte
dalla legge n. 183 del 2011, stabilisce che le comunicazioni della cancelleria possono
essere eseguite a mezzo telefax o a mezzo posta elettronica nel rispetto della normativa
anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei
documenti informatici e teletrasmessi. La norma in esame, quindi consente la
comunicazione a mezzo fax, da inoltrare, in ragione di quanto stabilito dall’art. 176 al
numero di fax indicato dal difensore.
La doglianza di parte ricorrente, quindi, nel censurare l’uso del fax, contrasta
con la disciplina richiamata.
Nel caso in esame, come congruamente motivato dalla Corte d’Appello, risulta
che il decreto è stato comunicato a mezzo telefax, come consentito dall’art. 136 cpc, u.c.
(nel testo vigente all’epoca della effettuazione della comunicazione). Come si è
accennato, nel ricorso, la ricorrente afferma di non avere in realtà ricevuto l’anzidetta
comunicazione a mezzo telefax, e svolge considerazioni sull’inidoneità di tale
strumento a garantire l’effettivo ricevimento dell’atto che dovrebbe esser comunicato.
Occorre però osservare che nella sentenza si fa riferimento alla conferma di
ricezione del fax, al numero di fax corrispondente a quello indicato dal difensore,
allegata al fascicolo d’ufficio, circostanza non smentita con il ricorso odierno. Quindi,
non essendo in discussione che il numero telefonico del ricevente fosse esatto, appaiono
pienamente adempiuti i requisiti prescritti dalla citata disposizione dell’art. 136 c.p.c., la
quale include senz’altro la trasmissione a mezzo telefax tra le modalità di possibile
comunicazione alla parte del decreto in questione.
Nè vi sono ragioni per mettere in discussione, in via generale, l’idoneità allo
scopo dell’uso del telefax, che evidentemente costituisce una delle modalità oggi
consentite dall’evoluzione tecnologica, di cui il legislatore ha inteso avvalersi, con la
modifica introdotta dalla legge n. 263 del 28 dicembre 2005, con effetto a partire dal 1°
marzo 2006, al fine di accelerare e semplificare gli adempimenti procedurali.
Quanto, poi, al dubbio che detto sistema di trasmissione non garantisca a
sufficienza l’effettivo ricevimento dell’atto comunicato, come già affermato da questa
Corte, è sufficiente osservare che, una volta dimostrato l’avvenuto inoltro del
documento a mezzo telefax al numero corrispondente a quello del destinatario, è
perfettamente logico presumere che detta trasmissione sia effettivamente avvenuta e che
il destinatario abbia perciò avuto modo di acquisire piena conoscenza di quanto
comunicatogli. Sarà suo onere, allora, dedurre e dimostrare l’esistenza di elementi
idonei a confutare l’avvenuta ricezione, non bastando certo a tal fine che egli si limiti a
negarla.
Questa Corte ha, quindi, enunciato al riguardo, il principio di diritto secondo
cui, in presenza di una comunicazione di cancelleria eseguita a mezzo telefax nel
rispetto di quanto dispone l’art. 136 cpc, comma 3, l’attestato del cancelliere da cui
risulti che il messaggio è stato trasmesso con successo al numero di fax corrispondente
a quello del destinatario è sufficiente a far considerare la comunicazione avvenuta, salvo
che il destinatario fornisca elementi idonei a fornire la prova del mancato o incompleto
ricevimento (Cass., ord., n. 5168 del 2012).
Di tali principi la Corte d’Appello ha fatto corretta applicazione nella fattispecie
in esame con logica ed adeguata motivazione».
Il Collegio condivide e fa proprie le considerazioni e le conclusioni che
precedono, svolte dal consigliere relatore.
Pertanto, rigetta il ricorso. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate
come in dispositivo.
P.Q.M.
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La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di
giudizio che liquida in euro duemila per compensi professionali, oltre euro cento per
esborsi, IVA e CPA.
Così deciso in Roma, il 1° aprile 2014

Il Presidente

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