Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10288 del 20/05/2015


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 10288 Anno 2015
Presidente: RUSSO LIBERTINO ALBERTO
Relatore: SCRIMA ANTONIETTA

SENTENZA
sul ricorso 18092-2011 proposto da:
COMUNE CIVITAVECCHIA in persona del sindaco pro tempore
GIOVANNI MOSCHERINI, elettivamente domiciliato in ROMA,
CORSO DI FRANCIA 197, presso lo studio dell’avvocato
GIULIANO LEMME, che lo rappresenta e difende giusta procura
speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –

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532-

contro
FALLIMENTO n. 58401/96 COMEF SRL in persona del curatore
fallimentare FABIO FUCILE, elettivamente domiciliato in ROMA,
LUNGOTEVERE DELLE NAVI 30, presso lo studio dell’avvocato

Data pubblicazione: 20/05/2015

ORESTE MICHELE FASANO, che lo rappresenta e difende giusta
procura speciale a margine del ricorso;

controricatrente

avverso la sentenza n. 4366/2010 della CORTE D’APPET J.0 di

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
26/02/2015 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA;
udito l’Avvocato ANTONELLA ANSELMO per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
ANTONIETTA CARESTIA che ha concluso per raccoglimento del
ricorso con riferimento al primo motivo.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
11 Tribunale di Civitavecchia, pronunciando sulla domanda di
inadempimento delle obbligazioni derivanti da due contratti di
locazione (e dall’art. 7 degli stessi in particolare), proposta dal
Fallimento Comef S.r.l. (locatore) nei confronti del Comune di
Civitavecchia (conduttore), condannava quest’ultimo al pagamento di E
320.282,86 nonché alle spese di lite.
Riteneva il Tribunale che l’immobile era stato riconsegnato al locatore
in condizioni di estremo degrado e che l’importo per il ripristino
nell’originario stato, in base alla specifica obbligazione assunta dal
conduttore all’alt 7 dei detti contratti, ammontava ad E 320.282,86,
detratti i costi (non imputabili al conduttore) relativi al rifacimento
delle tubature delle cucine e all’adeguamento dell’impianto elettrico e
dell’ascensore alla nuova normativa in tema di sicurezza.
Il Giudice di primo grado affermava, altresì, che la previsione di cui
all’art. 7 non confliggeva in modo insanabile con l’art. 1590 c.c.
prevedente l’obbligo del destinatario di restituzione della cosa locata
Ric. 2011 n. 18092
-2-

ROMA, depositata il 19/01/2011, R.G.N. 3799/2007;

nel medesimo stato di originaria consegna, salvo il deterioramento
dovuto all’uso effettuato in conformità del contratto, atteso, tra l’altro,
che nella specie trattavasi di locazione non abitativa, in relazione alla
quale non era vigente la “disciplina vincolistica rispetto alla misura
delle obbligazioni del conduttore”.

Fallimento.
La Corte di appello di Roma, con sentenza del 19 gennaio 2011,
rigettava il gravame e condannava l’appellante alle spese di quel grado.
Avverso la sentenza della Corte di merito il Comune di Civitavecchia
ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
Ha resistito con controricorso il Fallimento Comef S.r.l..
Il ricorrente ha depositato memoria e il difensore della parte
contro ricorrente ha comunicato l’intervenuta chiusura del fallimento
della Comef S.r.l. con ordine al curatore di chiedere la cancellazione
della società dal registro delle imprese.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Va anzitutto evidenziato che la chiusura del fallimento con ordine al
curatore di chiedere la cancellazione della società dal registro delle
imprese dichiarata in data 16 gennaio 2013, intervenuta dopo
l’instaurazione del giudizio di legittimità e la costituzione del detto
fallimento in questa sede, non rileva per il giudizio di cassazione, che è
caratterizzato dall’impulso d’ufficio ed al quale non sono perciò
applicabili le norme di cui agli artt. 299 e 300 c.p.c..
2. Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli
artt. 183 ss. del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, recante il testo unico
sulle autonomie locali (art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c.) e
contraddittorietà della motivazione (art. 360, primo cornma, n. 5,
c.p.c.)
kic. 2011 n.

18092
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Avverso tale decisione il Comune proponeva appello, cui resisteva il

r

Il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui, pur
prendendo atto della mancanza dell’impegno contabile che avrebbe
dovuto ex lese accompagnare la clausola di cui all’art. 7 dei contratti di
locazione in questione, ha contraddittoriamente rigettato l’eccezione di
nullità sollevata dal Comune, trattandosi di questione attinente ai

confronti della controparte, in difetto di espresso richiamo in contratto
ed in ossequio al principio di buona fede ed affidamento.
Sostiene il ricorrente che, con riferimento agli enti locali, “il
procedimento di spesa annovera l’impegno quale prima e cruciale fase
di gestione in cui si realizza un’obbligazione giuridicamente perfetta” e
al riguardo richiama quanto previsto dall’art. 183 D.Lgs. n. 267 del
2000 e precisa che l’impegno di spesa, per essere valido ed efficace
richiede l’attestazione, da parte del responsabile del servizio economico
finanziario, in relazione alla copertura finanziaria dell’impegno stesso.
Ad avviso del Comune, pertanto, la pattuizione di cui all’art. 7 in
parola, che pone a carico dell’ente un esborso di pecunia pubblica
generico, prescindendo dalle modalità di cui agli artt. 183 e ss. del
citato decreto legislativo, sarebbe nulla, stante la sua inidoneità a
determinare il sorgere di un impegno contabile giuridicamente
vincolante per il Comune.
2.1. Il motivo è fondato e va, quindi, accolto.
La Corte di merito ha interpretato la clausola in questione – e sul punto
.:

non vi é specifica contestazione – nel senso che il conduttore debba
riconsegnare l’immobile, alla fine della locazione, nell’identico stato in
cui l’aveva a suo tempo ricevuto (epoca coincidente con il
conseguimento del rilascio del certificato di abitabilia), includendo, ai
fini del ripristino, anche il deterioramento derivante dal normale uso.

Ric. 2011 n. 18092
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rapporti interni fra organi e uffici dell’ente ma non avente rilevanza nei

2

Tale clausola, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di merito, è
nulla.
Se è pur vero che il citato decreto legislativo non è applicabile, Tallone

temporis ai contratti di cui si discute in causa, risalenti al 1969, tuttavia
va evidenziato che, in tema di contratti stipulati dagli enti locali e dai

perpetuato nell’ora -lamento degli enti locali territoriali, quello della
necessità dell’impegno di spesa, non solo ai sensi della norma invocata
dal ricorrente ma anche già ai sensi dell’art. 55, comma 5 della legge 8
giugno 1990 e, ancor prima, ai sensi degli artt. da 284 a 288 del R.D. n.
383 del 1934 e successive modificazioni, e a tale principio – ad avviso
di questo Collegio – sostanzialmente, fa riferimento il ricorrente,
invocandone l’applicazione al caso di specie.
In particolare l’art. 284 citato, al primo comma, stabiliva che “le
deliberazioni dei comuni, delle province e dei consorzi, che importino
spese, devono indicare l’ammontare di esse e i mezzi per farvi fronte”.
Secondo il diritto vivente, l’osservanza della riportata disposizione — la
cui rado non può essere riduttivamente individuata soltanto in
un’esigenza di contabilità pubblica, in quanto pur avendo detta norma
di mira la regolarità e il buon andamento finanziario delle
amministrazioni locali, evitando che l’ente pubblico assuma
obbligazioni senza rendersi conto della loro incidenza economica e
senza valutare la propria reale capacità di adempierle, questi obiettivi
sono perseguiti in funzione dell’interesse pubblico all’equilibrio
economico, e quindi al buon andamento, di dette amministrazioni, in
un quadro di certezza e di trasparenza che ha fondamento
costituzionale (art. 97) — deve ritenersi prescritta a pena di nullità, alla
luce della generale previsione di cui al successivo art 288 dello stesso
R.D., che statuiva la nullità delle deliberazioni “prese in adunanze
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comuni in particolare, é principio generale inderogabile, che si à

illegali, o adottate sopra oggetti estranei alle attribuzioni degli organi
deliberanti o che contengano violazioni di legge”. Dal combinato
disposto dei due precetti discende, infatti, che le deliberazioni – che
importino spese e non indichino l’ammontare di esse e i mezzi per
farvi fronte – sono nulle perché adottate in violazione di legge, stante il

L’affermazione della Corte di merito, secondo cui la mancanza
dell’impegno contabile di spesa e dell’attestazione di copertura
finanziaria costituisce questione afferente ai rapporti interni fra organi
ed uffici dell’Ente ma non può assumere rilevanza nei confronti
dell’instaurato rapporto, non è corretta, alla luce del principio
affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte in rapporto alla
violazione dell’art. 384, primo comma, del R.D. n. 383 del 1934 e in
tema di contratto di prestazione d’opera stipulato, iure privatorum, da un
ente locale con un professionista, ma sicuramente applicabile anche al
caso ora all’esame e secondo cui, nel vigore del combinato disposto
degli artt. 284 e 288 del predetto regio decreto, la delibera con la quale
i competenti organi comunali o provinciali affidano a un professionista
privato l’incarico per la progettazione di un’opera pubblica é valida e
vincolante nei confronti dell’ente locale soltanto se contenga la
previsione dell’ammontare del compenso dovuto al professionista e dei
mezzi per farvi fronte; l’inosservanza di tali prescrizioni determina la
nullità della delibera, nullità che si estende al contratto successivamente
stipulato, escludendone l’idoneità a costituire titolo per il compenso
(Cass., sez. un., 10 giugno 2005, n. 12195).
Con il ricordato arresto le Sezioni Unite hanno precisato che la tesi,
alla quale ha evidentemente aderito la Corte di merito, e secondo cui il
vizio della delibera produrrebbe conseguenze circoscritte al solo
ambito organizzativo dell’ente, senza incidere negativamente sui diritti
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carattere tassativo della prima disposizione (“devono indicare”).

I

acquisiti dall’altro contraente in forza del contratto stipulato

iure

privatorum, si scontra, infatti, con la considerazione che nella
formazione dei contratti soggetti alla cd. evidenza pubblica (tra cui
quelli stipulati dagli enti locali) coesistono due procedimenti collegati: il
primo/ destinato a sfociare in un provvedimento (deliberazione a

da perseguire ed i relativi strumenti; il secondo funzionale alla
/
formazione dell’accordo tra le parti contraenti secondo le norme
privatistiche, salve alcune varianti correlate segnatamente alle
procedure da seguire per la scelta del contraente.
Ne discende che – fermo restando pure il consolidato principio per cui
la deliberazione, fino a quando non venga tradotta in un atto
contrattuale sottoscritto dal rappresentante dell’ente e dall’altra parte
contraente, è atto con efficacia interna, inidoneo a determinare la
costituzione del relativo rapporto negoziale – i vizi della fase
amministrativa – quelli, cioè, che rendano la delibera radicalmente nulla
(e non semplicemente annullabile) – vitiantur et vitiant, ossia si
riverberano anche sull’atto negoziale successivo, rispetto al quale la
delibera a contrarre s’inserisce come passaggio obbligato nell’iter di
formazione della volontà contrattuale della parte pubblica, proprio
perché tale volontà non si può ritenere validamente formata nella sede
propria e, sul piano negoziale, il contratto viene ad essere stipulato in
contrasto con una norma imperativa, con le conseguenze di cui all’art.
1418, primo comma, cc. (Cass., sez. un., 10 giugno 2005, n. 12195; v.
pure, in motivazione, 26 maggio 2006, n.12636; Cass. 2 luglio 2007, n.
18144; Cass. 28 dicembre 2010, n. 26202 e Cass. 18 novembre 2011, n.
24303).
3. L’esame del secondo motivo (con cui si lamenta “violazione e/o
falsa applicazione degli artt. 1590, 1339 e 1419 c.c.) e del terzo motivo
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contrarre da parte degli organi competenti) con cui si esterna lo scopo

;

(con cui si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 1223,
1218 c.c.), resta assorbito dall’accoglimento del primo motivo.
4. Alla luce delle argomentazioni che precedono, va accolto il primo
motivo del ricorso, assorbiti il secondo e il terzo; la sentenza
impugnata va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche

Roma, in diversa composizione, che si uniformerà al suddetto
principio di diritto e a quanto sopra evidenziato.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti il secondo e il
terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e
rinvia la causa, anche in relazione alle spese del presente giudizio di
legittimità, alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza
Civile della Corte Su rema di Cassazione, il 26 febbraio 2015.

per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte di appello di

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