Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10302 del 13/05/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 10302 Anno 2014
Presidente: MAMMONE GIOVANNI
Relatore: TRICOMI IRENE

ORDINANZA
sul ricorso 25958-2012 proposto da:
CICCARELLI FRANCESCO CCCFNC47B27F839S, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA VERONA, 30, presso lo studio dell’avvocato GUIDA CRISTIANO,
rappresentato e difeso dall’avvocato OREFICE GENNARO giusta mandato in calce al
ricorso;
– ricorrente contro

Data pubblicazione: 13/05/2014

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE 80078750587,
in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE
DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocatio CALIULO LUIGI,
CARCAVALLO LIDIA, PATTERI ANTONELLA, PREDEN SERGIO giusta
procura in calce al controricorso;
– controricorrente –

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nonché contro
AZIENDA NAPOLETANA MOBILITA – A.N.M. SPA, in persona
dell’Amministratore Unico e legale rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA,
PIAZZA CAVOUR presso la CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato
RIZZO GAETANO giusta procura a margine del controricorso;

nonché contro
INAIL – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI
INFORTUNI SUL LAVORO 01165400589, in persona del Dirigente con incarico di
livello generale, Direttore della Direzione Centrale Prestazioni, elettivamente domiciliato
in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso lo studio dell’avvocato FAVATA
EMILIA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROMEO LUCIANA
giusta procura speciale in calce al controricorso;

controrkorrente

avverso la sentenza n. 1815/2012 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI del
27/03/2012, depositata il 04/04/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 01/04/2014 dal
Consigliere Relatore Dott. IRENE TRICOMI;
udito l’Avvocato Antonella Patteri difensore del controficorrente (INPS) che si riporta
agli scritti.

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– controricorrente –

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FATTO E DIRITTO
Atteso che e’ stata depositata relazione dal seguente contenuto.
«La Corte d’Appello di Napoli, con la sentenza n. 1815 del 2012, rigettava
l’impugnazione proposta da Ciccarelli Francesco nei confronti della Azienda
Napoletana Mobilità, l’INPS e avverso la sentenza del Tribunale di Napoli del
15 aprile 2008.
Il Ciccarelli aveva adito il Tribunale premettendo di avare lavorato per l’ANM
dal 10 aprile 1978 al 24 febbraio 1999 e di avere subito un infortunio sul lavoro in data
20 maggio 1997 con il riconoscimento giudiziale del diritto alla rendita INAIL nella
misura del 25% dal 1° ottobre 1997.
Lamentava il mancato pagamento della rendita con condanna dell’INAIL al
pagamento della stessa per l’importo da determinarsi con CTU. Lamentava che le
assenza dovute alla patologia sviluppatasi a seguito dell’infortunio patito erano state
inquadrate dal datore di lavoro e dai due enti previdenziali quali conseguenze di
malattia comune e non di astensione da infortunio sul lavoro, con conseguente riduzione
della retribuzione. Il Ciccarelli chiedeva, quindi, la condanna dell’ANM al pagamento,
in proprio favore, delle differenze retributive e di fine rapporto scaturenti dall’esatto
riferimento delle assenze a patologie per infortunio, nonché dell’INPS al pagamento
della pensione nell’importo ricalcolato alla luce delle differenze retributive, da
determinare con CTU. Quale ultima doglianza affermava che l’INPS aveva trattenuto
dal 10 maggio 1999 al 30 ottobre 1999 sui ratei di pensione la somma di £ 13.821.500,
per conguaglio con indennità di malattia pagata durante il rapporto di lavoro senza che
alcunché gli fosse mai stato contestato dall’istituto / del quale chiedeva la condanna al
pagamento dei ratei trattenuti.
Il Tribunale di Napoli aveva dichiarato inammissibile la domanda avente ad
oggetto la rendita INAIL, aveva condannato l’INPS al pagamento, in favore del
ricorrente, della somma di euro 7.138,21 ritenendo non giustificata la trattenuta operata
dall’INPS che neppure aveva ritenuto di costituirsi in giudizio, rigettava nel resto le
domande azionate.
Avverso la sentenza resa in grado di appello ha proposto ricorso per cassazione
Ciccarelli Francesco.
Resistono con autonomi controricorsi l’ANM, l’INAIL e l’INPS.
Il ricorso appare manifestamente inammissibile.
Va rilevato che il ricorso, che tratta congiuntamente fatto e diritto, non indica
censure con riferimento alla previsione sui motivi di cui all’art. 360 cpc, e si articola in
una generica rilettura dei fatti di causa, non riferita in modo specifico alla motivazione
della sentenza, che non supera il vaglio di autosufficienza.
Le affermazione contenute in ricorso: che l’errore in cui sono incorsi entrambi i
giudici dei rispettivi gradi di giudizio, consisterebbe nel non avere ordinato a parte
convenuta (ANM e INAIL) il deposito della documentazione medica in loro possesso;
che il Ciccarelli, anche se gravemente malato con seri postumi invalidanti avrebbe
dovuto presupporre un eventuale danno alla propria persona causato dalla mala fede dei
propri datori di lavoro e provvedere alla copia fotostatica dei documenti medici inviati
quali prosieguo dell’infortunio e che ciò chiariva perché lo stesso non fosse in possesso
della documentazione medica, appaiono dedotte in modo generico e senza il vaglio
critica della motivazione della relativa statuizione della Corte d’Appello.
In particolare, il giudice di secondo grado affermava, facendo corretta
applicazione della giurisprudenza di legittimità (i cui principi erano richiamati in
sentenza) in materia di contenuto del ricorso introduttivo nel rito del lavoro e di onere
probatorio, con congrua motivazione, tra l’altro, che «il Tribunale ha infatti
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evidenziato come, nel caso in esame, non risulta desumibile dall’atto introduttivo a
quali assenze il ricorrente si riferisca, mancando ogni allegazione al riguardo, e che
neppure viene indicata la retribuzione spettante, in base al dato contrattuale, per
infortunio essendo il trattamento economico per malattia o infortunio rimesso dall’art.
2110 cc alla determinazione della retribuzione stabilita in sede di contrattazione
collettiva» (…) «l’assunto secondo il quale tutte le assenze relative al periodo
successivo al patito infortunio troverebbero giustificazione nei postumi del patito
infortunio (trauma cranico a seguito del distacco di una lastra metallica alloggiata in
posizione soprastante il conducente con caduta sul capo dello stesso), anche a voler
prescindere dall’assoluta indeterminatezza della circostanza, non risulta in ogni caso
supportato da qualsivoglia certificazione sanitaria a sostegno, certamente necessaria dal
momento che l’INAIL- come affermato dall’ANM e non contestato dal ricorrenteaveva ritenuto di dover qualificare come conseguenza dell’infortunio sul lavoro le sole
assenze relative al periodo compreso tra il 20 maggio 1997 ed il 15 luglio 1997,
decisione questa espressa a seguito di valutazione medico-legale effettuata dai sanitari
INAIL che non risulta essere stata mai impugnata dal ricorrente dinanzi al giudice del
lavoro.
Dovendosi pertanto ritenere la persistenza del provvedimento amministrativo
dell’INAIL, gravava sull’interessato un rigoroso onere probatorio in ordine alla diversa
qualificazione delle assenze effettuate, anche attraverso l’esibizione di adeguata
certificazione medica in ordine alle cause sanitarie che dette assenze avevano
giustificato onde rendere possibile al giudicante una eventuale verifica a mezzo
accertamenti peritali»
Nel ricorso, dunque, non è ravvisabile la prospettazione di vizi di violazione o
falsa applicazione di legge, atteso che in materia di procedimento civile, nel ricorso per
cassazione il vizio della violazione e falsa applicazione della legge di cui all’art. 360,
primo comma, n. 3, cod. proc. civ., giusta il disposto di cui all’art. 366, primo comma, n.
4, cod. proc. civ., deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto non solo con
l’indicazione delle norme di diritto asseritamente violate (fermo restando che la Corte
possa agevolmente procedere alla corretta qualificazione giuridica del vizio denunciato
sulla base delle argomentazioni giuridiche ed in fatto svolte dal ricorrente a fondamento
della censura, in quanto la configurazione formale della rubrica del motivo non ha
contenuto vincolante, ma è solo l’esposizione delle ragioni di diritto della impugnazione
che chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico, il contenuto della censura, Cass.,
14026 del 2012), ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in
diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto
con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla
giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente
una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito
alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della
denunziata violazione (Cass., ord. n. 16038 del 2013).
Quanto alla diversa valutazione dei fatti di causa operata dal ricorrente, anche a
volerla qualificare come prospettazione di un vizio di motivazione, si sostanzia nella
richiesta di un riesame nel merito della vicenda processuale inammissibile in sede di
legittimità. Ed infatti, La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza
impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di
riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la
sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza
logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in
via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere

Il Presidente

e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le
complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare
la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o
all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge
(Cass., n. 17477 del 2007)».
Il Collegio condivide e fa proprie le considerazioni svolte dal consigliere
relatore, che precedono, rilevando come la inammissibilità della prospettazione
difensiva del ricorrente, per le ragioni sopra esposte, determina il rigetto del ricorso.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e
sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di
giudizio che liquida per ciascuna delle controricorrenti in euro millecinquecento per
compensi professionali, euro cento per esborsi, oltre IVA e CPA..
Così deciso in Roma, il 1° aprile 2014

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