Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10300 del 20/05/2015


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 10300 Anno 2015
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: FERNANDES GIULIO

ORDINANZA
sul ricorso 9609-2013 proposto da:
LORDI ANTONIETTA LRDNNT72H52H493J, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA DELLE ACACIE 23, presso lo studio
dell’avvocato GIANCARLO DI GENIO (presso il Centro CAF),
rappresentata e difesa dall’avvocato FELICE AMATO, giusta procura
a margine del ricorso;
– ricorrente contro
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE in persona del Direttore Centrale della Direzione
Prestazioni a Sostegno del Reddito, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA
CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati

Data pubblicazione: 20/05/2015

VINCENZO TRIOLO, ANTONIETTA CORETTI, VINCENZO
STUMPO, giusta procura speciale in calce al controricorso;

contraticorrente

avverso la sentenza n. 658/2011 della CORTE D’APPELLO di

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
09/04/2015 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIO FERNANDES;
udito per la ricorrente l’Avvocato Felice Amato che si riporta ai motivi
del ricorso;
udito per il controricorrente l’Avvocato Antonietta Coretti che si
riporta agli scritti.

FATTO E DIRITTO
La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del 9
aprile 2015, ai sensi dell’art. 375 c.p.c. sulla base della seguente
relazione redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.:
“Con sentenza depositata il 9 ottobre 2012 la Corte d’appello di
Salerno, in parziale riforma della pronuncia emessa dal Tribunale della
stessa sede, riliquidava in favore di Lordi Antonietta le spese relative al
giudizio primo grado (avente ad oggetto il diritto della ricorrente
all’iscrizione nell’elenco dei lavoratori agricoli del Comune di
residenza) determinandole in euro 1.200,00 di cui euro 500,00 per
onorari.
Per la cassazione di tale sentenza, in ordine alla sola entità della
liquidazione delle spese del giudizio innanzi al Tribunale, ricorre la
Lordi affidandosi a due motivi.
Resiste l’INPS con controricorso limitandosi ad eccepire la
inammissibilità del ricorso.
Ric. 2013 n. 09609 sez. ML – ud. 09-04-2015
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SALERNO del 13.7.2011, depositata il 09/10/2012;

Orbene, preliminarmente va rilevato che il ricorso è ammissibile in
quanto contiene l’esposizione sommaria dei fatti contrariamente a
quanto eccepito dall’INPS.
Passando all’esame dei motivi di ricorso, con il primo la ricorrente
lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., della L. n. 794

professionali vigenti, nella parte in cui l’impugnata ha espunto dalla
nota spese i diritti relativi alle attività di rappresentanza successive alla
pronuncia gravata ( “esame testo integrale sentenza”, “richiesta copia
sentenza”, “accesso ufficio e ritiro copia detta”, “notifica sentenza”,
“accesso ufficio e ritiro atto notificato detto”, “esame relazione
notifica” e “ritiro fascicolo”). Si obietta in ricorso trattarsi di voci pur
sempre concernenti il processo di cognizione e, in quanto tali, da
liquidarsi ad opera del giudice della cognizione e non di quello
dell’esecuzione. Si evidenzia, altresì, che, anche a voler considerare
corretta l’espunzione delle predette voci, l’ammontare dei diritti
doveva essere pari ad curo 1.112,00 (euro 1.270,00 meno euro 158,00)
non euro 700,00 come immotivatamente liquidato.
Con il secondo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione della
L. n. 794 del 1942, art. 4 in combinato con il R.D.L. n. 1578 del 1933,
art. 60 e dell’art. 91 c.p.c., nonché vizio di motivazione, perché nel
liquidare gli onorari di avvocato relativi al primo grado di giudizio
l’impugnata sentenza li ha, con motivazione apodittica ed apparente,
ridotti della metà considerata la natura seriale e ripetitiva della
controversia.
Il primo motivo è fondato in quanto, per costante giurisprudenza le
voci de quibus, pur se successive alla sentenza di primo grado, sono ad
esse necessariamente consequenziali e, quindi, devono essere liquidate
dal giudice di prime cure o, in mancanza, da quello d’appello. Invero,
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del 1942, della L. n. 1501 del 1957, articolo unico, nonché delle tariffe

la condanna al pagamento delle spese processuali comprende anche le
spese conseguenti alla sentenza – la quale, pertanto, costituisce titolo
esecutivo non soltanto per le somme liquidate, ma anche per le spese
successive e necessarie per la realizzazione della volontà in essa
espressa (cfr. Cass. 9.7.69 n. 2525; in senso sostanzialmente conforme

5.12.83 n. 7261), secondo il quale le spese processuali attinenti ad
anticipazioni e attività difensive successive e consequenziali alla
sentenza di primo grado (come quelle per esame avviso deposito
sentenza, esame sentenza, etc.) sono relative al giudizio di appello e,
quindi, devono essere liquidate dal giudice di secondo grado, deve
essere inteso non già nel senso che tale liquidazione sia interdetta al
giudice di prime cure, ma nel senso che, ove non sia avvenuta, ad essa
può e deve provvedere il giudice del gravame.
Prevederne la liquidabilità soltanto ad opera del giudice d’appello è
opzione interpretativa inesatta: non considera ne’ il carattere
meramente eventuale dell’impugnazione ne’ il rilievo che adempimenti
come quelli inerenti ai diritti in discorso servono anche soltanto a fini
esecutivi o a far decorrere il termine breve di cui all’art. 325 c.p.c. e che
altri, come la registrazione della sentenza, sono fiscalmente dovuti.
D’altronde, se davvero tali voci non fossero liquidabili se non dal
giudice d’appello, il loro recupero resterebbe precluso alla parte
totalmente vittoriosa (cui siano state riconosciute le spese di lite in
ossequio alla regola della soccombenza di cui all’art. 91 c.p.c., comma
1) che, proprio in quanto tale, non può impugnare per carenza di
interesse.
Nè il pagamento di tali diritti di procuratore può essere affidato alla
mera richiesta avanzata dalla parte vittoriosa in occasione della notifica
del precetto, atteso che nulla esclude che il soccombente paghi prima
Ric. 2013 n. 09609 sez. ML – ud. 09-04-2015
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v. altresì Cass. 9.7.75 n. 2671). Altro precedente di questa S.C. (Cass.

e spontaneamente – tutto quanto sia stato liquidato in sentenza, così
facendo venire meno, in radice, la possibilità stessa di intimare il
precetto.
Nè, infine, sarebbe logicamente ipotizzabile un sistema che prevedesse
una sorta di impugnazione necessitata al solo fine di far liquidare dal

non liquidabili dal giudice di primo grado.
Peraltro, anche la determinazione dei diritti in euro 700,00, espunte le
predette voci dalla nota spese allegata al ricorso in appello, appare del
tutto immotivata.
Diversamente il secondo motivo è inammissibile.
Va, in primo luogo, evidenziato che nonostante il formale richiamo
contenuto nella prima parte della intestazione del motivo alla
violazione a falsa applicazione di legge, tutte le censure prospettate si
risolvono nella denuncia di vizi di motivazione della sentenza.
Ciò detto l’inammissibilità del motivo discende dal fatto che pur
denunciando l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio
oggetto di discussione tra le parti secondo il nuovo testo dell’art. 360,
2° comma, n. 5, c.p.c. – come modificato dall’art. 54, comma 1° lett. b)
d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. con modifiche in legge 7 agosto 2012
n. 134) applicabile al ricorso in esame, proposto contro una sentenza
pubblicata dopo 11 settembre 2012, ai sensi dell’art. 54, coma 3°
d.l. cit. – finisce con il lamentare un vizio di insufficiente motivazione.
Sul punto le Sezioni Unite di questa Corte ( SU n. 8053 del 7 aprile
2014) hanno precisato che a seguito della modifica dell’art. 360,
comma 1° n. 5 cit. il vizio di motivazione si restringe a quello di
violazione di legge e, cioè, dell’art. 132 c.p.c., che impone al giudice di
indicare nella sentenza “la concisa esposizione delle ragioni di fatto e
di diritto della decisione”.
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giudice d’appello taluni diritti di procuratore che si supponga, in tesi,

In particolare, perché violazione sussista si deve essere in presenza
di un vizio “così radicale da comportare con riferimento a quanto
previsto dall’art. 132, n. 4, c.p.c. la nullità della sentenza per mancanza
di motivazione” fattispecie che si verifica quando la motivazione
manchi del tutto oppure formalmente esista come parte del

contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla
come giustificazione del decisum.
Pertanto, a seguito della riforma del 2012 scompare il controllo sulla
motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il
controllo sulla esistenza (sotto il profilo della assoluta omissione o
della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile
contraddittorietà e dell’illogicità manifesta).
Inoltre, il vizio può attenere solo alla questi° facti (in ordine alle questi°

juris non è configurabile un vizio di motivazione) e deve essere testuale,
deve, cioè, attenere alla motivazione in sè, a prescindere dal confronto
con le risultanze processuali.
Quanto invece allo specifico vizio previsto dal nuovo testo dell’art.
360, n. 5, c.p.c., in cui è scomparso il termine motivazione, deve
trattarsi di un omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la
cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali che
abbia costituito oggetto di discussione e che abbia carattere decisivo
(vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso
della controversia).
Le Sezioni unite hanno specificato che “la parte ricorrente dovrà
indicare — nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366, primo
comma, n. 6 e 369, secondo comma, n. 4, c.p.c.- il fatto storico, il cui
esame sia stato omesso, il dato testuale (emergente dalla sentenza) o
extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui risulti l’esistenza,
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documento, ma le argomentazioni siano svolte in modo “talmente

il come ed il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato
oggetto di discussione tra le parti, la decisività del fatto stesso”.
E’ evidente, quindi, che il motivo all’esame non presenti alcuno dei
requisiti di ammissibilità richiesti dall’art. 360, comma 1, n. 5 così
come novellato nella interpretazione fornitane dalle Sezioni unite di

motivazione in ordine alla riduzione al di sotto dei minimi
dell’onorario di avvocato operata dal giudice del gravame ai sensi
dell’art. della L. n. 794 del 1942, art. 4 e del R.D.L. n. 1578 del 1933,
art. 60, comma 5.
Peraltro, la motivazione sul punto della impugnata sentenza non è
apparente in quanto, con una formulazione sintetica ( in passato
ritenuta da questa Corte, in casi analoghi a quello in esame,
insufficiente nella vigenza della precedente formulazione dell’art. 360,
comma 1° n. 5 c.p.c.) ha rilevato che la materia oggetto della
controversia aveva carattere seriale e ripetitivo.
Alla luce di quanto esposto si propone l’accoglimento del ricorso
limitatamente al primo motivo con ordinanza, ai sensi dell’art. 375
cod. proc. civ., n. 5, la cassazione in parte qua della impugnata
sentenza anche con decisione nel merito ex art. 384, comma 2°, c.p.c.,
ove la Corte riterrà non necessari ulteriori accertamenti in fatto.”.
Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta
relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in
Camera di consiglio.
Il Collegio condivide il contenuto della riportata relazione e, quindi,
accoglie il ricorso limitatamente al primo motivo, cassa l’impugnata
sentenza in relazione al motivo accolto e, non essendo possibile
decidere nel merito stante la necessità di verificare le attività
effettivamente svolte dal difensore nel corso del giudizio di primo
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questa Corte e finisce con il lamentare la insufficiente o apparente

grado, rinvia alla Corte di Appello di Salerno in diversa composizione
che provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di
legittimità.
Al presente giudizio, introdotto con ricorso notificato in data
successiva al 31/1/2013, va applicata la legge di stabilità del 2013 (art.

integrato l’art. 13 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, aggiungendovi il
comma 1 quater del seguente tenore: “Quando l’impugnazione, anche
incidentale è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o
improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa
impugnazione, principale o incidentale, a norma art. 1 bis. Il giudice dà
atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al
periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del
deposito dello stesso”.

P.Q.M.
La Corte, accoglie il ricorso limitatamente al primo motivo, cassa
l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte
di Appello di Salerno in diversa composizione anche per le spese del
presente giudizio.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto
della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della
ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.
13.
Così deciso in Roma, il 9 aprile 2015

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1, comma 17 della legge 24 dicembre 2012, n. 228 del 2012), che ha

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