Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10299 del 26/04/2017


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Cassazione civile, sez. II, 26/04/2017, (ud. 07/03/2017, dep.26/04/2017),  n. 10299

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20022-2013 proposto da:

L.M.L., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA CELIMONTANA 38, presso lo studio dell’avvocato PAOLO PANARITI,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato LORENZO DE

GUELMI;

– ricorrente –

contro

COMUNE VILLA LAGARINA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

COSSERIA 2, presso lo studio dell’avvocato FILIPPO AIELLO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALBERTO PIETROPAOLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 189/2013 del TRIBUNALE di ROVERETO, depositata

il 24/04/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/03/2017 dal Consigliere Dott. GUIDO FEDERICO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato PANARITI Paolo, difensore del ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato PIETROPAOLO Alberto, difensore del resistente che ha

chiesto il rigetto del ricorso.

Fatto

ESPOSIZIONE DEL FATTO

D.L.M.L. propone ricorso per cassazione, con cinque motivi, avverso la sentenza del Tribunale di Rovereto n. 189/13, depositata il 24.4.2013, con la quale, respinto l’appello proposto dall’odierno ricorrente, veniva confermata la legittimità del verbale di accertamento e contestazione n. (OMISSIS) dell’Ufficio di Polizia Municipale del Comune di Villa Lagarina, con il quale veniva accertata la violazione dell’art. 16 C.d.S., comma 1, lett. c) e art. 4 C.d.S. in relazione all’art. 26, comma 7 Regolamento di Esecuzione ed Attuazione del C.d.S. medesimo.

Il Tribunale, circoscritta la materia del contendere alla data di erezione del manufatto oggetto di accertamento ed alla sua qualificazione, uniche questioni dedotte nell’atto introduttivo del giudizio e che avevano pertanto così cristallizzato la materia del contendere, con conseguente inammissibilità degli ulteriori profili sollevati in sede di impugnazione, affermava che non risultava provata l’allegazione dell’opponente, secondo cui il manufatto sarebbe stato posto in essere in data anteriore all’entrata in vigore della disposizione sanzionatoria invocata dall’amministrazione (D.P.R. n. 495 del 1992, entrato in vigore l’1.1.1993, mentre l’art. 26 nel testo vigente è in vigore dal 19.12.1996), e riteneva altresì che esso dovesse qualificarsi come “recinzione”.

Per la cassazione di detta sentenza ha proposto ricorso con cinque motivi il D.L..

Il Comune di Villa Lagarina ha resistito con controricorso.

All’esito dell’adunanza in camera di consiglio, con ordinanza ex art. 380 bis c.p.c., u.c. del 2 marzo 2015, la causa è stata rimessa alla pubblica udienza.

In prossimità dell’odierna udienza entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con il primo motivo di ricorso si denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e comunque l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio.

Il motivo è inammissibile sotto diversi profili.

Si osserva infatti che il ricorrente non indica quale delle ipotesi, tra quelle tassativamente indicate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, viene dedotta, denunciando sia la violazione dell’art. 112 c.p.c. che l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, senza una chiara esposizione delle ragioni per le quali la censura sia stata formulata e del tenore della pronuncia caducatoria richiesta.

Ed invero, come affermato dalle sezioni unite di questa Corte con la pronuncia n. 17931/13 nel giudizio di cassazione, che ha ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, il ricorso dev’essere articolato in motivi specifici ed immediatamente ed inequivocabilmente riconducibili ad una delle cinque ragioni di impugnazione previste dalla citata disposizione.

Il ricorrente, inoltre, omette di riportare, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, il contenuto dell’atto di impugnazione al fine di consentire a questa Corte di verificare se l’impugnazione avverso la (dedotta) omessa pronuncia del primo giudice, sia stata ritualmente proposta in sede di appello.

Con il secondo, articolato, motivo si denunzia violazione dell’art. 26, comma 9, nonchè l’omesso esame e valutazione della prova testimoniale avente ad oggetto la preesistenza ultratrentennale del manufatto e, conseguentemente, la errata applicazione dell’art. 26, comma 7.

Tali censure sono infondate.

La prima doglianza è inammissibile in quanto non censura con apposito motivo di carattere processuale, la ratio della pronuncia impugnata, secondo cui, in difetto di rituale e tempestiva proposizione nell’atto introduttivo, erano precluse tutte le questioni diverse dalla preesistenza del manufatto e dalla sua qualificazione come recinzione, e ripropone questioni (misurazione dell’esatta altezza e distanza del manufatto) sulle quali il giudice di appello ha ritenuto essersi ormai formata una preclusione processuale.

La doglianza relativa alla “preesistenza trentennale” del manufatto risulta invece del tutto generica e non viene sviluppata in sede di esposizione del motivo.

Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 2001, art. 23 e dell’art. 116 c.p.c. per non avere il Tribunale considerato prove rilevanti su una circostanza essenziale, vale a dire la “preesistenza” dell’opera.

Pure tale motivo è inammissibile per genericità, ed in quanto si risolve, in sostanza, nella sollecitazione ad un riesame delle risultanze processuali, inammissibile in questa sede.

Conviene premettere che, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, in tema di valutazione delle risultanze probatorie in base al principio del libero convincimento del giudice, la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità (Cass.24434/2016).

Orbene nel caso di specie la Corte territoriale ha accertato, con valutazione di merito logicamente argomentata, che la dedotta preesistenza del manufatto non risultava provata, in considerazione della genericità delle dichiarazioni dei testi escussi, alcuni dei quali si erano limitati a riferire che negli ultimi trenta anni il terreno era stato variamente delimitato con recinzioni diverse, ma senza fornire ulteriori specificazioni sulle modalità con cui tale recinzione sarebbe stata effettuata, nè, soprattutto, sulle circostanze di tempo in cui la stessa sarebbe stata effettuata.

La Corte territoriale ha pertanto specificamente preso in esame il fatto controverso, costituito dall’ “anteriorità” della recinzione, ed ha ritenuto che non fosse stata raggiunta la relativa prova.

La ragione di censura non può, invero, consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove date dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge, in cui alla prova è assegnato un valore legale (Cass. n. 6064/2008).

Con il quarto motivo si denunzia la violazione dell’art. 26, comma 7 in quanto nessuna distanza è prescritta per la recinzione elettrica ad uso agricolo, nonchè dell’art. 113 c.p.c. per aver omesso di pronunciare secondo diritto, ed in contrasto con il disposto dell’art. 841 c.c.

Pure tale motivo è inammissibile per genericità.

Ed invero, a fronte dell’accertamento di fatto del giudice di merito che ha qualificato il manufatto come recinzione ai sensi dell’art. 26 C.d.S., in quanto costituito da pali di legno infissi nel terreno e tra loro collegati da un filo a delimitazione della proprietà, senza che ai fini dell’applicabilità della disposizione in esame potesse attribuirsi rilievo alla funzione assolta, si sovrappongono confusamente nell’enunciazione del medesimo motivo doglianze afferenti a profili differenti, senza una specifica indicazione delle statuizioni impugnate, nè la chiara esposizione delle ragioni per le quali la censura venga formulata, nè delle ipotesi, tra quelle tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1 invocate.

In particolare non è ravvisabile la violazione dell’art. 841 c.c. in relazione agli artt. 12 e 14 preleggi, atteso che il Tribunale non ha fatto ricorso all’interpretazione analogica, ma ha qualificato il manufatto come “recinzione”.

Con il quinto motivo si denunzia la violazione del disposto di cui al D.M. n. 140 del 2012, art. 4, commi 2 e 3 e 11 in riferimento all’eccessivo ammontare determinato per la liquidazione delle spese di lite.

Pure tale motivo è infondato, non sussistendo la dedotta violazione di legge.

Il tribunale ha infatti correttamente individuato lo scaglione applicabile e ed ha ritenuto, con valutazione di merito, che in quanto motivata con argomentazione logica, completa e coerente, non è sindacabile nel presente giudizio, congruo il compenso di Euro 3.550,00, sulla base di valore, natura e complessità della controversia e tenuto conto dell’attività svolta, mantenendosi comunque nei limiti stabiliti dal citato D.M. n. 140 del 2012, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame.

Ed invero, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, nel caso di liquidazione delle spese processuali sulla base delle tariffe approvate con il D.M. n. 140 del 2012, in difetto di specifica indicazione, non può presumersi che la somma liquidata sia stata parametrata dal giudice ai valori medi, rilevando unicamente che la liquidazione sia contenuta entro i limiti, massimo e minimo, delle tariffe medesime, peraltro nemmeno vincolanti, come si desume dall’art. 1, comma 7, del menzionato decreto. (Cass. 18167/2015).

Il ricorso va dunque respinto ed il ricorrente va condannato alla refusione delle spese del presente giudizio, che si liquidano come da dispositivo, ai sensi del D.M. n. 55 del 2014 applicabile ratione temporis al presente giudizio. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore del Comune di Villa Lagarina, che liquida in 645,00 Euro per compensi, oltre a 200,00 Euro per rimborso spese vive e rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del) ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 7 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2017

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