Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10296 del 29/04/2010

Cassazione civile sez. I, 29/04/2010, (ud. 03/03/2010, dep. 29/04/2010), n.10296

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

SIMER S.P.A., fallita, in persona del curatore pro tempore, con

domicilio eletto in Roma, via Lucrezio Caro n. 62, presso l’Avv.

Ciccotti Sabina, che la rappresenta e difende unitamente all’Avv.

Stefano Binda, come da procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

VENETO BANCA S.C.A R.L., con domicilio eletto in Roma, via A.

Chinotto n. 1, presso l’Avv. Prastaro Ermanno che la rappresenta e

difende unitamente all’Avv. Marina Cavedal, come da procura in calce

al controricorso;

– controricorrente –

nonchè sul ricorso n. 6364/05 proposto da:

VENETO BANCA S.C.A R.L., come sopra domiciliata e difesa;

– ricorrente incidentale –

contro

SIMER S.P.A., fallita, come sopra domiciliata e difesa;

– controricorrente al ricorso incidentale –

per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Venezia n.

1342/04 depositata il 10 agosto 2004;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

giorno 3 marzo 2010 dal Consigliere relatore Dott. Vittorio

Zanichelli;

sentite le richieste del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. APICE Umberto che ha concluso per il rigetto di

entrambi i ricorsi;

udito l’Avv. Ciccotti per la curatela ricorrente.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 21 maggio 1998 la curatela della Simer S.p.a., dichiarata fallita in data (OMISSIS), ha convenuto in giudizio avanti al Tribunale di Bassano del Grappa la Banca Popolare di Asolo e Montebelluna al fine di ottenere, secondo la prospettazione della ricorrente, la restituzione dell’importo di L. 300.874.075 corrispondente al controvalore di un certificato di deposito acquistato dalla Simer prima del fallimento che, collocato in un deposito titoli a garanzia presso l’istituto bancario, era stato da questi venduto il (OMISSIS) per l’importo sopra indicato in esito alla revoca di tutti gli affidamenti alla Simer S.p.a. senza che il controvalore risultasse introitato dalla società.

Il Tribunale adito, dopo avere disposto una CTU, ha rigettato, come si legge nell’impugnata decisione, la domanda di revoca dell'”atto di negoziazione del certificato di deposito” ritenendo applicabile l’istituto della compensazione ex art. 56, L. Fall..

Sul gravame principale della curatela e su quello incidentale della Veneto Banca s.c.a r.l. (già Banca Popolare di Asolo e Montebelluna) la Corte d’appello di Venezia li ha rigettati entrambi e confermato quindi la sentenza impugnata ritenendo ritualmente dedotta l’eccezione di compensazione da parte dell’istituto bancario e inammissibile, in quanto costituente modifica dell’originaria domanda, quella di revocabilità della rimessa in conto corrente dell’importo in discussione avanzata dal fallimento nonchè infondato l’appello incidentale dell’istituto bancario sulla compensazione delle spese in considerazione dell’ambigua condotta difensiva del medesimo.

Entrambe le parti ricorrono per cassazione.

La curatela fallimentare, ricorrente principale, deduce tre motivi censurando, con i primi due, l’interpretazione del contenuto della domanda operata dal giudice del merito e, con il terzo, l’affermazione secondo cui la sostituzione della richiesta di revoca dell’atto di negoziazione del certificato di deposito con quella di revoca della rimessa in conto corrente del ricavato della cessione possa essere qualificata come proposizione di domanda nuova.

L’istituto bancario, oltre a proporre controricorso, propone altresì ricorso incidentale dolendosi della compensazione delle spese in grado di appello.

Resiste la curatela al ricorso incidentale con controricorso.

All’udienza di discussione i ricorsi sono stati riuniti, essendo stati proposti avverso la stessa sentenza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente fallimento si duole della contraddittorietà della motivazione della impugnata decisione che avrebbe rilevato che la domanda era rimasta ferma in grado di appello e, nello stesso tempo, che era stata inammissibilmente modificata. La censura è infondata in quanto frutto di un’errata lettura della motivazione, posto che la Corte ha rilevato da una parte la mancata modifica della domanda originaria nell’ambito delle conclusioni “dismesse in questo grado di giudizio”, con evidente riferimento alla conclusioni dell’atto di appello e dall’altra un’inammissibile modifica della domanda con altrettanto evidente riferimento alla conclusioni assunte ex art. 352 c.p.c. in esito alla trattazione.

Con il secondo motivo si deduce un’erronea interpretazione della domanda che, contrariamente all’assunto della Corte territoriale secondo cui in primo grado sarebbe stata richiesta la revoca dell’atto di cessione del certificato di credito e solo in grado di appello sarebbe stata richiesta la revoca della rimessa in conto corrente del ricavato della medesima, nella sostanza sarebbe sempre stata volta alla declaratoria di inefficacia e quindi alla revoca dell’effetto estintivo del debito conseguito tramite la rimessa in conto corrente del ricavato della vendita del certificato.

Il motivo è infondato in quanto sulla interpretazione della domanda come volta unicamente e specificatamente ad ottenere la revoca dell’atto di negoziazione del certificato di deposito e quindi dell’atto dispositivo effettuato dall’istituto bancario che lo deteneva si è chiaramente pronunciato il tribunale che, come risulta dall’esposizione della vicenda processuale operata dal giudice del gravame e non contestata, su tale presupposto interpretativo ha rigettato la domanda. E’ principio acquisito quello secondo cui è consentito solo al giudice di primo grado il potere incondizionato di qualificazione della domanda, mentre al giudice di appello – in ragione dell’effetto devolutivo di tale impugnazione e della presunzione di acquiescenza di cui all’art. 329 c.p.c. – non è più permesso di mutare ex officio la qualificazione ritenuta dal primo giudice, a meno che questa non abbia formato oggetto di impugnazione esplicita o, quanto meno, implicita, nel senso che una diversa qualificazione giuridica costituisca la necessaria premessa logico- giuridica di un motivo di impugnazione espressamente formulato (Cassazione civile, sez. 2, 30 luglio 2008, n. 20730). Poichè nella specie la qualificazione della domanda non è stata oggetto di specifica contestazione tanto che la conclusioni dell’atto di appello, come ha rilevato la Corte territoriale e non è stato motivatamente smentito, non sono state difformi da quelle della domanda introduttiva del primo grado, ne consegue che il giudice del gravame non poteva che prendere atto di tale qualificazione e valutare alla luce della stessa le conclusioni assunte successivamente dall’appellante fallimento in esito alla trattazione.

Ugualmente infondato è il terzo motivo con cui si contesta la qualificazione della domanda volta ad ottenere la revoca delle rimesse in conto corrente come nuova rispetto a quella diretta ad ottenere la revoca dell’atto dispositivo del certificato dal momento che è evidentemente diverso l’atto che si assume idoneo a violare la par condicio che nella domanda introduttiva è stato individuato sia nell’atto di cessione del certificato di credito che nell’omesso versamento del ricavato mentre in corso di giudizio di appello è stato ravvisato nell’estinzione della passività esistente sul conto corrente della impresa poi fallita mediante l’accredito del ricavato della richiamata cessione e quindi in un’operazione materialmente e giuridicamente diversa nell’ambito della quale l’atto di disposizione del certificato assumeva valore prodromico ma non era oggetto in se di revocatoria.

Infondato, infine, è anche il ricorso incidentale con cui si censura la sentenza impugnata per avere compensato le spese del giudizio di secondo grado in base alle stesse considerazioni che avevano portato a tale statuizione il tribunale. Non essendo stata impugnata in questa sede la pronuncia della Corte che ha ritenuto corretta la compensazione delle spese effettuata dal Tribunale in considerazione della ambigua condotta processuale tenuta dall’istituto di credito che non avrebbe preso una posizione netta sul fatto, tale qualificazione può ritenersi acquisita per cui è immune da vizi logico giuridici la statuizione di compensazione anche delle spese del grado di appello, avendo evidentemente il giudice ritenuto che la difesa del fallimento abbia subito sostanzialmente un pregiudizio anche in tale grado dalla condotta (censurata) del convenuto poi appellato.

La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese anche in questa fase.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale e compensa le spese tra le parti.

Così deciso in Roma, il 3 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 29 aprile 2010

 

 

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