Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10298 del 20/05/2015


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 10298 Anno 2015
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: ARIENZO ROSA

ORDINANZA
sul ricorso 3936-2014 proposto da:
POSTE ITALIANE SPA 97103880585 – società con socio unico, in
persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale
rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
PO 25/B, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la
rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente contro

MONTESANO FRANCESCA;
– intimata –

avverso la sentenza n. 181/2013 della CORTE D’APPELLO di
FIRENZE, depositata il 07/02/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
09/04/2015 dal Consigliere Relatore Dott. ROSA ARIENZO.

Data pubblicazione: 20/05/2015

FATTO E DIRITTO
La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del 9
aprile 2015, ai sensi dell’art. 375 c.p.c. sulla base della seguente
relazione redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.:
In sede di rinvio da Cassazione n. 12472/2011 (che aveva cassato la

stipulato tra Poste Italiane s.p.a. e Montesano Francesca per esigenze
eccezionali dal 31.1.1998), la Corte di appello di Firenze, con sentenza
del 7.2.2013, in accoglimento per quanto di ragione del gravame
proposto dalla lavoratrice e di quello incidentale della società avverso la
sentenza di primo grado che aveva rigettato il ricorso della prima,
dichiarava la nullità del termine apposto al successivo contratto di lavoro
stipulato con decorrenza 12.10.1998 per esigenze eccezionali ex art. 8
c.c.n.l. 1994, da ritenersi a tempo indeterminato, condannando la
società a riammettere la Montesano nel posto di lavoro da ultimo
occupato, nonchè al risarcimento del danno in misura pari a sei
mensilità della retribuzione contrattualmente stabilita, oltre che al
pagamento dei due terzi delle spese di tutti i gradi.
Per la cassazione di tale decisione ricorre la società affidando
l’impugnazione a due motivi.
La Montesano è rimasta intimata.
Con il primo motivo, la società denunzia violazione e/o falsa
applicazione degli artt. 1362, 1363 e ss. c. c., sostenendo la natura
ricognitiva degli accordi cd, attuativi, che avevano accertato il
permanere delle esigenze eccezionali poste a fondamento della
normativa autorizzato ria e chele parti non avevano mai pattuito un
limite di validità temporale ma semplicemente riconosciuto la
persistenza delle esigenze aziendali retrostanti la causale in esame
riconoscendo la possibilità di ricorrere ad assunzioni a tempo
determinato.
Con il secondo motivo, lamenta violazione e/o falsa applicazione
dell’art. 8 della legge 604/66, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., rilevando
che la Corte del merito non ha proceduto ad una concreta e completa
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sentenza impugnata con riferimento al primo dei contratti a termine

analisi dei criteri di cui all’art. 8 della legge citata con riferimento al caso
di specie, omettendo altresì di considerare quanto disposto dall’art. 32,
comma 6 I. 183/10, con riguardo alla possibilità di dimezzare l’indennità
in presenza di contratti ovvero di accordi collettivi nazionali territoriali o
aziendali stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più

Il contratto in questione, successivo a quello intercorso tra le stesse
parti dal 30.1.1998 al 30.4.1998, era stato invero stipulato per esigenze
eccezionali connesse alla rimodulazione degli assetti occupazionali, in
epoca successiva al termine ultimo di operatività degli accordi di cd.
copertura derogatoria, attuativi del’accordo integrativo del 25.9.1997 ed
antecedente all’entrata in vigore del D. Igs 368/2001. La Corte riteneva
al riguardo che la fissazione di un termine di efficacia in ogni singolo
contratto collettivo e le proroghe a tale termine si spiegassero solo con
la consapevolezza che l’esigenza di ristrutturare l’organizzazione
dell’azienda era suscettibile di trovare soddisfacimento in un arco
temporale determinato e che la valutazione, in anticipo, di tale spatium
temporis rispondeva anche alla necessità di evitare abusi connessi
all’applicazione di una disciplina priva di indicazioni temporali. Oltre il
limite del 30.4.1998 nessuno strumento derogatorio, in grado di
legittimare le assunzioni temporanee era più configurabile, per cui la
sentenza di primo grado era da riformare.
L’ infondatezza del primo motivo e la correttezza di quanto ritenuto
invece dal giudice della riasssunzione discende dalla considerazione
che la costante giurisprudenza di questa Corte ritiene che la L. 28
febbraio 87, n. 56, art. 23, nel demandare alla contrattazione collettiva la
possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste
dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 nonché dal D.L. 29 gennaio 1983,
n. 17, art. 8 bis conv. dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di
apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura
una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali,
pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a

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rappresentative sul piano nazionale.

termine comunque omologhe a quelle previste per legge (v. S.u. 2.3.06
n. 4588).
Dato che in forza di tale delega le parti sindacali hanno individuato,
quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui all’accordo
integrativo del 25.9.97, la giurisprudenza considera corretta

attuativi sottoscritti lo stesso 25.9.97 e il 16.1.98, ha ritenuto che con tali
accordi le parti abbiano convenuto di riconoscere la sussistenza
dapprima fino al 31.1.98 e poi (in base al secondo accordo) fino al
30.4.98 della situazione di fatto integrante delle esigente eccezionali
menzionate dal detto accordo integrativo. Per far fronte a tali esigenze
l’impresa poteva dunque procedere ad assunzione di personale con
contratto tempo determinato solo fino al 30.4.98, di modo che debbono
ritenersi privi di presupposto normativo i contratti a termine stipulati
successivamente. Le parti collettive, dunque, avevano raggiunto
un’intesa senza limite temporale ed avevano poi stipulato accordi
attuativi che tale limite avevano posto, fissandolo prima al 31.1.98 e
dopo al 30.4.98, per cui l’indicazione di quella causale nel contratto a
termine avrebbe legittimato l’assunzione solo se il contratto fosse
scaduto dopo il 30.4.98 (v., ex plurimis, Cass. 23.8.06 n. 18378).
La giurisprudenza citata ha, altresì, ritenuto irrilevante l’accordo
18.01.01 perché stipulato dopo oltre due anni dall’ultima proroga, e cioè
quando si era già perfezionato il diritto all’accertamento della nullità.
Anche se con quell’accordo le parti avessero voluto interpretare
autenticamente gli accordi precedenti, con effetti di sanatoria delle
assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25.09.97
(ormai scaduto), comunque sarebbe stato violato il principio
dell’indisponibilità del diritto dei lavoratori, dovendosi escludere che le
parti stipulanti potessero, con detto strumento, autorizzare ex posi
contratti a termine non più legittimi perché adottati in violazione della
durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12.03.04 n. 5141).
L’esistenza delle esigenze eccezionali è dunque negozialmente

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l’interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento agli accordi

riconosciuta fino al 30.04.98, di modo che la legittimità dei contratti a
termine stipulati entro tale data è basata su una ricognizione di fatto
derivante direttamente dal sistema normativo nato dall’attuazione
dell’art. 23. Essendo stato il secondo contratto con la Montesano,
oggetto del presente giudizio, stipulato successivamente al 30 aprile

Quanto al secondo motivo, è sufficiente osservare che, anche
attraverso il ricorso ai criteri indicati dalla L. n. 604 del 1966, art. 8, è
consentito di calibrare l’importo dell’indennità forfetaria in relazione alle
peculiarità delle singole vicende, come la durata dei contratti a tempo
determinato (evocata dal criterio dell’anzianità lavorativa), la gravità
della violazione e la tempestività della reazione del lavoratore
(sussumibili sotto l’indicatore del comportamento delle parti), lo
sfruttamento di occasioni di lavoro (e di guadagno) altrimenti inattingibili
in caso di prosecuzione del rapporto (riconducibile al parametro delle
condizioni delle parti), nonché le stesse dimensioni dell’impresa
(immediatamente misurabili attraverso il numero dei dipendenti. Così
interpretata, la nuova normativa – risultata nell’insieme, adeguata a
realizzare un equilibrato componimento dei contrapposti interessi – ha
superato il giudizio di costituzionalità sotto i vari profili sollevati, con
riferimento agli artt. 3, 4, 11, 24, 101, 102 e 111 Cost. e art. 117 Cost.,
comma 1 (cfr. C, Cost. 303/2011).
Orbene tale normativa è stata correttamente applicata nel caso in
esame, avendo la Corte del merito sia pure sinteticamente avuto
riguardo ai menzionati criteri (numero di contratti, durata degli stessi e
condizioni del singolo rapporto).
La ricorrente lamenta, poi, l’erronea mancata applicazione della
disposizione di cui al comma sesto dell’art. 32 legge n. 183/10, in base
alla quale “In presenza di contratti ovvero accordi collettivi nazionali,
territoriali o aziendali, stipulati con le organizzazioni sindacali
comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, che
prevedano l’assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già
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1998, il motivo deve disattendersi.

occupati con contratto a termine nell’ambito di specifiche graduatorie, il
limite massimo dell’indennità fissata dal comma 5 è ridotto alla metà”.
La ricorrente deduce che dal 2006 aveva sottoscritto con le 00.SS. gli
accordi volti alla stabilizzazione dei rapporti di lavoro convertiti a seguito
di provvedimenti giudiziali e che al momento dell’entrata in vigore della

vigore; ad avviso della società, la norma contemplante la riduzione
dell’indennità dovrebbe ritenersi applicabile per il fatto oggettivo
dell’adozione di tali accordi.
Il motivo presenta profili di inammissibilità a mente dell’art. 366 cod.
proc. civ. per essere carente sia la descrizione della vicenda
processuale, da cui potere evincere quando e in quali termini la
questione venne introdotta in giudizio dalla soc. Poste Italiane a seguito
della legge n. 183 del 2010, sia la descrizione del contenuto di tali
accordi. E invero, nel rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo
comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente
per cassazione deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato
omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il
“come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione
processuale tra le parti e la sua “decisività”. Nessuna indicazione in tal
senso viene fornita e l’omissione integra violazione del principio di
autosufficienza del ricorso per cassazione, il quale trova la propria
ragion d’essere nella necessità di consentire al giudice di legittimità di
valutare la fondatezza del motivo senza dover procedere all’esame dei
fascicoli di ufficio o di parte (cfr, Cass. n. 86 del 2012) e altresì di
permettere alla Corte di Cassazione di verificare se una determinata
questione possa ancora ritenersi sub iudice (cfr., Cass. n. 5970 del
2011).
Alla stregua delle considerazioni svolte, si propone, ex art. 375 cod.
proc. civ., n. 5, il rigetto del ricorso”.
Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta relazione,
unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di

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legge n. 183/10 (e fino al 31.12.2010) tali accordi erano ancora in

consiglio. La società ha depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art.
378 c.p.c.
Ritiene il Collegio che le osservazioni in fatto e le considerazioni e
conclusioni in diritto svolte dal relatore siano del tutto condivisibili e non
scalfite dalla memoria ex art. 380 bis cod. proc. civ. con la quale la
di ricorso.
Per le considerazioni esposte, il ricorso deve pertanto essere respinto.
Nulla va statuito sulle spese del presente giudizio, essendo la
Montesano rimasta intimata.
La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30
gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1
quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1,

comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228. Invero, in base al tenore
letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei
presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce
un atto dovuto, poiché l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è
collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto
oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetto integrale
o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione,
muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un
parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario
o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua
disposizione (così Cass., Sez. Un., n. 22035/2014).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per
il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9.4.2015

società, si è limitata a riproporre le ragioni esposte a sostegno dei motivi

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