Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10294 del 29/05/2020

Cassazione civile sez. I, 29/05/2020, (ud. 07/01/2020, dep. 29/05/2020), n.10294

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. RICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20798/2018 proposto da:

Società Ricerche Idriche Sori Spa, in persona legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Monte Zebio 37,

presso lo studio degli avvocati Furitano Marcello e Cecilia,

rappresentata e difesa dagli avvocati Algozini Alessandro, Bongiorno

Girolamo, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

M.G., elettivamente domiciliata in Roma, Viale Angelico

78, presso lo studio dell’avvocato Ielo Antonio, rappresentata e

difesa dall’avvocato Cantavenera Domenico, giusta procura in calce

al controricorso;

– controricorrente –

e contro

Comune Di Carini, in persona del Sindaco pro tempore, domiciliato in

Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di

Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Matteo Messina,

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

A.F., A.G., Mo.An.Ma.,

M.F., M.V., Mu.Vi., R.T.M.,

Ru.An., S.A.;

– intimati –

avverso l’ordinanza n. 654/2018 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di

ROMA, depositata il 12/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/01/2020 da Dott. IOFRIDA GIULIA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio, che ha concluso per l’inammissibilità;

udito l’Avvocato Messina Matteo per il Comune di Carini, che si

riporta agli atti;

udito l’Avvocato Cantavenera Domenico per M.G., che si

riporta agli atti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La SO.RI. spa, proprietaria di un acquedotto privato sito nel Comune di (OMISSIS) (utilizzato, in forza di convenzione del 1982, tra la società ed il Comune suddetto, per la distribuzione dell’acqua potabile in una parte del territorio comunale, non servita dall’acquedotto municipale), ha convenuto in giudizio, con atto di citazione notificato nel 1992, il suddetto Ente locale ed i vari sindaci che si erano succeduti nella carica ( Ru.An., S.M., A.A. e M.G.), per ottenerne la condanna all’indennizzo, a titolo risarcitorio o di arricchimento senza causa ex art. 2041 c.c., dovuto dallo stesso Comune, il cui Sindaco era stato nominato custode giudiziario a seguito di sequestro preventivo penale del bene, eseguito n. 1984, nell’ambito di un procedimento penale, che aveva visto imputati i vertici della società per i reati di furto aggravato e deviazione di acqua pubblica, per il depauperamento arrecato alla società (privata della detenzione degli impianti idrici, dal 1984 al luglio 1991, epoca della restituzione degli impianti alla società proprietaria), in conseguenza dell’utilizzazione dell’acquedotto durante il sequestro (essendosi il relativo procedimento penale concluso con l’assoluzione definitiva da ogni reato degli amministratori della società, nel 1991, con ordine di restituzione degli impianti alla società proprietaria a far data dalla pubblicazione, nel 1990, della sentenza della Corte d’appello di Palermo), con domanda riconvenzionale avanzata dal Comune per la condanna della SO.RI. al rimborso delle spese sostenute per la gestione e manutenzione degli impianti nello stesso periodo.

Questa Corte, con sentenza n. 654/2018, qui impugnata per revocazione, ha cassato, con rinvio alla Corte d’appello di Palermo, la sentenza impugnata, emessa dalla Corte d’appello di Palermo, che aveva confermato parzialmente la decisione di primo grado (rettificando solo il quantum dell’obbligazione indennitaria verso la società, elevando l’importo liquidato in primo grado, e respingendo la domanda riconvenzionale del Comune, di rimborso delle spese di gestione, accolta invece dal Tribunale), condannando il Comune al pagamento dell’indennizzo, a titolo di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c. (avendo la Corte territoriale affermato che il provvedimento giudiziario di sequestro legittimava con la custodia l’utilizzazione, dall’ottobre 1984 all’ottobre 1990, dell’acquedotto, ma non anche la “locupletazione” dell’Ente territoriale per l’utilizzazione a titolo gratuito dell’acquedotto privato), e la società, a titolo di rimborso delle spese sostenute dal Comune, rigettate le altre pretese (anche quelle nei confronti degli ex Sindaci, carenti di legittimazione passiva rispetto all’azione risarcitoria proposta dalla società nei loro confronti, in assenza di ipotesi di responsabilità personale).

In particolare, questa Corte, accogliendo il ricorso principale del Comune, “nei limiti di cui in motivazione”, dichiarando assorbiti il primo ed il secondo motivo del ricorso principale del Comune ed il primo motivo di quello incidentale della società, ha preliminarmente rilevato, d’ufficio, il difetto di legittimazione passiva (legitimatio ad causam) del Comune di Carini, rispetto all’azione di arricchimento seza causa, accolta in primo grado, ” in quanto in relazione ai beni fonte di occupazione egli risulta esserne stato solo il custode giudiziario”, essendo “indiscussa la qualità rivestita dall’ente convenuto”, cosicchè il Comune, pur avendo avuto la gestione dell’impianto di eduzione e distribuzione dell’acqua di proprietà della SO.RI., aveva operato nella veste di ausiliario del giudice, a vantaggio della procedura, unica e diretta destinataria sino all’esito del giudizio; inoltre, ad avviso di questa Corte la legittimazione passiva del Comune non sussisteva neppure in relazione all’ingiustificato arricchimento dello stesso, per avere incamerato i profitti della gestione, stante il carattere comunque sussidiario dell’azione ex art. 2041 c.c., disponendo la SO.RI. di strumenti di tutela appropriati per conseguire, una volta cessati gli effetti del sequestro penale, la propria pretesa restitutoria.

Questa Corte ha poi respinto il secondo motivo del ricorso incidentale della società SO.RI., con cui si lamentava il rigetto della pretesa risarcitoria avanzata nei confronti del Comune, in relazione ai danni subiti dagli impianti durante la gestione degli stessi in qualità di custode (con piena legittimazione dunque dell’Ente, per responsabilità propria, per avere omesso di custodire e conservare i beni affidati alla sua cura), ritenendo insussistente il vizio motivazionale dedotto, ed ha ritenuto, di conseguenza, assorbiti il terzo motivo del ricorso incidentale e l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato, sempre della SO.RI., rivolti a vedere affermata e far valere “l’analoga responsabilità invocata nei confronti dei sindaci succedutisi nell’ufficio custodiale in ordine ai danni anzidetti”.

Invero, la Corte d’appello di Palermo aveva osservato, nella sentenza impugnata, che, essendo stata confermata la statuizione di rigetto dell’azione risarcitoria promossa dalla società nei confronti del Comune, per i danni cagionati ai beni durante il sequestro penale, conseguentemente doveva rigettarsi l’identica pretesa risarcitoria svolta nei confronti degli ex Sindaci, aggiungendo che l’azione ex art. 2041 c.c., vedeva come unico legittimato passivo il Comune, così confermando la statuizione di carenza di legittimazione passiva dei Sindaci rispetto a detta azione. Questa Corte, nella sentenza qui impugnata, riteneva, di conseguenza, assorbiti i motivi di ricorso incidentale, riguardanti la responsabilità risarcitoria degli ex Sindaci, stante il rigetto della analoga doglianza concernente la reiezione della pretesa risarcitoria rivolta nei confronti del Comune.

Avverso la suddetta sentenza, la Società Ricerche Idriche – SO.RI. spa propone ricorso per revocazione, notificato il 3-16/7/2018, affidato a due motivi, nei confronti del Comune di Carini e di M.G. (che resistono con separati controricorsi) e di Mo.An.Ma., M.V., Mu.Vi., R.M.T., A.G., Ru.An., S.A., A.F., M.F. (che non svolgono attività difensiva).

La ricorrente e la controricorrente M. hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente lamenta, con il primo motivo, che questa Corte avrebbe omesso di esaminare l’eccezione, sollevata dalla società in nota di deposito e memoria, di mancata integrità del contraddittorio, non avvedendosi che le notifiche del ricorso principale e del controricorso ai sig.ri A.A. e M.G., ex Sindaci del Comune di Carini, litisconsorti in cause inscindibili, non erano andate a buon fine.

Con il secondo motivo, si lamenta poi che la sentenza impugnata sia basata sulla erronea supposizione di un fatto, la cui verità era invece incontrastabilmente esclusa e che non aveva costituito un punto controverso della decisione impugnata della Corte d’appello, vale a dire il fatto che il Comune di Carini fosse stato nominato custode dei beni oggetto di sequestro penale, essendo invece stato nominato custode il Sindaco del Comune ( M.G. e gli altri sindaci successivamente eletti) ovvero le persone fisiche che si erano susseguite nella carica di Sindaco, cosicchè l’Ente locale non aveva potuto utilizzare l’acquedotto in oggetto come custode, essendo stati i Sindaci a concedere gratuitamente l’uso degli impianti idrici di distribuzione e delle attrezzature al Comune. Deduce la ricorrente che il Comune era stato convenuto in giudizio dalla società non quale custode giudiziario dei beni ma quale utilizzatore degli impianti.

2. Preliminarmente, è infondata l’eccezione, sollevata dal controricorrente Comune, di inammissibilità del ricorso per revocazione, per avere questa Corte, nella sentenza qui impugnata per revocazione, comunque cassato la sentenza impugnata della Corte d’appello di Palermo, con rinvio.

Invero, questa Corte (Cass. 12046/2018) ha, di recente, precisato che “il ricorso per revocazione delle pronunce di cassazione con rinvio deve ritenersi inammissibile soltanto se l’errore revocatorio enunciato abbia portato all’omesso esame di eccezioni, questioni o tesi difensive che possano costituire oggetto di una nuova, libera ed autonoma valutazione da parte del giudice del rinvio ma non anche se la pronuncia di accoglimento sia fondata su di un vizio processuale dovuto ad un errore di fatto o se il fatto di cui si denuncia l’errore percettivo sia assunto come decisivo nell’enunciazione del principio di diritto, o, nell’economia della sentenza, sia stato determinante per condurre all’annullamento per vizio di motivazione”. Nella specie, questa Corte ha cassato con rinvio proprio affermando il difetto di legittimazione passiva del Comune rispetto all’azione ex art. 2041 c.c. (oltre che l’inammissibilità dell’azione per difetto del requisito della residualità), sul presupposto del ruolo di custode giudiziario del bene rivestito in capo all’Ente.

3. Il primo motivo è inammissibile.

Secondo la ricorrente, questa Corte avrebbe omesso di valutare che la notifica del ricorso del Comune e del controricorso con ricorso incidentale di essa società a due degli ex Sindaci del Comune, A. e M.G., “non era andata a buon fine” (nella memoria depositata nel giugno 2019 si fa presente che “mancava la relazione di notifica”); il tutto, in relazione alle pretese risarcitorie azionate nei loro confronti.

Ora, questa Corte ha da tempo chiarito che “l’errore di fatto che legittima l’impugnazione per revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c., è configurabile quando sussiste un contrasto tra la rappresentazione della realtà emergente dalla sentenza e quella emergente dagli atti e documenti processuali, purchè tale contrasto emerga con assoluta immediatezza e sia di semplice e concreta rilevabilità; non è configurabile pertanto errore revocatorio quando si denunci non già la falsa percezione di un fatto incontrovertibile, bensì l’omessa o errata valutazione di un atto processuale” (Cass. 13401/1999: nella specie, era stato denunciato il mancato rilievo di una nullità della notifica del ricorso, senza che, nel totale silenzio sul punto, fosse contenuta in sentenza una qualunque affermazione dalla quale desumere una distorta percezione della realtà da parte della Corte Suprema di Cassazione e non piuttosto una – esatta o meno valutazione giuridica circa la legittimità della notificazione; cfr. anche Cass. 9416/1997, con la quale è stato respinto un ricorso per revocazione, rilevandosi, in motivazione, che la omessa od errata valutazione delle risultanze della relazione di notificazione del ricorso per cassazione non può rientrare tra gli errori di fatto che possono condurre alla revocazione della sentenza poichè in tal modo viene denunciata non già la falsa percezione di un fatto incontrovertibile, bensì l’omessa o errata valutazione della regolarità di un atto processuale, che esula dall’ambito del mero errore revocatorio e implica un inammissibile riesame degli apprezzamenti del giudice di legittimità che non è consentito attraverso l’impugnazione per revocazione, esorbitando dai suoi limiti; Cass. 25654/2013; Cass. 20635/2017).

Ora, ai fini della necessaria specificità della censura, la ricorrente si limita a dedurre di avere, in “nota di deposito” del 16/6/2017 ed in memoria del 18/6/2017, evidenziato a suo tempo che la notifica sia del ricorso principale del Comune sia di quello della stessa società ai suddetti due sindaci “non era andata a buon fine”. Era, però, nel motivo di ricorso che andava chiarito in che senso la notifica non era andata a buon fine e quindi perchè questa Corte avrebbe dovuto non trattenere la causa in decisione e disporre una rinnovazione della notifica, così da far comprendere in cosa consistesse l’errore revocatorio denunciato, ossia la discordanza di quanto supposto dalla Corte rispetto alle risultanze di causa.

La circostanza che, poi, con la memoria, la ricorrente abbia precisato che mancava la relata di notifica, non vale ad ovviare alla genericità del ricorso, i cui motivi la memoria è destinata ad illustrare, non già ad integrare.

4. La seconda censura è inammissibile.

Assume la ricorrente che l’errore sulla qualificazione del Comune quale custode giudiziario, presupposto della declaratoria d’ufficio, da parte di questa Corte nella sentenza impugnata per revocazione, della carenza di legittimazione passiva dell’Ente convenuto nell’azione di arricchimento senza causa, ha riguardato una questione non controversa tra le parti, non essendo mai stato messo in discussione nel giudizio che l’incarico di custode era stato affidato al Sindaco pro tempore del Comune, ed è stato frutto di un’erronea percezione della realtà, obiettivamente ed immediatamente rilevabile.

Questa Corte (Cass. 7506/1995) ha da tempo chiarito che “a norma dell’art. 395 c.p.c., il giudizio di revocazione per errore di fatto risultante dagli o documenti della causa è ammesso non già quando sia viziata la valutazione delle prove o delle allegazioni delle parti, ma quando sia frutto di una falsa percezione di ciò che emergeva dagli atti e non soltanto era incontroverso, ma neanche era controvertibile, e non poteva quindi dar luogo ad apprezzamenti di alcun genere. Tale errore deve pertanto avere il carattere di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive e tanto meno di particolari indagini ermeneutiche, e non è ravvisabile nella diversa ipotesi di errore costituente il frutto di un qualsiasi apprezzamento delle risultanze processuali”. Come ribadito ancora di recente da questa Corte (Cass. 442/2018) “l’istanza di revocazione di una pronuncia della Corte di Cassazione, proponibile ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c., implica, ai fini della sua ammissibilità, un errore di fatto riconducibile all’art. 395 c.p.c., n. 4, che consiste in un errore di percezione, o in una mera svista materiale, che abbia indotto il giudice a supporre l’esistenza (o l’inesistenza) di un fatto decisivo, che risulti, invece, in modo incontestabile escluso (o accertato) in base agli atti e ai documenti di causa, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso, su cui il giudice si sia pronunciato”, cosicchè “l’errore in questione presuppone, quindi, il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti processuali, semprechè la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione e non di giudizio, formatosi sulla base di una valutazione”.

Non integra pertanto l’errore di fatto rilevante per la revocazione di una sentenza della Corte di cassazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, la “pretesa erroneità della persistente controvertibilità di una questione o della lettura di uno o più degli atti dei gradi di merito che siano state oggetto della sentenza di secondo grado e poi dei motivi di ricorso per cassazione, sia perchè in tal caso la questione è già stata oggetto di discussione tra le parti, sia perchè un eventuale errore di diritto o di fatto commesso in tesi dalla Corte di Cassazione e diverso dalla mera svista su atti processuali del solo giudizio di legittimità non sarebbe suscettibile di emenda in base al vigente sistema processuale” (Cass. 7795/2018).

Ora, la questione relativa alla sussistenza della legittimazione passiva del Comune, in riferimento all’azione ex art. 2041 c.c., promossa dalla società proprietaria degli impianti idrici di distribuzione ed alle funzioni svolte dal Sindaco nominato, in tale qualità (quale organo del Comune), custode dei beni sottoposti a sequestro penale preventivo, era controversa, in quanto anche la Corte d’appello di Palermo, nella decisione impugnata poi dinanzi a questa Corte, aveva affermato che, come eccepito dalla società (ed in risposta anche all’eccezione del Comune, in ordine alla giustificazione giuridica che aveva sorretto la gestione dell’acquedotto da parte del Comune, avvenuta sulla base di provvedimento di sequestro reso dal giudice penale), il provvedimento giudiziario di sequestro legittimava, con la custodia, l’utilizzazione da parte del Comune, dall’ottobre 1984 all’ottobre 1990, dell’acquedotto ma non anche la locupletazione dell’Ente territoriale, conseguente all’utilizzazione a titolo gratuito dell’acquedotto privato, “che costituiva una facoltà del Comune”, riconducendo dunque la legittimazione del Comune, rispetto all’azione ex art. 2041 c.c., al provvedimento di sequestro e di nomina del Sindaco del Comune, non in proprio ma nella qualità, a custode giudiziario dei beni sequestrati (“in considerazione dell’uso al quale le acque sono destinate” e con facoltà “di usare, in tale qualità, i suddetti impianti ed attrezzature in conformità alla loro destinazione ed in base alla licenza di attingimento rilasciatagli dall’Ufficio del Genio civile di Palermo”, come si legge nel provvedimento di sequestro, all.to 12 atti ricorrente, e nella sentenza Corte d’appello di Palermo, pure in atti).

Ma quand’anche la questione non fosse effettivamente controversa, come sostiene la ricorrente, la operata qualificazione giuridica dell’Ente quale custode giudiziario, sul presupposto che il nominato Sindaco p.t, rivestisse la carica di custode non in proprio ma quale legale rappresentante dell’Ente, costituisce un giudizio, una valutazione, non aggredibile quindi, per quanto sopra ribadito, con lo strumento revocatorio.

5. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso per revocazione. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate, per la controricorrente M., in complessivi Euro 5.000,00, a titolo di compensi, oltre 200,00 per esborsi, e, per il Comune controricorrente, in complessivi Euro 3.800,00, a titolo di compensi, oltre 200,00 per esborsi, nonchè al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 7 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2020

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