Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1029 del 17/01/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 17/01/2017, (ud. 05/12/2016, dep.17/01/2017),  n. 1029

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25624/2015 proposto da:

T.A., G.V., M.R., B.A.,

C.C., F.D., M.N., M.A.,

S.E., L.S., P.M.T., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA PALMIRO TOGLIATTI 1640/24, presso lo studio dell’avvocato

ANTONELLO FELICI, rappresentati e difesi dall’avvocato LUCIANO

MENGA;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO ECONOMIA FINANZE, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO,

che lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso il decreto n. 1287/2014 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositato il 23/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/12/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA;

udito l’Avvocato Menga.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1. Con ricorsi proposti dapprima davanti alla Corte d’Appello di Roma nell’anno 2008 e poi riassunti presso la Corte d’appello di Perugia, i ricorrenti chiedevano la condanna del Ministero dell’Economia e delle Finanze all’equa riparazione per la irragionevole durata di un giudizio amministrativo svoltosi davanti al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, intrapreso nel 1995 dai medesimi ricorrenti, tutti sottufficiali delle Forze Armate, nei confronti del Ministero della Difesa, in relazione alla differenze retributive arretrate derivanti dall’applicazione della L. n. 23 del 1993, art. 1.

Con decreto del 23 settembre 2014 la Corte d’Appello di Perugia rigettava le domande di equa riparazione.

Per la cassazione di questo decreto è stato proposto ricorso articolato in due motivi, mentre l’intimato Ministero dell’Economia e delle Finanze non ha presentato nei termini controricorso.

1. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e mancata applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, dell’art. 6, par. 1, della CEDU, nonchè motivazione illogica o contraddittoria.

Il secondo motivo di ricorso contesta la violazione degli artt. 111 e 117 Cost., degli artt. 6, 13 e 41 CEDU, e della L. n. 89 del 2001, artt. 2 e 3.

Viene censurato il decreto della Corte d’Appello di Perugia nella parte in cui esso ha ritenuto che già a far tempo dalla pronuncia n. 455 del 23 dicembre 1993 ovvero della pronuncia n. 331 del 20 luglio 1999 resa dalla Corte Costituzionale sulla questione rilevante nella lite, difettava nei ricorrenti ogni incertezza sull’esito del giudizio amministrativo da loro promosso.

I due motivi, che per la loro connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati nei limiti di seguito indicati.

Questa Corte (già nella disciplina anteriore all’introduzione della L. n. 89 del 2001, art. 2, vigente comma 2-quinquies, lett. a) ha più volte affermato il principio secondo cui, in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, il paterna d’animo derivante dalla situazione di incertezza per l’esito della causa è da escludersi non solo ogni qualvolta la parte rimasta soccombente abbia proposto una lite temeraria, difettando in questi casi la stessa condizione soggettiva di incertezza sin dal momento dell’instaurazione del giudizio, ma anche per il periodo comunque conseguente alla consapevolezza dell’infondatezza delle proprie pretese che sia sopravvenuta dopo che la durata del processo abbia superato il termine di durata ragionevole. Si è così osservato come se una domanda viene proposta prospettando l’illegittimità costituzionale della disciplina applicabile e se tale prospettazione viene disattesa da parte del giudice delle leggi, la valutazione del giudice di merito, secondo cui la protrazione del giudizio presupposto successivamente alla detta pronuncia non ha determinato un paterna d’animo suscettibile di indennizzo, appare del tutto plausibile e ragionevole, e non contrastante con gli orientamenti espressi dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione in ordine alla consapevolezza, da parte di chi agisce in equa riparazione, dell’infondatezza della propria pretesa nel giudizio presupposto.

In particolare, proprio nel decidere analoghi ricorsi, aventi ad oggetto decreti della Corte d’Appello di Perugia concernenti domande di equa riparazione proposte con riferimento a giudizi amministrativi nei quali si poneva la questione dell’estensione ai militari del trattamento economico previsto – per il periodo 19861991 – per i Carabinieri e altri corpi di polizia, questa Corte ha reputato che, a differenza di quanto affermato dalla Corte d’Appello, la consapevolezza dell’infondatezza della pretesa azionata nel giudizio presupposto non potesse già discendere dalla pronuncia della Corte Costituzionale n. 455 del 1993, avendo questa affrontato, piuttosto, la diversa questione della legittimità costituzionale del D.L. 7 gennaio 1992, n. 5, art. 1, comma 1 e art. 2, comma 1, convertito, con modificazioni, nella L. 6 marzo 1992, n. 216, in tema di perequazione del trattamento economico dei sottufficiali dell’Arma dei carabinieri e delle corrispondenti categorie delle altre forze di polizia in relazione alla sentenza della Corte costituzionale n. 227 del 1991 e all’esecuzione di giudicati. Del resto, la pronuncia della Corte costituzionale del 1993, citata nel decreto impugnato, non poteva costituire precedente idoneo a fondare la consapevolezza, in capo ai ricorrenti, della manifesta infondatezza della domanda da loro proposta, anche perchè tale domanda postulava la dichiarazione di illegittimità costituzionale delle disposizioni della L. n. 23 del 1993, non direttamente scrutinate dalla menzionata decisione (così Cass. Sez. 6-2, Sentenza n. 15092 del 2016).

E’ viceversa condivisibile la ricostruzione secondo cui la consapevolezza, in capo ai ricorrenti, che la loro domanda di adeguamento fosse manifestamente infondata e insuscettibile, in quanto tale, di arrecare pregiudizio per la protrazione del processo oltre il limite della ragionevole durata, poteva considerarsi ormai maturata nell’anno 1999, per effetto della successiva pronuncia della Corte costituzionale n. 331 (Cass. Sez. 6-2, Sentenza n. 16856 del 2016; Cass. Sez. 6-2, Sentenza n. 23421 del 2015; Cass. Sez. 6-2, Sentenza n. 22385 del 2015; Cass. Sez. 6-2, Sentenza n. 22049 del 2015, relativa a sottufficiali della Forze Armate; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 27567 del 2014, anche questa relativa ad appartenenti alle Forze Armate; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 19478 del 2014). Pertanto, solo per il periodo successivo al luglio 1999 deve individuarsi una sopravvenuta consapevolezza dell’impossibilità dell’accoglimento della domanda proposta e quindi ritenersi irrilevante l’ulteriore sequenza processuale del giudizio presupposto ai fini della domanda di equa riparazione. L’oggettiva inconfigurabilità di un pregiudizio non patrimoniale per il periodo successivo alla richiamata pronuncia del 1999 della Corte costituzionale priva di rilievo le considerazioni dai ricorrenti svolte in ordine alla presentazione delle istanze di fissazione di udienza e di prelievo nel giudizio presupposto, non potendo lo svolgimento di attività sollecitatoria ribaltare l’assunto dell’insussistenza della incertezza sull’esito del giudizio stesso, e, quindi, del disagio per il protrarsi irragionevole della sua definizione, una volta che era stata rigettata la questione di legittimità costituzionale

4. Conseguentemente, il ricorso va accolto, nei limiti indicati in motivazione, e va cassato il decreto impugnato. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2. Applicando il criterio di determinazione dell’indennizzo in ragione di Euro 500,00 per anno di ritardo, e considerata la durata irragionevole del giudizio presupposto pari ad un anno, il Ministero dell’economia e delle finanze va condannato al pagamento in favore di ciascuno dei ricorrenti dell’importo di Euro 500,00, oltre agli interessi legali dalla data della domanda al soddisfo. Le spese del giudizio di merito e del giudizio di cassazione vengono regolate secondo soccombenza e liquidate in dispositivo.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero dell’economia e delle finanze al pagamento, in favore di ciascuno dei ricorrenti, della somma di Euro 500,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo; condanna inoltre il Ministero dell’economia e delle finanze al pagamento delle spese del giudizio di merito, che liquida in complessivi Euro 800,00, nonchè delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 800,00 per compensi, oltre accessori di legge e spese forfetarie.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2, della Corte Suprema di Cassazione, il 5 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2017

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