Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10297 del 20/05/2015


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 10297 Anno 2015
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: ARIENZO ROSA

ORDINANZA
sul ricorso 3565-2014 proposto da:
POSTE ITALIANE SPA 97103880585, – Società con socio unico -, in
persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale
rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE MAZZINI
134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la
rappresenta e difende giusta procura speciale ad litem a margine del
ricorso;
– ricorrente contro
BENENATI GIANFRANCO, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA TACCHINI N.7, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO
POLESE, rappresentato e difeso dall’avvocato ANNA LISA RENDA
giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;
– controricorrente e ricorrente incidentale –

Data pubblicazione: 20/05/2015

incidental
avverso la sentenza n. 1011/2012 della CORTE D’APPELLO di
BOLOGNA del 6/12/2012, depositata il 29/01/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

FATTO E DIRITTO
La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del 9
aprile 2015, ai sensi dell’art. 375 c.p.c. sulla base della seguente
relazione redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.:
“Con sentenza del 29.1.2013, la Corte di appello di Bologna, in
parziale riforma della decisione di primo grado sul capo relativo
al’obbligo risarcitorio, condannava la società Poste Italiane a
corrispondere a Benenati Gianfranco una indennità pari ad otto
mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto oltre accessori di legge
dalla sentenza fino al saldo, confermando per il resto la pronuncia
anche in tema di regolamentazione delle spese.
Osservava la Corte quanto al contratto a termine stipulato tra le parti il
21.7.1999 per necessità di espletamento del servizio in concomitanza di
assenze per ferie nel periodo giugno-settembre — dichiarato nullo dal
primo giudice quanto al termine appostovi — che effettivamente doveva
ravvisarsi una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati,
non vincolati alla individuazione di nuove figure di contratto a termine
omologhe a quelle previste per legge e che non dovesse essere indicato
il nome del lavoratore sostituito, ma che, tuttavia, dalla data del
31.12.1997 (oppure dal 30.4.1998, tenuto conto degli accordi integrativi
stipulati in data 25.9.1997, 16.1.1998 e 27.4.1998) l’art. 8 cml non
poteva più legittimare la conclusione di contratti a termine per le causali
in esso previste. Doveva, pertanto, essere confermata la sentenza
appellata nella parte in cui aveva dichiarato l’illegittimità del termine
apposto al primo contratto e la costituzione tra le parti di un rapporto di
lavoro subordinato a tempo indeterminato dal 21.7.1999. Quanto alle
conseguenze economiche, ritenuta l’applicabilità delle norme di cui alla
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09/04/2015 dal Consigliere Relatore Dott. ROSA ARIENZO.

I. 183/2010 a tutti i giudizi in corso, rilevava che, avuto riguardo al
numero di contratti a termine conclusi tra le parti, era equo determinare
la stessa in otto mensilità dell’ultima retribuzione. Respingeva, poi, ogni
altra eccezione relativa alla risoluzione del rapporto per mutuo consenso
e alla restituzione di somme percepite in esecuzione della sentenza

Per la cassazione di tale decisione ricorre la società, affidando
l’impugnazione a due motivi, cui resiste con controricorso il Benenati,
che a sua volta propone ricorso incidentale fondato su unico motivo.
Con il primo motivo , la società deduce violazione e falsa applicazione
dell’art. 87 del ccnI 26.11.1994, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c. ed
omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, rilevando che la
fattispecie era caratterizzata da una serie di circostanze che
evidenziavano inconfutabilmente l’intenzione delle parti sociali di
applicare la normativa collettiva ben oltre la data formalmente indicata
quale termine di scadenza del contratto collettivo, alla luce dei contratti
integrativi nei quali veniva espressamente richiamata la disciplina
pattizia formalmente scaduta e che il comportamento concludente delle
parti costituiva ulteriore conferma della libera e reciproca volontà delle
stesse di proseguire nell’applicazione delle disposizioni contrattuali.
Richiama sentenza n. 3314/2013 della S.C. che aveva ritenuto l’implicito
riconoscimento da parte delle parti sociali dell’operatività dell’ipotesi
legittimante la stipulazione a termine per necessità di espletamento del
servizio in concomitanza di ferie anche per i successivi mesi estivi del
1998 e per i successivi periodi feriali.
Con il secondo motivo, denunzia la violazione e falsa applicazione
dell’art. 32 I. 183/2010, rilevando che la Corte aveva omesso di
considerare ai fini della quantificazione dell’indennità, che nulla la
controparte aveva evidenziato in merito alla propria posizione lavorativa
ed all’intrattenimento di altri e successivi rapporti lavorativi, e chiedendo,
in caso di ritenuta illegittimità del contratto, che l’indennità
omnicomprensiva fosse ridotta a 2,5 mensilità.

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impugnata, in difetto di qualsiasi prova dell’avvenuto pagamento.

A sua volta il ricorrente incidentale censura la decisione della Corte di
Bologna per violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ed in
particolare dell’art. 32 I. 18372010 in relazione alla Direttiva 70/9/CE,
rilevando che, in base alla lettura combinata della clausola n. 4 e n. 8.1
della Direttiva, una volta effettuata la scelta di parificare le conseguenze

reintegrazione prevista dall’art. 18 I. 300/70 per i lavoratori a tempo
indeterminato, la tutela di ci cui alla clausola n. 4 dell’accordo quadro
deve essere effettiva, con conseguente inapplicabilità dell’art. 32 I. n.
183/2010.
Sulla questione dell’interpretazione dell’art. 87 del c.c.n.l. del 1994,
questa Corte ha più volte affermato che la tesi secondo cui le parti
collettive avrebbero voluto, fin dall’inizio, disporre una ultrattività del
contratto collettivo, risulta contraddittoria e contraria sia al criterio
letterale sia a quello sistematico (v. fra le altre Cass. 4-7-2012 n. 11161,
Cass. 25-5-2012 n. 8288). Premesso che “i contratti collettivi di diritto
comune, costituendo manifestazione dell’autonomia negoziale degli
stipulanti, operano esclusivamente entro l’ambito temporale concordato
dalle parti, atteso che l’opposto principio di ultrattività sino ad un nuovo
regolamento collettivo – secondo la disposizione dell’art. 2074 cod. civ. ponendosi come limite alla libera volontà delle organizzazioni sindacali,
sarebbe in contrasto con la garanzia prevista dall’art. 39 Cost.” (v. Cass.
S.U. 30-5-2005 n. 11325), questa Corte ha affermato che con l’art. 87
del c.c.n.l. del 1994 le parti collettive hanno semplicemente fissato la
decorrenza del c.c.n.l. contestualmente alla data di stipulazione,
coincidente con la decorrenza della disciplina sostanziale privatistica. In
particolare, come è stato chiarito, “la decorrenza del contratto, salve
diverse decorrenze espressamente indicate per singoli istituti, è quella
della data di stipula e la scadenza prevista è quella del 31-12-1997. Il
comma 2, che non può essere letto isolatamente e per di più falsando il
riferimento temporale iniziale (cosi, in sostanza, intendendo la
“medesima data” come quella di scadenza anziché quella di
decorrenza), si sviluppa chiaramente sulla premessa di cui al comma 1
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dell’illegittimità del termine attraverso la ricostruzione del rapporto con la

e nel contesto della privatizzazione del rapporto, di guisa che è evidente
che è dalla data di stipulazione e di decorrenza del contratto collettivo
che il rapporto di lavoro del personale dell’Ente è soggetto alla disciplina
privatistica di legge e del contratto collettivo stesso. In tal modo,
soltanto, il comma 2 non risulta in contraddizione con il primo, ed

privatizzazione (anche sostanziale) del rapporto”. Nel contempo,
peraltro, questa Corte ha anche costantemente ribadito che “ciò non
esclude, però, che le stesse parti collettive abbiano, eventualmente,
anche solo per facta concludentia, proseguito nella applicazione del
contratto collettivo pur dopo la scadenza fissata, di guisa che comunque
ben possono assumere rilevanza il comportamento successivo delle
parti medesime e gli accordi successivamente intercorsi, in base alle
rituali allegazioni e prove delle parti” (in tal senso con riguardo al c.c.n.l.
de quo, seppure con riferimento a fattispecie non afferente la
problematica del contratto a termine v. già Cass. 2-2-2009 n. 2590).
Orbene, in effetti, al riguardo, come è stato più volte precisato,
“l’accordo del 25 settembre 1997, nell’aggiungere l’ipotesi delle
esigenze eccezionali, ha confermato la volontà congiunta delle parti
stipulanti di ritenere tuttora legittimamente operanti le altre ipotesi, tra
cui quella dell’assenza per ferie, previste dall’art. 8 del c.c.n.l. del 1994;
tale volontà di ritenere vigente quest’ultima ipotesi a prescindere da
limitazioni di carattere temporale ha trovato esplicita conferma
nell’accordo 27 aprile 1998 che estende al mese di maggio,
limitatamente all’anno 1998, il periodo di ferie di cui all’art. 8 del c.c.n.l.
del 1994. Infatti, l’estensione al mese di maggio 1998 del periodo di
ferie previsto dall’art. 8 del c.c.n.l. del 1994 (inizialmente fissato al
periodo giugno-settembre) dimostra l’implicito riconoscimento
dell’operatività dell’ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a
termine per necessità di espletamento del servizio in concomitanza di
assenze per ferie anche per i successivi mesi estivi del 1998 (e per i
successivi periodi feriali), a prescindere da ulteriori accordi autorizzatori”

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assume un chiaro senso logico-sistematico, all’interno della

(v. Cass. 1-3-2011 n. 4990, Cass. 24-2-2011 n. 4514, Cass. 24-2-2011
n. 4513, Cass. 10-12-2009 n. 25934).
L’accoglimento del primo motivo del ricorso principale, comporta
l’assorbimento del secondo del principale e dell’incidentale che
afferiscono alle conseguenze risarcitorie connesse all’illegittimità

conseguenza che la sentenza deve essere cassata in relazione al
motivo accolto.
Questa la proposta al Collegio, cui deve unirsi quella del rinvio alla
Corte del merito designanda, anche per le spese, in relazione alla
necessità di verificare la legittimità del termine apposto agli ulteriori
contratti stipulati tra le parti”.
Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta relazione,
unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di
consiglio. Il ricorrente incidentale ha depositato memoria illustrativa, ai
sensi dell’art. 378 c.p.c.
Orbene, il Collegio ritiene di condividere il contenuto e le conclusioni
della riportata relazione, con conseguente accoglimento della censura
relativa alla legittimità dell’apposizione del termine per necessità di
espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel
periodo giugno — settembre, in conformità a quanto ritenuto da
consolidata giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le tante, da ultimo,
Cass. 353072015, Cass. 654/2015). La sentenza va dunque cassata in
relazione al motivo accolto.
L’accoglimento del primo motivo determina l’assorbimento del secondo
motivo del ricorso principale e del ricorso incidentale (attinenti alle
conseguenze risarcitorie connesse alla illegittimità del termine), e la
causa va rimessa, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte
del merito indicata in dispositivo per la verifica della legittimità del
termine apposto ai successivi contratti intercorsi tra le parti.
P.Q.M.

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dell’apposizione del termine, nella specie da ritenere legittima, con la

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbiti il
secondo del ricorso principale e quello incidentale, cassa la decisione
impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese,
alla Corte di appello di Bologna in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9.4.2015

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