Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10287 del 29/05/2020

Cassazione civile sez. I, 29/05/2020, (ud. 31/10/2019, dep. 29/05/2020), n.10287

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 30296 del ruolo generale dell’anno 2018

proposto da:

M.D., (alias D.M.), rappresentato e difeso, giusta

procura speciale in calce al ricorso, dall’avv. Chiara Costagliola,

con la quale elettivamente si domicilia in Roma, alla via Mario

Menghini, n. 21, presso lo studio dell’avv. Pasquale Porfilio;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno, Commissione territoriale di Salerno, sezione

di Campobasso;

– intimati –

per la cassazione del decreto del Tribunale di Campobasso depositato

in data 19 settembre 2018.

Fatto

RILEVATO

che:

emerge dal decreto impugnato che la Commissione territoriale di Salerno, sezione di Campobasso, ha rigettato la domanda proposta da D.M., cittadino del (OMISSIS), per il riconoscimento dello status di rifugiato, oppure per la concessione della protezione sussidiaria o di quella umanitaria;

– il Tribunale di Campobasso ha respinto l’impugnazione proposta contro la decisione della Commissione;

– a sostegno della decisione, ha fatto leva, quanto allo status di rifugiato, sul fatto che la richiesta è sorretta da problemi personali e sulla considerazione che l’istante non si sentiva più sicuro in Senegal per fatti, come le riferite aggressioni da parte di ribelli, che sarebbero avvenute in danno del padre, all’epoca capo del villaggio, risalenti al (OMISSIS);

– a fondamento del diniego della protezione sussidiaria, ha esposto che il Senegal non rientra nel novero delle zone in cui vi sia attualmente un conflitto armato al livello di guerra civile, come si evince, d’altronde, anche dall’ultimo rapporto di Amnesty international;

– a base del rigetto della richiesta di concessione della protezione umanitaria, ha rimarcato che per un verso i timori di persecuzione politica personale in caso di rientro in patria sono congetturali e per altro verso l’istante non risulta munito di legami familiari in Italia, nè manifesta patologie che debbano necessariamente essere curate in Italia;

– per conseguenza il Tribunale ha disposto la revoca dell’ammissione al gratuito patrocinio;

– contro il decreto propone ricorso il cittadino senegalese per ottenerne la cassazione, che affida a cinque motivi, cui non v’è replica.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– inammissibile è il primo motivo di ricorso, col quale l’istante lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a) e c), per il diniego di protezione sussidiaria, là dove il Tribunale di Campobasso avrebbe escluso da un lato la rilevanza della situazione individuale del ricorrente e dall’altro la situazione di pericolo derivante dall’attuale situazione socio-politica del Senegal;

– il motivo è inammissibile quanto al primo aspetto, perchè non intercetta la ratio decidendi, che non consiste nell’affermazione dell’irrilevanza in astratto delle esigenze personali, bensì nell’inconferenza di esse in concreto, sia per la risalenza nel tempo, sia per la connotazione soggettiva e priva di riscontri; esso è altresì inammissibile in relazione al secondo, giacchè l’accertamento della sussistenza di una minaccia grave e individuale alla vita di colui che chieda la protezione sussidiaria, derivante da violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in rapporto alla situazione generale del paese di origine, costituisce apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non sindacabile in sede di legittimità (tra varie, Cass. 12 dicembre 2018, n. 32064 e 21 novembre 2018, n. 30105);

parimenti inammissibile è il secondo motivo di ricorso, col quale il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, là dove il Tribunale non avrebbe considerato le vicende politiche del paese d’origine e i gravi attentati in proprio danno che ne sarebbero scaturiti, in rapporto col proprio livello d’integrazione, evincibile dalla frequenza dei cosi di lingua italiana;

– questa Corte (si veda in particolare Cass. 3 aprile 2019, n. 9304) ha già avuto occasione di stabilire che l’apprezzamento della condizione di vulnerabilità che giustifica il riconoscimento della protezione umanitaria dev’essere ancorato a una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza ed alla quale egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio, poichè, in caso contrario, si avrebbe riguardo non già alla situazione particolare del singolo soggetto, ma, piuttosto, a quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6;

– nel caso in esame, di contro, l’apprezzamento svolto dal giudice di merito e in ordine alla situazione del paese d’origine, e in ordine alla situazione in Italia del ricorrente esclude la sussistenza della condizione di vulnerabilità in questione;

– le considerazioni che precedono evidenziano l’inammissibilità del terzo motivo di ricorso, col quale si deduce la violazione dell’art. 116 c.p.c. e l’omessa valutazione da parte del giudice di merito di prove documentali. Ciò in base al principio secondo cui, in tema di valutazione delle allegazioni e delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità; sicchè la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione (vedi, tra varie, Cass. 6 aprile 2018, n. 8473). Laddove, all’esame della deduzione del vizio di motivazione, è d’ostacolo il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, al regime del quale è soggetta l’impugnazione del decreto;

sono poi inammissibili gli ultimi due motivi di ricorso, coi quali il ricorrente censura, rispettivamente, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 74 e la violazione e falsa applicazione dell’art. 136 del medesimo decreto, con prospettazione di questioni di legittimità costituzionale relativamente alla disciplina della revoca del decreto: in base al consolidato orientamento di questa Corte (cfr. Cass. 8 febbraio 2018, n. 3028 e 11 dicembre 2018, n. 32028) indipendentemente dalla circostanza che sia pronunziato nel contesto della sentenza che definisce il giudizio di merito, il provvedimento di revoca dell’ammissione al gratuito patrocinio resta in ogni caso assoggettato esclusivamente al mezzo di impugnazione suo proprio, e cioè l’opposizione da proporsi al capo dell’ufficio giudiziario del magistrato che ha disposto la revoca, ai sensi dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 170; sicchè risultano irrilevanti le prospettate questioni di legittimità costituzionale;

il ricorso va dichiarato inammissibile, senza statuizione in ordine alle spese, per la mancanza di attività difensiva.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 31 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2020

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