Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10295 del 20/05/2015


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 10295 Anno 2015
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: ARIENZO ROSA

ORDINANZA
sul ricorso 73-2014 proposto da:
POSTE ITALIANE SPA 97103880585, – società con socio unico -, in
persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,
V.LE MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI
FIORILLO, che la rappresenta e difende giusta procura ad litem a
margine del ricorso;
– ricorrentecontro

COLUCCI FEDERICA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
RENO 21, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO RIZZO, che la
rappresenta e difende giusa procura speciale a margine del
controricorso;
– controricorrente –

Data pubblicazione: 20/05/2015

avverso la sentenza n. 9975/2012 della CORTE D’APPELLO di
ROMA del 28/11/2012, depositata il 19/12/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
09/04/2015 dal Consigliere Relatore Dott. ROSA ARIENZO.
FATTO E DIRITTO

aprile 2015, ai sensi dell’art. 375 c.p.c. sulla base della seguente
relazione redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.:
“In sede di rinvio da Cassazione 6215/2010 (che aveva cassato la
sentenza impugnata con riferimento al secondo dei contratti a termine
stipulato per esigenze eccezionali dal 4.5.1999 al 31.5.1999), la Corte di
appello di Roma, con sentenza non definitiva del 7.10.2011, in
accoglimento per quanto di ragione del gravame proposto da Colucci
Federica avverso la sentenza di primo grado che aveva rigettato il
ricorso della predetta, dichiarava la nullità del termine apposto al
contratto di lavoro stipulato con la società Poste Italiane con decorrenza
4.5.1999, da ritenersi a tempo indeterminato, e disponeva la
prosecuzione del giudizio in ordine alle richieste risarcitorie. In ordine a
queste ultime, la sentenza definitiva del 19.12.2012, disponeva la
condanna della società al risarcimento del danno in misura pari a
quattro mensilità della retribuzione contrattualmente stabilita, oltre
interessi e rivalutazione monetaria ex art. 429 cpc con decorrenza dal
31.5.1999.
Il contratto in questione, successivo a quello intercorso tra le stesse
parte dal 30.7 al 30.9.1997, era stato invero stipulato per esigenze
eccezionali connesse alla rimodulazione degli assetti occupazionali, in
epoca successiva al termine ultimo di operatività degli accordi di cd.
copertura derogatoria, attuativi del’accordo integrativo del 25.9.1997 ed
antecedente all’entrata in vigore del D. Igs 368/2001. La Corte riteneva
al riguardo che la fissazione di un termine di efficacia in ogni singolo
contratto collettivo e le proroghe a tale termine si spiegassero solo con
la consapevolezza che l’esigenza di ristrutturare l’organizzazione
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La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del 9

dell’azienda era suscettibile di trovare soddisfacimento in un arco
temporale determinato e che la valutazione, in anticipo, di tale spatium
temporis rispondeva anche alla necessità di evitare abusi connessi
all’applicazione di una disciplina priva di indicazioni temporali. Oltre il
limite del 30.4.1998 nessuno strumento derogatorio, in grado di

sentenza di primo grado era da riformare.
Per la cassazione di tali decisioni ricorre la società affidando
l’impugnazione a tre motivi.
La Colucci ha resistito con controricorso.
Viene dedotta, con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione
dell’art. 23 I. 56/87 , dell’art. 8 ccnI 26.11.1994, nonché degli accordi
sindacali del 25.9.1997, del 16.1.1998, del 27.4.1998, del 2.7.1998, del
24.5.1999 e del 18.1.2001 , in connessione con gli artt. 1362 e ss. c. c.,
ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., sostenendosi la natura ricognitiva degli
accordi cd, attuativi, che avevano accertato il permanere delle esigenze
eccezionali poste a fondamento della normativa autorizzatoria.
Con il secondo motivo, viene denunciato vizio di omesso esame circa
fatto decisivo ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c., sostenendosi che gli
accordi attuativi si riferiscono alla prima delle esigenze poste a base
dell’accordo del 25.9.1997 e non alle altre due ivi enunciate, che non
possono considerarsi limitate temporalmente.
Con il terzo motivo, viene dedotta la violazione e falsa applicazione
dell’art. 32 I. 183/2010 e dell’art. 429 c.p.c., osservandosi che nulla la
controparte aveva evidenziato in merito alla propria condizione
lavorativa ai fini della quantificazione dell’indennità omnicomprensiva e
che la stessa avrebbe dovuto invece provare, ai sensi dell’art. 2697 c.
c., di non avere intrattenuto altri e successivi rapporti di lavoro, di non
avere percepito ulteriori somme a titolo retributivo, di essersi attivata per
il reperimento di altra occupazione e che a tale omissione conseguiva
che l’indennità dovesse essere determinata nella misura minima. Rileva,
poi, la ricorrente che l’indennità in questione non costituiva un credito di
lavoro, sicchè non andava adeguata e che comunque gli interessi e la
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legittimare le assunzioni temporanee era più configurabile, per cui la

rivalutazione non dovessero essere fatti decorrere dalla data indicata
nella sentenza impugnata.
La infondatezza del primo e del secondo motivo, che devono trattarsi
congiuntamente per l’evidente connessione delle questioni che ne
costituiscono l’oggetto, discende dalla considerazione che la costante

art. 23, nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di
individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile
1962, n. 230, art. 1 nonché dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis
conv. dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un
termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria
delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono
vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque
omologhe a quelle previste per legge (v. S.u. 2.3.06 n. 4588).
Dato che in forza di tale delega le parti sindacali hanno individuato,
quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui all’accordo
integrativo del 25.9.97, la giurisprudenza considera corretta
l’interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento agli accordi
attuativi sottoscritti lo stesso 25.9.97 e il 16.1.98, ha ritenuto che con tali
accordi le parti abbiano convenuto di riconoscere la sussistenza
dapprima fino al 31.1.98 e poi (in base al secondo accordo) fino al
30.4.98 della situazione di fatto integrante delle esigente eccezionali
menzionate dal detto accordo integrativo. Per far fronte a tali esigenze
l’impresa poteva dunque procedere ad assunzione di personale con
contratto tempo determinato solo fino al 30.4.98, di modo che debbono
ritenersi privi di presupposto normativo i contratti a termine stipulati
successivamente. Le parti collettive, dunque, avevano raggiunto
un’intesa senza limite temporale ed avevano poi stipulato accordi
attuativi che tale limite avevano posto, fissandolo prima al 31.1.98 e
dopo al 30.4.98, per cui l’indicazione di quella causale nel contratto a
termine avrebbe legittimato l’assunzione solo se il contratto fosse
scaduto dopo il 30.4.98 (v., ex plurimis, Cass. 23.8.06 n. 18378).

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giurisprudenza di questa Corte ritiene che la L. 28 febbraio 87, n. 56,

La giurisprudenza citata ha, altresì, ritenuto irrilevante l’accordo
18.01.01 perché stipulato dopo oltre due anni dall’ultima proroga, e cioè
quando si era già perfezionato il diritto all’accertamento della nullità.
Anche se con quell’accordo le parti avessero voluto interpretare
autenticamente gli accordi precedenti, con effetti di sanatoria delle

(ormai scaduto), comunque sarebbe stato violato il principio
dell’indisponibilità del diritto dei lavoratori, dovendosi escludere che le
parti stipulanti potessero, con detto strumento, autorizzare ex posi
contratti a termine non più legittimi perché adottati in violazione della
durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12.03.04 n. 5141).
L’esistenza delle esigenze eccezionali è dunque negozialmente
riconosciuta fino al 30.04.98, di modo che la legittimità dei contratti a
termine stipulati entro tale data è basata su una ricognizione di fatto
derivante direttamente dal sistema normativo nato dall’attuazione
dell’art. 23. Essendo stato il secondo contratto con la Colucci stipulato
successivamente al 30 aprile 1998, i motivi sono infondati. Peraltro, non
va mancato di osservare, quanto al secondo motivo, con il quale si
deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato
oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 n. 5 cpc, nella
nuova formulazione, applicabile ratione temporis, che, “perché la
violazione sussista, secondo le Sezioni Unite (Cass. s. u. 80153/14), si
deve essere in presenza di un vizio “così radicale da comportare con
riferimento a quanto previsto dall’art. 132, n. 4, cod. proc. civ. la nullità
della sentenza per mancanza di motivazione”. Mancanza di motivazione
si ha quando la motivazione manchi del tutto oppure formalmente esista
come parte del documento, ma le argomentazioni siano svolte in modo
“talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di
riconoscerla come giustificazione del decisum”.
Pertanto, a seguito della riforma del 2012 scompare il controllo sulla
motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il
controllo sulla esistenza (sotto il profilo della assoluta omissione o della
mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile
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assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25.09.97

contraddittorietà e dell’illogicità manifesta) .
Nessuno di tali vizi ricorre nel caso in esame.
La prima parte del terzo motivo è infondata posto che il carattere
omnicomprensivo dell’indennità esclude ogni valutazione in ordine alla
attività prestata dal lavoratore nel periodo intermedio e che,

prova relativa all’esistenza di condizioni del prestatore che possano
incidere in senso riduttivo sulla determinazione dell’indennità .
Come affermato da questa Corte (Cass., n. 3056 del 2012 e da
numerose altre successive), lo “ius superveniens” costituito dalla L. n.
183 del 2010, ex art. 32, commi 5, 6 e 7, configura, alla luce
dell’interpretazione adeguatrice offerta dalla Corte costituzionale con
sentenza n. 303 del 2011, una sorta di penale “ex lege” a carico del
datore di lavoro che ha apposto il termine nullo; pertanto, l’importo
dell’indennità è liquidato dal giudice, nei limiti e con i criteri fissati dalla
novella, a prescindere dall’intervenuta costituzione in mora del datore di
lavoro e dalla prova di un danno effettivamente subito dal lavoratore
(senza riguardo, quindi, per l’eventuale “aliunde perceptum”), trattandosi
di indennità “forfetizzata” e “onnicomprensiva” per i danni causati dalla
nullità del termine nel periodo cosiddetto “intermedio” (dalla scadenza
del termine alla sentenza di conversione).
In senso conforme a quanto già affermato dalla Corte costituzionale e
da questa Corte di legittimità è stata poi emanata la legge n. 92 del
2012 che, all’art. 1, comma 13, con norma di interpretazione autentica
ha così disposto: La disposizione di cui al comma 5 dell’art. 32 della
legge 4 novembre 2010 n. 183 si interpreta nel senso che l’indennità ivi
prevista ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese
le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso
fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il
quale il giudice abbia ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro (cfr.
Cass. 14 4.2014 n. 75555; Cass. 15.4.2014 n. 8747) .
L’indennità in esame deve essere annoverata, poi, fra i crediti di lavoro
ex art. 429, comma 3, cod. proc. civ. giacché, come più volte affermato
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diversamente da quanto assume la società, è a carico di quest’ultima la

da questa Corte, tale ampia accezione si riferisce a tutti i crediti
connessi al rapporto di lavoro e non soltanto a quelli aventi natura
strettamente retributiva (cfr., ad esempio, per i crediti liquidati ex art. 18
legge n. 300 del 1970, Cass. 23 gennaio 2003 n. 1000; Cass. 6
settembre 2006 n. 19159; per l’indennità ex art. 8 della legge n. 604 del

risarcimento del danno ex art. 2087 cod. civ., Cass. 8 aprile 2002 n.
5024).
Va, peraltro, precisato che dalla natura di liquidazione forfettaria e
onnicomprensiva del danno relativo al detto periodo consegue che gli
accessori ex art. 429, terzo comma, cod. proc. civ. sono dovuti soltanto
a decorrere dalla data della sentenza che, appunto, delimita
temporalmente la liquidazione stessa. In tal senso va pertanto riformata
la decisione impugnata n. 9975/2012, in accoglimento della seconda
parte del terzo motivo di impugnazione.
Per tutto quanto sopra considerato, si propone, ex art. 375 cod. proc.
civ., n. 5, l’accoglimento del terzo motivo di ricorso, seconda parte, nei
termini di cui sopra, rigettati gli altri, con cassazione della impugnata
sentenza definitiva in relazione al motivo accolto e decisione nel merito
— non essendo necessari ulteriori accertamenti, ai sensi dell’art. 384, 2°
comma, 2° parte, – nel senso che la decorrenza degli accessori deve
fissarsi dalla data del sentenza che delimita la liquidazione stessa”.
Sono seguite le rituali comunicazione e notifica della suddetta relazione,
unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di
consiglio.
Orbene, il Collegio ritiene di condividere il contenuto e le conclusioni
della riportata relazione con conseguente accoglimento della censura
relativa alla decorrenza degli accessori sull’indennità di cui all’art. 32 I.
183/2010, e rigetto degli altri motivi. Non essendo necessari ulteriori
accertamenti di fatto ai sensi dell’art. 384, 2° Gomma, 2° parte, la causa
va decisa nel merito come da relazione.

Ric. 2014 n. 00073 sez. ML – ud. 09-04-2015
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1966, Cass. 21 febbraio 1985 n. 1579; per le somme liquidate a titolo di

L’accoglimento in minima parte delle censure della società induce a
confermare la statuizione sulle spese delle fasi del merito, laddove
quelle del presente giudizio, in relazione alla prevalente soccombenza
della società, vanno compensate nella misura di 1/5 e poste per i residui
4/5 a carico della ricorrente nella misura liquidata in dispositivo, con

distrattario.
Il parziale accoglimento del ricorso esclude l’applicabilità dell’art. 13
comma 1 quater del dpr 115/2002.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo, seconda parte, rigettati gli altri, cassa
la impugnata sentenza definitiva in relazione al motivo accolto e,
decidendo nel merito, condanna la società ricorrente al pagamento
dell’indennità ex art. 32 comma 5 I. 183/2010 nella misura determinata
dalla Corte d’appello per il periodo dalla scadenza del termine alla
sentenza di conversione maggiorata di rivalutazione monetaria ed
interessi legali a decorrere dalla data della decisione di secondo grado.
Conferma la statuizione sulle spese dei gradi del merito, compensa per
1/5 le spese del presente giudizio, condannano-41a società al pagamento
residui 4/5, liquidati in euro 4000,00 per compensi professionali, euro
100,00 per esborsi,oltre accessori di legge, nonché delle spese generali
in misura del 15%, con attribuzione in favore dell’avv. Roberto Rizzo.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002 dà atto della
non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della
ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, il 9.4.2015

attribuzione al procuratore della controricorrente, che se ne è dichiarato

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