Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10291 del 29/05/2020

Cassazione civile sez. I, 29/05/2020, (ud. 31/10/2019, dep. 29/05/2020), n.10291

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 30751 del ruolo generale dell’anno 2018

proposto da:

O.D., rappresentato e difeso, giusta procura speciale in

calce al ricorso, dall’avv. Paolo Sassi, presso lo studio del quale

in Isernia, alla via XXIV Maggio, n. 33, elettivamente si domicilia;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno;

– intimato –

per la cassazione del decreto del Tribunale di Campobasso depositato

in data 4 settembre 2018.

Fatto

RILEVATO

che:

con decreto del 4 settembre 2018 il Tribunale di Campobasso ha respinto il ricorso proposto da O.D. contro il provvedimento di diniego di protezione internazionale e della protezione umanitaria;

– il migrante aveva riferito di essere fuggito dalla Guinea per motivi familiari legati ai contrasti ereditari sorti alla morte del padre con lo zio e con i suoi fratelli;

– a fondamento del rigetto il Tribunale ha ritenuto che gli elementi riferiti fossero estranei al novero dei presupposti per la concessione dello status di rifugiato, aggiungendo che nella regione di provenienza del migrante non era in atto una violenza indiscriminata, e che costui non aveva provato la sussistenza dei fattori di vulnerabilità;

– nel contempo col decreto si è revocata l’ammissione al gratuito patrocinio;

– ricorre per cassazione avverso questa pronuncia il migrante, che articola in tre motivi, cui le controparti non replicano (il Ministero dell’interno si è limitato a manifestare la propria disponibilità a partecipare all’udienza di discussione).

Diritto

CONSIDERATO

che:

– il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, D.Lgs. n. 25 del 2007, art. 1, lett. e) e g), artt. 3, 14 e art. 16, comma 1, lett. b), nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, costituito dalla mancata valutazione della vicenda personale del richiedente e della situazione esistente in Guinea: il Tribunale avrebbe a torto rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, senza valutare correttamente la vicenda personale del richiedente asilo e omettendo di tenere conto che anche le difficoltà di carattere economico dovevano essere tenute in considerazione a tal fine, nel caso in cui fossero state il risultato di una persecuzione o una discriminazione così grave da potersi considerare persecutoria; il Tribunale avrebbe poi dovuto considerare, in linea con quanto già avevano statuito altri giudici di merito, che la Guinea era caratterizzata da crescente insicurezza, precarie condizioni di vita e violazione dei diritti umani da parte delle forze di sicurezza, imponendosi così il riconoscimento della protezione sussidiaria richiesta;

la doglianza risulta inammissibile: quanto al riconoscimento dello status di rifugiato, le circostanze riferite in sentenza (le liti fra cugini) sono di per sè, in mancanza di adeguate specificazioni, estranee ai presupposti della tutela rihiesta;

ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente, astrattamente riconducibile ad una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel Paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, sulla base di un accertamento che deve essere aggiornato al momento della decisione (Cass. 17075/2018);

il Tribunale si è ispirato a simili criteri, laddove ha rappresentato che la regione di provenienza del migrante (KanKan) non è contrassegnata da violenza indiscriminata, come confermato dall’ultimo rapporto di Amnesty international 2017-2018; per conseguenza anche questa censura vuole sovvertire l’esito dell’esame dei rapporti informativi valutati dal Tribunale, e, quindi, un apprezzamento demandato al giudice del merito;

col secondo motivo l’istante lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio costituito dalla mancata valutazione della situazione esistente in Guinea; inoltre, oltre a ciò, posto che i seri motivi necessari per il riconoscimento di questa forma di protezione potevano essere ricondotti a situazioni tanto soggettive quanto oggettive relative al paese di provenienza, il Tribunale avrebbe omesso di considerare che le condizioni di vita del richiedente asilo nel paese di origine, dove vi era una situazione di insicurezza e instabilità tale da determinare la violazione dei diritti fondamentali della persona, erano oggettivamente del tutto inadeguate;

– il motivo è nel suo complesso inammissibile;

vero è che il Tribunale era chiamato a valutare la sussistenza del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6, all’esito di una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio potesse determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel paese d’accoglienza (Cass. 4455/2018);

– occorreva, tuttavia, che il migrante allegasse e dimostrasse, oltre alle ragioni che l’avevano spinto ad allontanarsi dal paese di origine, la situazione di integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, dato che la domanda diretta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo (Cass. 27336/2018). Sicchè l’omessa mancata indicazione del raggiungimento di una situazione di integrazione in Italia ha impedito di estendere la valutazione della domanda al profilo comparativo che si assume omesso;

– il Tribunale ha escluso la sussistenza di fattori di vulnerabilità oggettivi ricollegati alla condizione del paese, sottolineando che la regione di provenienza del migrante non era caratterizzata da conflitti armati, o soggettivi conseguenti alla situazione personale del ricorrente, di cui non era stata fornita alcuna prova. Sicchè anche per quest’aspetto la censura è generica e si risolve nel tentativo di rilettura, peraltro sulla base di allegazioni di principio del tutto generiche, delle risultanze di causa e delle informazioni raccolte sulla situazione sociopolitico-economica del paese;

inammissibile è l’ultimo motivo di ricorso, col quale si denuncia la violazione violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 74, la violazione e falsa applicazione dell’art. 136 del medesimo Decreto, nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 28-bis, comma 2, lett. a), in base al consolidato orientamento di questa Corte (in espressione del quale si vedano Cass. 8 febbraio 2018, n. 3028 e 11 dicembre 2018, n. 32028), secondo il quale indipendentemente dalla circostanza che esso sia eventualmente pronunziato nel contesto della sentenza che definisce il giudizio di merito, il provvedimento di revoca dell’ammissione al gratuito patrocinio resta in ogni caso assoggettato esclusivamente al mezzo di impugnazione suo proprio, e cioè l’opposizione da proporsi al capo dell’ufficio giudiziario del magistrato che ha disposto la revoca, ai sensi dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 170;

il ricorso va dichiarato inammissibile, senza statuizione in ordine alle spese, per la mancanza di attività difensiva.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 31 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2020

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