Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10304 del 10/05/2011

Cassazione civile sez. VI, 10/05/2011, (ud. 30/03/2011, dep. 10/05/2011), n.10304

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – rel. Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 8438-2010 proposto da:

R.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, CORSO TRIESTE 185, presso lo studio dell’avvocato VERSACE

RAFFAELE, rappresentata e difesa dall’avvocato DI PALMA VINCENZO,

giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE SPA (OMISSIS), in persona del Presidente del

Consiglio di Amministrazione e Legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo

studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende,

giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4579/2 009 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI del

16/09/09, depositata il 21/09/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/03/2011 dal Consigliere Relatore Dott. PIETRO ZAPPIA;

è presente il P.G. in persona del Dott. ELISABETTA CESQUI.

Fatto

IN FATTO ED IN DIRITTO

Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Napoli, in data 25.3.2004, R.A., assunta dalla società Poste Italiane s.p.a. con contratto a tempo determinato dal 19.2.2001 al 31.5.2001, ai sensi dell’art. 25 del ccnl 11.1.2001, per “per esigenze di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio anche derivanti da innovazioni tecnologiche ovvero conseguenti alla introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi”, rilevava la illegittimità dell’apposizione del termine al contratto in questione di talchè, essendo stata l’assunzione illegittima, il contratto si era convertito in contratto a tempo indeterminato. Chiedeva pertanto che, previa dichiarazione di illegittimità del termine apposto al predetto rapporto di lavoro, fosse dichiarata l’avvenuta trasformazione dello stesso in contratto a tempo indeterminato, con condanna della società al risarcimento del danno.

Con sentenza in data 25.1.2005 il Tribunale adito rigettava la domanda.

Avverso tale sentenza proponeva appello l’originaria ricorrente lamentandone la erroneità sotto diversi profili e chiedendo l’accoglimento delle domande proposte con il ricorso introduttivo.

La Corte di Appello di Napoli, con sentenza in data 16.9/21.9.2009, rigettava il gravame.

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione R. A. con tre motivi di impugnazione.

Resiste con controricorso la società intimata.

Col primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 230 del 1962, della L. n. 56 del 1987, art. 23 e del CCNL 13.1.2001 (art. 360 c.p.c., n. 3).

In particolare osserva che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto la legittimità della clausola temporale apposta al contratto di lavoro in questione, essendo le relative ragioni giustificative assolutamente generiche ed in contrasto con le disposizioni normative in materia.

Col secondo motivo di ricorso lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5).

In particolare rileva che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto che la società appellata avesse assolto all’onere alla stessa incombente di fornire la prova delle ragioni giustificative della clausola temporale apposta con la produzione della documentazione relativa agli incontri intercorsi fra le organizzazioni sindacali e l’azienda.

Col terzo motivo di ricorso lamenta omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.p., n. 5).

In particolare rileva che la Corte territoriale non aveva motivato in ordine alla eccezione di omesso avvio della procedura di confronto sul tema delle assunzioni a termine e sul rispetto della cd. clausola di contingentamento.

Il Consigliere relatore ha depositato relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., che è stata comunicata al Procuratore Generale e notificata ai difensori costituiti.

Il ricorso è infondato.

Ed invero, per quel che riguarda i primi due motivi di ricorso, che appare opportuno trattare unitariamente essendo fra loro strettamente connessi, osserva il Collegio, in linea generale, che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1, e successive modifiche nonchè dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis, convertito con modificazioni dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (principio ribadito dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte con la sentenza 2.3.2006 n. 4588), e che in forza della sopra citata delega in bianco le parti sindacali hanno individuato, quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, quella di cui al citato art. 25, comma 2, del c.c.n.l. 11 gennaio 2001.

Questa Corte, decidendo su una fattispecie analoga a quella in esame (contratto a termine stipulato ai sensi dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997) ha affermato che, quale conseguenza della suddetta delega in bianco conferita dal citato art. 23, i sindacati, senza essere vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge, possono legittimare il ricorso al contratto di lavoro a termine per causali di carattere oggettivo ed anche – alla stregua di esigenze riscontrabili a livello nazionale o locale – per ragioni di tipo meramente “soggettivo”, costituendo l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato idonea garanzia per i lavoratori e per un’efficace salvaguardia dei loro diritti.

Non può pertanto condividersi l’assunto di parte ricorrente secondo cui non sarebbe consentito autorizzare un datore di lavoro ad avvalersi liberamente del tipo contrattuale del lavoro a termine, senza l’individuazione di ipotesi specifiche di collegamento tra contratti ed esigenze aziendali cui sono strumentali. Siffatta tesi si muove infatti erroneamente nella prospettiva che il legislatore non abbia conferito una delega in bianco ai soggetti collettivi, imponendo al potere di autonomia i limiti ricavabili dal sistema di cui alla L. n. 230 del 1962, art. 1, e ciò è in contrasto con quanto ripetutamente affermato da questa Corte e ribadito dalle Sezioni Unite con sentenza 2 marzo 2006 n. 4588.

Del pari infondato è il terzo motivo di ricorso.

Ed invero, pregiudiziale ad ogni statuizione in ordine alla lamentata omessa o insufficiente motivazione da parte del giudice di appello su una specifica determinata questione, si appalesa, in base al principio di autosufficienza e specificità del ricorso per cassazione, l’accertamento della effettiva sottoposizione di tale questione al vaglio del suddetto giudice; e pertanto nel caso di specie la R., nel rilevare la carenza di motivazione nella sentenza di appello sulla eccezione di omesso avvio della procedura di confronto sul tema delle assunzioni a termine e sul rispetto della cd. clausola di contingentamento, avrebbe dovuto riportare (ovvero allegare al ricorso) il contenuto dell’appello proposto sul punto, onde consentire a questa Corte di valutare l’effettività della denunciata omissione riscontrando preliminarmente l’effettiva proposizione della domanda in parola nell’appello ed il preciso contenuto della stessa. Tale omissione ha comportato una palese violazione del canone di autosufficienza del ricorso, che risulta fondato sull’esigenza, particolare nel giudizio di legittimità, di consentire al giudice dello stesso di valutare l’esistenza del vizio denunciato senza dover procedere ad un (non dovuto) esame dei fascicoli – d’ufficio o di parte – che a tali atti facciano riferimento.

Il ricorso va pertanto rigettato ed a tale pronuncia segue la condanna della ricorrente ai pagamento delle spese di giudizio che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 30,00, oltre Euro 2.000,00 (duemila) per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Roma, il 30 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2011

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