Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10297 del 26/04/2017


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Cassazione civile, sez. II, 26/04/2017, (ud. 02/03/2017, dep.26/04/2017), n. 10297

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17417-2014 proposto da:

S.I., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BOEZIO 6,

presso lo studio dell’avvocato DANIELE CUTOLO, che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

G.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COSSERIA 2 C/O

ST.PLACIDI, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELLO CAPUNZO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1901/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 14/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/03/2017 dal Consigliere Dott. SCARPA ANTONIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Mistri Corrado, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

S.I. ha proposto ricorso articolato in unico motivo per

“violazione di legge e nullità della sentenza” avverso la sentenza della

CORTE D’APPELLO di NAPOLI n. 1901/2013, depositata il 14/05/2013, la

quale ha rigettato l’appello formulato dalla stessa Sansone contro la

sentenza n. 9472/2009 del Tribunale di Napoli. La causa aveva avuto

inizio con citazione del 19 dicembre 2006 di G.A., promissario

acquirente di immobile sito in Napoli alla via F. Russo, 34, del quale

era promittente venditrice S.I., in forza di proposta

d’acquisto del primo accettata dalla seconda in data 11 maggio 2006.

G.A. aveva chiesto di dichiarare l’inadempimento della convenuta,

con condanna al risarcimento dei danni in misura di Euro 30.000,00, pari

al doppio della caparra versata, essendo l’immobile viziato da abusi

edilizi insanabili, come confermato dal mancato parere favorevole alla

domanda di concessione in sanatoria inoltrata dalla S.. Il

Tribunale di Napoli aveva accolto le domande di G.A. e la Corte

d’Appello, nel confermarne la decisione, evidenziava come fosse stato

accertato il grave inadempimento della promittente venditrice per

l’incommerciabilità dell’immobile abusivo, visto il rigetto dell’istanza

di condono. I giudici del gravame aggiungevano che l’eccepita nullità

del contratto esulasse dal tema del giudizio, mancando sul punto

specifica domanda.

G.A. resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

L’unico motivo di ricorso di S.I. deduce “violazione

di legge e nullità della sentenza”. La ricorrente, date per accertate

l’abusività dell’immobile per la presenza di una sopraelevazione non

condonata, l’incommerciabilità del bene e la mancanza di conoscenza di

tale condizione dello stesso immobile dal parte del promittente

acquirente, contesta che la Corte d’Appello non potesse dichiarare la

legittimità del recesso del G. e la conseguente risoluzione del

contratto, in quanto avrebbe dovuto piuttosto sancirne la nullità, senza

neppure disporre la restituzione del doppio della caparra. La

ricorrente si duole altresì che la Corte di Napoli avesse erroneamente

ritenuta tardiva la questione della nullità del preliminare, perchè

sollevata solo in appello, trattandosi di questione comunque rilevabile

anche d’ufficio.

Il ricorso è infondato.

Va premesso come l’unico motivo di ricorso introduca una

censura di violazione di legge e di nullità della sentenza, ma non

indichi le nome di diritto su cui si fonda, come prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4.

In ogni caso, sotto il profilo processuale, non è corretta la

soluzione adottata dalla Corte d’Appello di Napoli, consistente nel

giudicare tardivo, e perciò inammissibile, il rilievo di nullità del

contratto, in quanto effettuato in giudizio vertente unicamente

sull’inadempimento contrattuale. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno

infatti chiarito come, alla luce del ruolo che l’ordinamento affida alla

nullità contrattuale, quale sanzione del disvalore dell’assetto

negoziale, il rilievo “ex officio” di una nullità negoziale deve

ritenersi consentito pure in tutte le ipotesi di impugnativa negoziale

(adempimento, risoluzione per qualsiasi motivo, annullamento,

rescissione), sicchè il giudice ha il potere – dovere di rilevare dai

fatti allegati e provati, o comunque emergenti “ex actis”, una volta

provocato il contraddittorio sulla questione, ogni forma di nullità del

contratto stesso (Cass. sez. un. 4 settembre 2012, n. 14828; Cass. sez.

un. 12 novembre 2014, n. 26242). Tanto più va ribadito come la nullità

del contratto sia rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del

processo in una causa, quale quella in esame, in cui di tale contratto

si deduca l’inadempimento, essendo il giudice tenuto a verificare

l’esistenza delle condizioni dell’azione e a rilevare d’ufficio le

eccezioni che, senza ampliare l’oggetto della controversia, tendano al

rigetto della domanda e possano configurarsi come mere difese del

convenuto. E in quanto, appunto, il rilievo della nullità del contratto

dedotto in lite integra gli estremi non di un’eccezione in senso

stretto, bensì di una mera difesa, esso ben può essere formulato nel

giudizio di appello, come avvenuto nel caso in esame, purchè sia fondato

su elementi già acquisiti al giudizio.

Peraltro, l’erronea declaratoria di inammissibilità

dell’eccezione di nullità rimane irrilevante, ai fini della cassazione

con rinvio della sentenza della Corte d’Appello di Napoli, potendosi in

questa sede esaminare il merito del ricorso e rilevandosi la suddetta

eccezione infondata, sicchè comunque inutile sarebbe il ritorno della

causa in fase di merito. A ciò induce, in forza dei principi di economia

processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111 Cost., comma 2, una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 384 c.p.c., consentendo di correggere la motivazione anche a fronte di un “error in procedendo” (Cass. sez. un. 2 febbraio 2017, n. 2731).

Fra le parti era stato concluso un contratto preliminare di compravendita immobiliare, per quanto emerge dagli atti.

In forza, allora, dell’interpretazione di questa Corte, cui il

Collegio intende dare continuità, la sanzione della nullità prevista

dalla L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 40,

con riferimento a vicende negoziali relative ad immobili privi della

necessaria concessione edificatoria, trova applicazione nei soli

contratti con effetti traslativi e non anche con riguardo ai contratti

con efficacia obbligatoria, quale il preliminare di vendita, come si

desume dal tenore letterale della norma, nonchè dalla circostanza che,

successivamente al contratto preliminare, può intervenire la concessione

in sanatoria degli abusi edilizi commessi o essere prodotta la

dichiarazione prevista dalla stessa norma, ove si tratti di immobili

costruiti anteriormente al 1 settembre 1967. Ne consegue che, anche nel

caso in cui il preliminare abbia ad oggetto un immobile privo della

concessione edificatoria, si ritiene costituito tra le parti un valido

vincolo giuridico (Cass. 19 dicembre 2013, n. 28456; Cass. 18 luglio 2011, n. 15734; Cass. 11 luglio 2005, n. 14489).

La ricorrente, peraltro, sostiene che i contratti di

trasferimento immobiliare aventi efficacia meramente obbligatoria

(quale, appunto, un preliminare di vendita), restano comunque

disciplinati dalla L. 28 gennaio 1977, n. 10, art. 15,

che prevedeva la nullità degli atti giuridici, aventi ad oggetto unità

edilizie costruite in assenza di concessione, salvo che dal contenuto

degli stessi atti risultasse formalmente ed inequivocamente che

l’acquirente fosse a conoscenza della mancata concessione e quindi della

nullità di cui si discute.

Tuttavia, dovendo la ricorrenza dei requisiti di forma e di

sostanza, necessari ai fini della validità di un contratto, riscontrarsi

con riferimento alla legge vigente al momento della stipula di questo,

basta osservare che si ha riguardo, nel caso in esame, a contratto

preliminare di compravendita di immobile stipulato in data 10 maggio

2006, ovvero ben dopo l’entrata in vigore della L. 28 febbraio 1985, n. 47, sicchè non potrebbe comunque ad esso applicarsi la sanzione di nullità, prevista dalla L. 28 gennaio 1977, n. 10, art. 15, essendo stata detta disposizione interamente sostituita da quelle di cui al capo primo della stessa L. n. 47 del 1985, come stabilito dall’art. 2 di quest’ultima (così Cass. 21 agosto 2012, n. 14579).

Essendosi comunque negata la nullità del contratto, non rileva,

pertanto, l’ulteriore questione circa le conseguenze del verificarsi di

una delle cosiddette nullità speciali urbanistiche a carattere

sostanziale sull’esperibilità dei rimedi (quale, appunto, il recesso)

generalmente spettanti al compratore in caso di inesattezza giuridica

della prestazione del venditore imputabile ad oneri, diritti non

apparenti e non conosciuti, atti a limitare il godimento della cosa (su

cui Cass. 19 dicembre 2006, n. 27129).

Conseguono il rigetto del ricorso e la regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di cassazione.

Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il al testo unico art. 13, comma 1 – quater, di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115

– dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore

importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per

l’impugnazione di cui al ricorso R.G. 411/2015, integralmente rigettato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a

rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di cassazione, che

liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi,

oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1,

comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da

parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo

unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art.

13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 2 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2017

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