Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10293 del 29/05/2020

Cassazione civile sez. I, 29/05/2020, (ud. 04/11/2019, dep. 29/05/2020), n.10293

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32554/2018 proposto da:

M.A., rappresentato e difeso dall’avvocato Andrea Diroma

del Foro di Trieste, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 457/2018 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 02/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

04/11/2019 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 457/2018 depositata il 02-08-2018 la Corte d’Appello di Trieste ha respinto l’appello proposto da M.A. alias A.M., cittadino del (OMISSIS), avverso l’ordinanza del Tribunale di Trieste che aveva rigettato la sua domanda avente ad oggetto in via gradata il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. La Corte territoriale ha ritenuto, in conformità alle statuizioni del Tribunale, che fosse non credibile la vicenda personale narrata dal richiedente, il quale riferiva di essere fuggito perchè ricercato dalla Polizia in quanto ritenuto responsabile dei gravi disordini avvenuti nel 2011 in occasione di una manifestazione nei confronti della fornitrice di energia elettrica (OMISSIS), organizzata per protesta in conseguenza dei continui disservizi verificatisi nella fornitura dell’energia. La Corte d’appello ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, avuto anche riguardo alla situazione generale del Pakistan e del Punjab, descritta nella sentenza impugnata, con indicazione delle fonti di conoscenza.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato ad unico motivo, nei confronti del Ministero dell’Interno, che è rimasto intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con unico articolato motivo il ricorrente lamenta “violazione di norme di diritto: a) D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. e), art. 7, art. 8, lett. e); b) D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, art. 16 dir. 2013/32 UE; c) D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c); d) violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 ed D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1, in combinato disposto con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e violazione dell’art. 8 CEDU e sulla sussistenza dei presupposti di legge per il riconoscimento della protezione umanitaria”. Censura la valutazione di non credibilità del suo racconto, richiamando il principio di affievolimento dell’onere probatorio a carico del richiedente asilo. Deduce che la Corte d’appello non gli ha dato modo di spiegare le contraddizioni ed incoerenze rilevate nella sua narrazione, che le dichiarazioni nel mod. c/3 erano state rese in Questura frettolosamente e spesso in assenza di interprete, la verbalizzazione delle dichiarazioni rese innanzi alla Commissione Territoriale era sintetica ed erano stati prodotti documenti a supporto di quanto dichiarato, quali la copia di un giornale locale che riportava notizie sulla manifestazione di protesta e della denuncia pendente nei suoi confronti (doc. n. 5 e 7). Richiama diffusamente la normativa di riferimento, anche sul dovere di cooperazione istruttoria, e le pronunce di questa Corte in tema di valutazione di credibilità e poteri istruttori ufficiosi. Rimarca che le incoerenze e contraddizioni evidenziate dalla Corte territoriale trovano giustificazione anche nei limiti e variazioni della memoria umana e nello stato di preoccupazione e ansia in cui il richiedente si trovava, non potendosi pretendere da quest’ultimo la prova certa dei fatti narrati. Censura altresì la valutazione della Corte d’appello sulla situazione generale del Pakistan e del Punjab, richiamando il rapporto EASO acquisito anche dalla Corte territoriale, nel quale, pur se prodotto in stralcio, si dava atto dei numerosi episodi di violenza eversiva avvenuti in Pakistan e nel Punjab, dove sono state intraprese molte operazioni di sicurezza e operano Ranger con poteri speciali. In ordine al diniego di protezione umanitaria deduce di aver documentato l’attività di lavoro subordinato che svolge e richiama i principi affermati da questa Corte con la sentenza n. 4455/2018.

2. Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

2.1. Quanto al giudizio di credibilità, questa Corte ha chiarito che “il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità” (Cass. n. 3340/2019). Inoltre il giudice del merito, nel valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, secondo i parametri dettati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), deve attenersi anche a comuni canoni di ragionevolezza e a criteri generali di ordine presuntivo, non essendo di per sè solo sufficiente a fondare il giudizio di credibilità il fatto che la vicenda narrata sia circostanziata. L’art. 3 citato, infatti, obbliga il giudice a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna, ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda (da ultimo Cass. n. 21142 del 2019; Cass. n. 20580 del 2019). La suddetta verifica è sottratta al controllo di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Anche la valutazione sulla situazione del Paese di origine, rilevante ai fini della concessione della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. C), si risolve in un accertamento di fatto, censurabile nei limiti di cui si è detto (Cass. n. 30105/2018).

2.2. Nel caso di specie, le doglianze sono infondate, nella parte in cui il ricorrente lamenta violazione dei criteri legali relativi agli indici di credibilità, che sono stati puntualmente rispettati, avendo in dettaglio la Corte territoriale esaminato il racconto del richiedente ed evidenziato le plurime incongruenze e contraddizioni riscontrate. Neppure ricorre la violazione del dovere di cooperazione istruttoria, che non deve essere attivato sulla coerenza esterna della vicenda personale se le allegazioni sono generiche e inattendibili, e che è stato compiutamente esercitato con riguardo alla situazione generale del Paese, descritta nella sentenza impugnata con indicazione delle fonti di conoscenza (pag. n. 8).

Le censure sono inammissibili nella parte in cui il ricorrente deduce genericamente la violazione di norme di legge, attraverso il richiamo alle disposizioni che assume disattese e tramite una ricostruzione della fattispecie concreta, quanto al giudizio di non credibilità ed alla valutazione del suo Paese, difforme da quella accertata nel giudizio di merito. Il Giudice di merito ha espresso, con motivazione idonea (Cass. SU n. 8053/2014), il proprio convincimento, indicando in dettaglio le parti del racconto ritenute generiche ed implausibili (pag. n. 7 sentenza impugnata) e descrivendo la situazione della sicurezza in Pakistan sulla base delle informazioni reperite dai rapporti COI dell’agosto 2017. Al richiedente è stato altresì consentito di precisare o rettificare la narrazione della sua vicenda personale all’udienza di audizione avanti al Tribunale (pag. n. 7 sentenza).

3. Inammissibile è la censura relativa al diniego della protezione umanitaria.

I Giudici di merito hanno motivatamente escluso la sussistenza di fattori soggettivi e oggettivi di vulnerabilità e il ricorrente si limita a richiamare, genericamente, la normativa di riferimento e la condizione generale del suo Paese, anche con riguardo al diritto alla salute e all’alimentazione, nonchè rimarca il fattore della sua integrazione lavorativa nel territorio italiano, che, tuttavia, diventa recessivo, in assenza di vulnerabilità, come chiarito da questa Corte proprio con la pronuncia citata in ricorso (Cass. n. 4455/2018).

4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, nulla dovendosi disporre sulle spese del presente giudizio, stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte del Ministero.

5. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto (Cass. n. 23535/2019).

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 4 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2020

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