Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10288 del 29/05/2020

Cassazione civile sez. I, 29/05/2020, (ud. 31/10/2019, dep. 29/05/2020), n.10288

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 30298 del ruolo generale dell’anno 2018

proposto da:

E.P.O., rappresentato e difeso, giusta procura

speciale in calce al ricorso, dall’avv. Paolo Sassi, presso lo

studio del quale in Isernia, alla via XXIV Maggio, n. 33,

elettivamente si domicilia;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno, Procuratore generale Corte d’appello di

Campobasso;

– intimati –

per la cassazione del decreto del Tribunale di Campobasso depositato

in data 20 agosto 2018.

Fatto

RILEVATO

che:

con decreto del 20 agosto 2018 il Tribunale di Campobasso ha respinto il ricorso proposto da E.P.O. contro il provvedimento di diniego di protezione internazionale e della protezione umanitaria;

– a fondamento del rigetto il Tribunale ha ritenuto inverosimile il racconto dell’uomo, secondo il quale la setta degli (OMISSIS) l’avrebbe voluto coinvolgere, anche perchè l’adesione a quella setta di norma avviene spontaneamente o perchè si è in qualche modo partecipato alla vita del gruppo; ha aggiunto che nella regione di provenienza del migrante non era in atto una violenza indiscriminata, e che costui non aveva provato la sussistenza dei fattori di vulnerabilità;

– nel contempo col decreto si è revocata l’ammissione al gratuito patrocinio;

– ricorre per cassazione avverso questa pronuncia il migrante, che articola in tre motivi, cui le controparti non replicano (il Ministero dell’interno si è limitato a manifestare la propria disponibilità a partecipare all’udienza di discussione).

Diritto

CONSIDERATO

che:

– col primo motivo di ricorso l’istante denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 de 1998, artt. 8, 9, 14 e art. 27, comma 1-bis, D.Lgs. n. 251 de 2007, art. 1, lett. e) e g), artt. 3, 5, 7, 14, art. 16, comma 1, lett. b) e art. 19, nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, costituito dalla mancata valutazione della vicenda personale del richiedente asilo e della situazione esistente in Nigeria: il Tribunale avrebbe valutato non correttamente la vicenda personale del migrante, in quanto le sue dichiarazioni in merito alla setta degli (OMISSIS) trovavano pieno riscontro esterno e non erano affatto contraddittorie, inattendibili o vaghe, di modo che doveva essergli riconosciuto lo status di rifugiato, in presenza di un ragionevole timore di subire serie persecuzioni in caso di rimpatrio. Il Tribunale inoltre avrebbe valutato in maniera inadeguata il rischio per il ricorrente, di religione cristiana, di essere perseguitato per motivi religiosi oltre che dagli (OMISSIS), anche da parte del gruppo terroristico di (OMISSIS), trascurando di considerare che in realtà l’intero territorio nigeriano era afflitto da una violenza indiscriminata e diffusa ed assumendo erroneamente, in carenza di qualsiasi istruttoria, che l’Edo State fosse una regione sicura;

– la doglianza risulta inammissibile rispetto a entrambi i profili di critica dedotti: per un verso, quanto al riconoscimento dello status di rifugiato, la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c);

– questo apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile; si deve invece escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura e interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censure attinenti al merito (in termini, in fattispecie simili, Cass. 22 maggio 2019, nn. 13383 e 13384);

– nel caso in esame il Tribunale ha accertato, in fatto, la non credibilità della narrazione delle vicende che avrebbero indotto il richiedente asilo ad abbandonare il suo paese, giacchè il migrante non proviene dagli stati interessati dalla presenza degli (OMISSIS) e non ha manifestato un’effettiva conoscenza del gruppo e delle sue caratteristiche, pur avendo dichiarato che il padre ne aveva fatto parte; sicchè la censura mira in realtà a sovvertire un apprezzamento di merito;

– ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei poteri officiosi d’indagine e di informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente, astrattamente riconducibile ad una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel Paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, sulla base 4-ad un accertamento che deve essere aggiornato al momento della decisione (Cass. n. 17075/2018);

– il Tribunale si è ispirato a simili criteri, laddove ha rappresentato che la zona di provenienza del ricorrente non rientra tra quelle in cui la presenza di (OMISSIS) ha fatto assurgere il conflitto al livello di guerra civile, in base all’ultimo rapporto di Amnesty international. Per conseguenza anche questa censura vuole sovvertire l’esito dell’esame dei rapporti informativi valutati dal Tribunale, e, quindi, un apprezzamento demandato al giudice del merito;

– col secondo motivo l’istante lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio costituito dalla mancata valutazione della situazione esistente in Nigeria; inoltre, oltre a ciò, posto che i seri motivi necessari per il riconoscimento di questa forma di protezione potevano essere ricondotti a situazioni tanto soggettive quanto oggettive relative al paese di provenienza, il Tribunale avrebbe omesso di considerare che le condizioni di vita del richiedente asilo nel paese di origine, dove vi era una situazione di insicurezza e instabilità tale da determinare la violazione dei diritti fondamentali della persona, erano oggettivamente del tutto inadeguate;

– il motivo è nel suo complesso inammissibile;

vero è che il Tribunale era chiamato a valutare la sussistenza del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari del D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6, all’esito di una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio potesse determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel paese d’accoglienza (Cass. n. 4455/2018);

occorreva, tuttavia, che il migrante allegasse e dimostrasse, oltre alle ragioni che l’avevano spinto ad allontanarsi dal paese di origine, la situazione di integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, dato che la domanda diretta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo (Cass. n. 27336/2018). Sicchè l’omessa mancata indicazione del raggiungimento di una situazione d’integrazione in Italia ha impedito di estendere la valutazione della domanda al profilo comparativo che si assume omesso;

il Tribunale ha escluso la sussistenza di fattori di vulnerabilità oggettivi ricollegati alla condizione del paese, sottolineando che la regione di provenienza del migrante non era caratterizzata da conflitti armati, o soggettivi conseguenti alla situazione personale del ricorrente, di cui non era stata fornita alcuna prova. Sicchè anche per quest’aspetto la censura è generica e si risolve nel tentativo di rilettura, peraltro sulla base di allegazioni di principio del tutto generiche, delle risultanze di causa e delle informazioni raccolte sulla situazione socio-politico-economica del paese;

inammissibile è l’ultimo motivo di ricorso, col quale si denuncia la violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 74, la violazione e falsa applicazione dell’art. 136 del medesimo decreto, nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 28-bis, comma 2, lett. a), in base al consolidato orientamento di questa Corte (in espressione del quale si vedano Cass. 8 febbraio 2018, n. 3028 e 11 dicembre 2018, n. 32028), secondo il quale indipendentemente dalla circostanza che esso sia eventualmente pronunziato nel contesto della sentenza che definisce il giudizio di merito, il provvedimento di revoca dell’ammissione al gratuito patrocinio resta in ogni caso assoggettato esclusivamente al mezzo di impugnazione suo proprio, e cioè l’opposizione da proporsi al capo dell’ufficio giudiziario del magistrato che ha disposto la revoca, ai sensi dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 170;

il ricorso va dichiarato inammissibile, senza statuizione in ordine alle spese, per la mancanza di attività difensiva.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 31 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2020

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