Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10292 del 26/04/2017

Cassazione civile, sez. II, 26/04/2017, (ud. 08/02/2017, dep.26/04/2017),  n. 10292

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14777/2012 proposto da:

C.C., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

TUSCOLANA 739, presso lo Studio Legale VANI & FERRI,

rappresentata e difesa dall’avvocato MARCO GROSSI;

– ricorrente –

contro

D.M.N., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

LUCIO APULEIO 9, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO MILITERNI,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato FULVIO

GIORDANO;

– controricorrente –

e contro

PA.UM., V.D., P.G.,

P.L. e P.P. in quanto eredi di P.E. e

P.F.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 828/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 15/02/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/02/2017 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO;

udito l’Avvocato LORENZO PROSPERI MANGILI, con delega dell’Avvocato

MARCO GROSSI difensore della ricorrente, che si riporta agli atti

depositati;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

I FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Roma, con sentenza depositata 15/2/2012, rigettò l’appello proposto da C.C., e dichiarò inammissibile quello incidentale avanzato da Pa.Um., avverso la sentenza emessa 25/5/2006, con la quale il Tribunale di Cassino aveva accolto la domanda di D.M.N..

Al Tribunale, il D.M. aveva chiesto affermarsi la inesistenza di una servitù di passaggio, gravante sul proprio fondo e in favore del fondo dei convenuti Pa.Um. e C.C..

Avverso la statuizione d’appello propone ricorso per cassazione C.C.. Resiste con controricorso D.M.N.. Non hanno svolto difese Pa.Um., nonchè, V.D., P.G., P.L. e P.P., quest’ultime eredi di P.E., nonchè, altresì, P.F., chiamati in causa dalla ricorrente.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unitaria, proposta censura la ricorrente allega omessa motivazione di più punti controversi e decisivi.

La C. ripercorre criticamente il ragionamento svolto dalla Corte di merito. Rimprovera, in particolare, a questa: a) di non avere proceduto a vagliare adeguatamente i luoghi, sulla base dei reperti fotografici e delle planimetrie allegate CTP; b) che il fondo di proprietà della C. era raggiungibile dalla pubblica via per la strada più breve, costituita dal viottolo sul quale la ricorrente aveva chiesto dichiararsi maturata la servitù di passo per usucapione; c) la controparte aveva provveduto a recintare il proprio fondo, lasciando al di là della rete il viottolo in parola, allo scopo piuttosto evidente di consentire il passaggio di terzi e, quindi, anche da parte della ricorrente; d) le prove testimoniali avevano confermato che da svariati decenni quel viottolo veniva utilizzato per raggiungere il fondo che ora era di proprietà della C..

Il ricorso è destituito di giuridico fondamento.

Nonostante gli sforzi argomentativi appare del tutto evidente che la ricorrente si duole della ricostruzione della vicenda e della soluzione di merito adottata dalla Corte territoriale. Trattasi, quindi, di doglianza che in questa sede non può essere presa in considerazione.

Non può farsi a meno di evidenziare che, come spesso accade, con il ricorso si propone l’approvazione di una linea interpretativa dei fatti di causa alternativa rispetto a quella fatta propria dal giudice, così sperdendosi del tutto il senso del sindacato di legittimità.

Come reiteratamente affermato in questa sede, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nel testo modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2 prima dell’ulteriore modifica di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile “ratione temporis”), il quale implica che la motivazione della “quaestio facti” sia affetta non da una mera contraddittorietà, insufficienza o mancata considerazione, ma che si presentasse tale da determinarne la logica insostenibilità (cfr., Sez. 3, n. 17037 del 20/8/2015, Rv. 636317). Con l’ulteriore corollario che il controllo di legittimità del giudizio di fatto non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe in una nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità. Con la conseguenza che risulta del tutto estranea all’ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Corte di cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa (cfr. Sez. 6, ord. n. 5024 del 28/3/2012, Rv. 622001). Da qui la necessità che il ricorrente specifichi il contenuto di ciascuna delle risultanze probatorie (mediante la loro sintetica, ma esauriente esposizione e, all’occorrenza integrale trascrizione nel ricorso) evidenziando, in relazione a tale contenuto, il vizio omissivo o logico nel quale sia incorso il giudice del merito e la diversa soluzione cui, in difetto di esso, sarebbe stato possibile pervenire sulla questione decisa (cfr. Sez. 5, n. 1170 del 23/1/2004, Rv. 569607).

Appare, quindi, evidente che il vizio di insufficiente motivazione, denunciabile con ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, si configura nella ipotesi di carenza di elementi, nello sviluppo logico del provvedimento, idonei a consentire la identificazione del criterio posto a base della decisione, ma non anche quando vi sia difformità tra il significato ed il valore attribuito dal giudice di merito agli elementi delibati, e le attese e deduzioni della parte al riguardo. Parimenti, il vizio di contraddittoria motivazione, che ricorre in caso di insanabile contrasto tra le argomentazioni logico – giuridiche addotte a sostegno della decisione, tale da rendere incomprensibile la “ratio decidendi”, deve essere intrinseco alla sentenza, e non risultare dalla diversa prospettazione addotta dal ricorrente (Sez. 2, n. 3615 del 13/04/1999, Rv. 525271). Con l’ulteriore implicazione che il vizio di contraddittorietà della motivazione, deducibile in cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, non può essere riferito a parametri valutativi esterni, quale il contenuto della consulenza tecnica d’ufficio Sez. 1, n. 1605 del 14/02/2000, Rv. 533802). Peraltro, osservandosi che il vizio di insufficiente motivazione, denunciabile con ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, resta integrato solo ove consti la carenza di elementi, nello sviluppo logico del provvedimento, idonei a consentire la identificazione del criterio posto a base della decisione, ma non anche quando vi sia difformità tra il significato ed il valore attribuito dal giudice di merito agli elementi delibati, e le attese e deduzioni della parte al riguardo; mentre il vizio di contraddittoria motivazione, che ricorre in caso di insanabile contrasto tra le argomentazioni logico – giuridiche addotte a sostegno della decisione, tale da rendere incomprensibile la “ratio decidendi”, deve essere proprio della sentenza, e non risultare dalla diversa prospettazione addotta dal ricorrente (Sez. L.,n.8629 del 24/06/2000, Rv. 538004; Sez. 1, n. 2830 del 27/02/2001, Rv. 544226).

Si è condivisamente ulteriormente precisato, così da scolpire nitidamente l’ambito di legittimità, che il difetto di motivazione, nel senso di sua insufficienza, legittimante la prospettazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), è configurabile soltanto quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito e quale risulta dalla sentenza stessa impugnata emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero quando è evincibile l’obiettiva deficienza, nel complesso della sentenza medesima, del procedimento logico che ha indotto il predetto giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già, invece, quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati, poichè, in quest’ultimo caso, il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione. In ogni caso, per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi (come accaduto nella specie) le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (Sez. L, n. 2272 del 02/02/2007, Rv. 594690).

Proprio per ciò non è ammesso perseguire con il motivo di ricorso un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, finalità sicuramente estranea alla natura e allo scopo del giudizio di cassazione. Infatti, il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico – formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr., fra le tante, Sez. L., n. 9233 del 20/4/2006, Rv. 588486 e n. 15355 del 9/8/2004, Rv. 575318).

La spiegazione alternativa proposta con il ricorso, fronteggiante una insanabile contraddittorietà della motivazione, deve essere tale da apparire l’unica plausibile e la deduzione di un vizio di motivazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì il solo potere di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge). Ne deriva, pertanto, che alla cassazione della sentenza, per vizi della motivazione, si può giungere solo quando tale vizio emerga dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, che si rilevi incompleto, incoerente o illogico, e non già quando il giudice del merito abbia semplicemente attribuito agli elementi valutati un valore ed un significato difformi dalle aspettative e dalle deduzioni di parte (cfr., fra le tante, Sez. 3, n. 20322 del 20/10/2005, Rv. 584541; Sez. L., n. 15489 dell’11/7/2007, Rv. 598729). Lo scrutinio di merito resta, in definitiva, incensurabile, salvo l’opzione al di fuori del senso comune (Sez. L., n. 3547 del 15/4/1994, Rv. 486201); la stessa omissione non può che concernere snodi essenziali del percorso argomentativo adottato (cfr., Sez. 2, n. 7476 del 4/6/2001, Rv. 547190; Sez. 1, n. 2067 del 25/2/1998, Rv. 513033; Sez. 5, n. 9133 del 676/2012, Rv. 622945, Sez. U., n. 13045 del 27/12/1997, Rv. 511208).

Nel caso di specie, peraltro, non solo le critiche appaiono frammentate e aspecifiche, perchè non si fronteggiano precipuamente con le ragioni della decisione, ma devesi rilevarne, la diffusa non autosufficienza.

La Corte di merito, invero, ha compiutamente spiegato le ragioni che l’avevano indotta a confermare la sentenza di primo grado. Con il ricorso, in verità, la ricorrente, non fa altro che riproporre le osservazioni già prospettate in sede d’appello, senza tener conto della risposta ad esse fornite dalla Corte locale. In particolare, questa, dopo aver giudicato non conferente l’atto di donazione del 1921, prodotto, peraltro, tardivamente, dall’appellante, ha negato alcun valore confessorio alle dichiarazioni del D.M., in ordine al posizionamento della recinzione in modo tale, per la ricorrente, da lasciare libero lo spazio occupato dal viottolo, dovendosi tenere conto della ragionevole spiegazione fornita dal dichiarante (il tratto era interessato da un’una fitta siepe); ha, altresì, escluso che le prove testimoniali, a cagione della loro genericità e indeterminatezza, in ordine agli spazi temporali presi in considerazione, avevano dimostrato la sussistenza dell’allegata usucapione del diritto di passaggio.

Le spese legali vanno poste a carico della ricorrente in ragione dell’epilogo e le stesse, vengono liquidate siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonchè delle attività espletate.

PQM

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore della parte resistente, che liquida in Euro 2.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 8 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2017

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