Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10303 del 20/05/2015


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 10303 Anno 2015
Presidente: BOGNANNI SALVATORE
Relatore: CONTI ROBERTO GIOVANNI

ORDINANZA
sul ricorso 23090-2013 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRALE 11210661002, in persona del
Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente, contro
SCUDERI CARMELO SALVATORE;

– intimato avverso la sentenza n. 168/2012 della COMMISSIONE
TRIBUTARIA REGIONALE di ROMA del 18/06/2012, depositata
il 05/07/2012;

Data pubblicazione: 20/05/2015

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/02/2015 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO GIOVANNI

In fatto e in diritto
L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due
motivi, contro la sentenza resa dalla CTR Lazio n.168/37/12, depositata il
5.7.2012, con la quale, in accoglimento dell’appello proposto da Scuderi
Carmelo Salvatore, è stata ritenuta l’illegittimità dell’accertamento dei redditi
relativi all’anno 2002 operato dall’ufficio sulla base di studi di settore.
Secondo la CTR il contribuente aveva dichiarato di svolgere attività di
installazione di infissi e non di installazione impianti elettrici. Peraltro, una
volta accertato che l’attività svolta era quella dichiarata, dovevano ritenersi
validi i calcoli presentati dalla difesa di Scuderi, non risultando uno
scostamento dei redditi esposti in dichiarazione rispetto agli studi relativi allo
specifico settore merceologico. Da ciò derivava che l’accertamento svolto,
basato su un errore materiale nella classificazione dell’attività svolta, era
illegittimo.
Con il primo motivo l’Agenzia deduce la violazione e falsa applicazione degli
artt.62 bis d.l.n.331/1993, conv. nella 1.n.427/1993 e 10 1.n.146/1998, nonché
del’art.2697 c.c. Secondo l’Agenzia la CTR non aveva considerato che la parte
contribuente, richiesta in sede di contraddittorio di depositare le fatture
attestanti l’attività svolta, aveva omesso di provvedervi, come era stato
puntualmente precisato in sede di avviso di accertamento. Da ciò derivava la
piena legittimità dell’accertamento, incombendo sul contribuente l’onere di
dedurre rilievi specifici ai coefficienti parametrici applicati, nonché di provare
la sussistenza delle condizioni che giustificano l’esclusione della propria
impresa dall’area dei soggetti cui è applicabile lo specifico standard scelto
dall ‘Amministrazione.
Con il secondo motivo l’Agenzia deduce -in via subordinata e per il caso che si
dovesse ritenere che il giudice di appello aveva espresso un apprezzamento di
fatto- il vizio di motivazione, sotto il profilo dell’insufficiente motivazione
circa un punto decisivo della controversia. La CTR non aveva considerato che il
contribuente non aveva depositato in sede di contraddittorio la documentazione
richiesta dall’Ufficio e che per tale motivo l’accertamento doveva ritenersi
legittimo.
Nessuna difesa scritta ha depositato il contribuente.
I due motivi proposti meritano un esame congiunto, stante la loro stretta
connessione.
Giova rammentare che la procedura di accertamento tributario standardizzato
mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore “…costituisce un
sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è
“ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli
“standards” in sè considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione
statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da
attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il
contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione
alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano
Ric. 2013 n. 23090 gez. MT – ud. 18-02-2015
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CONTI.

Ric. 2013 n. 23090 sez. MT – ud. 18-02-2015
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l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli
“standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in
esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel
rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione
dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con le ragioni per le
quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del
contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento,
potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli
“standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la
controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle
eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della
più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia
risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte. In
tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in
quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione
degli “standards”, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio
con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel
quadro probatorio, la mancata risposta all’invito” (Cass. sez. un. 26 dicembre
2009, n. 26635).
Orbene, nel caso di specie la CTR ha ritenuto che l’amministrazione avesse
classificato l’attività svolta in un cluster diverso da quello correlato allo
svolgimento di attività di istallatore di infissi, da ciò traendo la conclusione che
l’avviso era illegittimo. Ora, su tale accertamento della CTR non si è in alcun
modo appuntata la prima censura esposta dall’Agenzia.
Ne consegue l’inammissibilità del primo motivo di ricorso nel quale si
prospetta un’inesistente violazione di legge.
In questo senso, nemmeno può dirsi che la CTR abbia violato i principi in tema
di onere della prova a carico del contribuente in ordine all’erroneità dello
standard applicato, esposti in modo chiaro da Cass.n.10556/12, proprio perchè
il giudice di appello ha mostrato di farne applicazione ritenendo provata
l’erronea applicazione del cluster in relazione agli elementi forniti dalla parte
contribuente.
La questione, semmai, riguarda la congruità dell’accertamento di fatto operato
dalla CTR in ordine all’erronea classificazione dell’attività del contribuente
sulla base di quanto “dichiarato” dalla parte contribuente che l’Agenzia pone in
discussione nel secondo motivo unicamente sotto il profilo dell’insufficiente
motivazione. La ricorrente, infatti, prospetta che la ponderazione del contegno
del contribuente nella fase del contraddittorio avrebbe potuto condurre il
giudice di merito a ritenere legittimo l’accertamento.
Ma anche tale censura non può passare al vaglio del Collegio, prospettando la
ricorrente una questione che la CIR ha mostrato di superare attraverso la
verifica compiuta in sede contenziosa in ordine alla tipologia di attività svolta
dal contribuente. Accertamento, quest’ultimo che l’Agenzia ha omesso di
impugnare all’interno del secondo motivo di ricorso.
Sulla base di tali considerazioni, dalle quali è dunque possibile inferire che la
censura non ha riguardato la ratto decidendi posta a base della decisione
determinando il passaggio in giudicato della sentenza per la parte non
impugnata, il ricorso va rigettato. Nulla sulle spese.
P. Q.M.

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La Corte, visti gli artt.375 e 380 bis c.p.c.
Rigetta il ricorso.
Nulla sulle spese.
Così deciso il 18 gennaio 2015 nella camera di consiglio della sesta sezione
civile in Roma.

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