Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10287 del 20/05/2015


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 10287 Anno 2015
Presidente: RUSSO LIBERTINO ALBERTO
Relatore: BARRECA GIUSEPPINA LUCIANA

SENTENZA

sul ricorso 27702-2011 proposto da:
COMUNE DI TERME VIGLIATORE 00158240838, in persona
del suo Sindaco e rappresentante legale pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CALABRIA 56,
presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI BONARRIGO,
rappresentato e difeso dall’avvocato GIAMBATTISTA DI
BLASI giusta procura sPeciale a margine del ricorso;
– ricorrente contro

CIPRIANO ROSARIA, elettivamente domiciliata in ROMA,
PIAZZALE CLODIO N.13, presso lo studio dell’avvocato

Data pubblicazione: 20/05/2015

OLGA GERACI, rappresentato e difeso dall’avvocato
VINCENZO MANDANICI giusta procura speciale a margine
del controricorso;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 520/2010 della CORTE D’APPELLO

343/2004 e 428/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 26/02/2015 dal Consigliere Dott.
GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;
udito l’Avvocato VINCENZO MANDANICI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ANTONIETTA CARESTIA che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

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di MESSINA, depositata il 12/10/2010, RR.GG.NN.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.- Rosaria Cipriano citava in giudizio, dinanzi al Tribunale di

Barcellona P.G., il Comune di Terme Vigliatore, in persona del
sindaco pro-tempore, per sentirlo condannare al risarcimento dei
danni provocati al fondo rustico destinato a vivaio di piante

fanghiglia provenienti dal canale (localmente detto “saja”)
Mollerino, di proprietà del convenuto. Deduceva che lo
straripamento, verificatosi nei giorni 3 e 4 ottobre 1996, era
stato causato, oltre che dalla inidoneità strutturale, per la
quale vi era stata l’erosione degli argini, anche dalla mancata
manutenzione, per cui la gran quantità di arbusti e detriti
presenti sul letto aveva impedito il regolare flusso delle acque.
1.1.- Si costituiva il Comune convenuto e, resistendo alla
domanda, deduceva che la causa dello straripamento doveva
imputarsi all’eccezionale ondata di maltempo che in quei giorni si
era abbattuta in tutta la provincia di Messina, tanto che era
stato dichiarato lo stato di calamità naturale per numerosi
comuni, tra cui quello di Terme Vigliatore. Aggiungeva che,
comunque, non sarebbe stato possibile distinguere, ai fini della
quantificazione, i danni prodotti dalla cattiva manutenzione dai
danni causati dal maltempo ed inoltre che vi era stata negligenza
dell’attrice, che non aveva richiesto tempestivamente al Comune di
sistemare gli argini del canale di scolo.
1.2.-

Istruita la causa con l’audizione di testimoni e

l’espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio, il Tribunale,

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pregiate, di cui era affittuaria, da inondazioni di liquami e

con sentenza del 31 gennaio13 febbraio 2004, ritenuta la
responsabilità del convenuto nella misura del 50%, lo condannava a
pagare in favore dell’attrice, a titolo di risarcimento danni, la
somma complessiva di E 123.448,90, oltre interessi, nonché al
rimborso delle spese processuali.
Avverso la sentenza proponeva appello il Comune di Terme

Vigliatore.
Rosaria Cipriano proponeva separato gravame e successivamente si
costituiva anche nel giudizio già instaurato dal Comune,
contestando in via incidentale la propria concorrente
responsabilità.
2.1.-

La Corte d’Appello di Messina, disposta la riunione dei

giudizi, con la decisione ora impugnata, pubblicata il
2010,

12 ottobre

ha rigettato l’appello del Comune di Terme Vigliatore ed ha

accolto parzialmente l’appello della Cipriano. In parziale riforma
della sentenza di primo grado, ha condannato il Comune al
risarcimento dei danni in favore della Cipriano, liquidati
complessivamente in E 246.897,80 (importo rivalutato alla data
della sentenza di primo grado), oltre interessi, reputando la
responsabilità esclusiva dell’originario convenuto; ha confermato
nel resto la sentenza di primo grado ed ha condannato il Comune al
pagamento delle spese del secondo grado.
3.- Avverso la sentenza il Comune di Terme Vigliatore propone
ricorso affidato a due motivi.
Rosaria Cipriano resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE

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2.-

1.- Col primo motivo del ricorso si deduce violazione e falsa
applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. ed
insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un punto
decisivo della controversia ai sensi dell’art. 360 n. 3 e 5 cod.
proc. civ.

base di una consulenza tecnica d’ufficio che non avrebbe potuto
costituire valida fonte di prova dei fatti allegati dalla parte
istante a dimostrazione della causa dei danni. Svolge quindi una
serie di critiche alle conclusioni raggiunte dal consulente,
osservando che questi si recò sui luoghi tre anni dopo i fatti e
si sarebbe impropriamente avvalso di un elaborato di parte,
redatto invece in coincidenza con quei fatti. Cita giurisprudenza
di legittimità per la quale la perizia stragiudiziale di parte non
potrebbe costituire prova di quanto in essa contenuto, potendo
tutt’al più avere valore indiziario. Nel caso di specie, vi
sarebbe stata violazione di legge per avere i giudici di merito
attribuito alla stessa valore di prova. Altra violazione di legge
vi sarebbe stata per avere i giudici di merito considerato alla
stregua di una prova testimoniale le dichiarazioni rese dal
tecnico comunale, geom. Torre, raccolte dal C.T.U. e riportate
nella consulenza tecnica d’ufficio.
1.1.- La motivazione della sentenza, a detta del ricorrente,
sarebbe contraddittoria ed insufficiente perché avrebbe
considerato solo parzialmente le conclusioni del CTU, in quanto
non ne avrebbe valorizzato la parte relativa al fenomeno

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Il ricorrente lamenta che il giudice abbia deciso la causa sulla

pluviometrico di particolare durata ed intensità che aveva colpito
la zona e che si sarebbe dovuto considerare causa dello
straripamento del canale.
2.- Il motivo non merita di essere accolto.

Non è configurabile la violazione di legge denunciata con

risolvendosi il motivo nel dedotto vizio di motivazione,
specificamente nel vizio di motivazione insufficiente (non
rinvenendosi nella relativa illustrazione alcun accenno alla
fattispecie della motivazione contraddittoria).
E’ da escludere che sia viziata la motivazione soltanto perché il
giudice si è avvalso di una consulenza tecnica d’ufficio espletata
anche sulla base di una perizia stragiudiziale di parte.
Infatti, già lo stesso giudice può porre a fondamento della
propria decisione una perizia stragiudiziale, ed anche se
contestata dalla controparte, purché fornisca adeguata motivazione
di tale sua valutazione, attesa l’esistenza, nel vigente
ordinamento, del principio del libero convincimento del giudice
(così, da ultimo, Cass. ord. n. 26550/11, nonché, tra le altre,
già Cass. n. 12411/01).
A maggior ragione, può il consulente tecnico d’ufficio avvalersi
delle risultanze, peraltro di mero fatto (quindi, non valutative),
di una perizia di parte, purché sia lo stesso CTU a valutare
autonomamente tali risultanze, traendo le proprie conclusioni,
loro volta, soggette all’apprezzamento del giudice.

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riferimento alle norme degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.,

Inoltre, va ribadito che il consulente tecnico d’ufficio,
nell’espletamento del mandato ricevuto, può chiedere, ai sensi
dell’art. 194 cod. proc. civ., informazioni a terzi ed alle parti,
per l’accertamento dei fatti collegati con l’oggetto
dell’incarico, senza bisogno di una preventiva autorizzazione del

in modo da permettere il controllo delle parti, possono concorrere
con le altre risultanze di causa alla formazione del convincimento
del giudice; il c.t.u., nella verbalizzazione di siffatte
informazioni, in quanto ausiliario del giudice, ha la qualità di
pubblico ufficiale e, pertanto, l’atto da lui redatto, il quale
attesta che a lui sono state rese le succitate informazioni, fa
fede fino a querela di falso (così Cass. n. 15411/04, nonché Cass.
n. 14652/12).
Nel caso di specie, la Corte d’Appello si è legittimamente
avvalsa, non solo della consulenza tecnica d’ufficio e delle
dichiarazioni raccolte dal consulente tecnico d’ufficio, ma anche
di deposizioni testimoniali assunte in primo grado (come quella
del Comandante della Polizia Municipale, espressamente richiamata
in sentenza; oltre ad altre, indicate nel controricorso), senza
che il ricorrente vi abbia nemmeno fatto cenno.
A tutto quanto sopra va aggiunto che, per infirmare, sotto il
profilo dell’insufficienza argomentativa, la motivazione
relationem

per

alle conclusioni del CTU, è necessario che la parte

alleghi le critiche mosse alla consulenza tecnica d’ufficio già
dinanzi al giudice a

quo,

la loro rilevanza ai fini della

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giudice e queste informazioni, quando ne siano indicate le fonti,

decisione e l’omesso esame in sede di decisione; al contrario, una
mera disamina, corredata da notazioni critiche, dei vari passaggi
dell’elaborato peritale richiamato in sentenza, si risolve nella
mera prospettazione di un sindacato di merito, inammissibile in
sede di legittimità (Cass. n. 10222/09).

la motivazione del giudice, in sé congrua e giuridicamente
ineccepibile, senza intaccare validamente le risultanze
processuali su cui è fondata.
3.-

Col secondo motivo si denuncia violazione e/o falsa

applicazione degli artt. 915, 916, 917 e 2053 cod. civ., al fine
di censurare la riforma della sentenza di primo grado che aveva
riconosciuto la Cipriano corresponsabile dei danni, in quanto non
si era attivata per invitare l’Ente proprietario a rimuovere gli
ingombri presenti sul canale né vi aveva provveduto direttamente.
Secondo il ricorrente, la Corte d’Appello avrebbe errato nel
ritenere prevalente l’art. 2053 cod. civ. sulle norme di cui agli
artt. 915 e seg. cod. civ., che stabiliscono a carico del
proprietario, su cui incombe il pericolo derivante dalle
ostruzioni del canale, l’onere di rimuovere gli ingombri. Sostiene
che queste costituiscono norme specifiche, regolatrici della
materia del deflusso delle acque, che, in quanto tali, si
sostituiscono a quelle di carattere generale, quale è l’art. 2053
cod. oiv., applicabili solo in mancanza di una particolare
disciplina dell’istituto.
3.1.- Il motivo non è fondato.

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E’ perciò inammissibile il primo motivo che si limita a criticare

Giova premettere che non risultano affatto dal ricorso né dalla
sentenza, e sono vivamente contestati nel controricorso, i
presupposti di applicabilità della disciplina compresa nel titolo
secondo, “della proprietà”, del terzo libro del codice civile,
specificamente negli artt. 915, 916 e 917 cod. civ. Si tratta,

private, non anche alle acque cd. pubbliche, vale a dire soggette
al regime del demanio idrico.
Orbene, premesso che, in base al combinato disposto degli artt.
822 e 824 cod. civ., è da escludere che l’ordinamento contempli,
come ipotesi normale, un demanio idrico comunale, è tuttavia
applicabile il regime del demanio idrico agli acquedotti di
proprietà comunale. Tra gli acquedotti, di cui è detto nel comma
secondo dell’art. 822 cod. civ., si comprendono i canali destinati
allo scorrimento delle acque anche per l’irrigazione.
La natura demaniale delle acque comporta l’inapplicabilità della
disciplina richiamata in ricorso, essendo invece applicabili le
norme degli artt. 2051 e/o 2053 cod. civ., quest’ultimo in
riferimento alla rovina degli argini (cfr. Trib. Sup. Acque Pubb.
n. 127/99), come sostenuto nel controricorso.
Sarebbe stato onere del ricorrente dare conto del fatto che nel
merito si fosse ritenuta la natura privata del canale -definito in
ricorso come “saja Mollerino” (con l’uso di un termine del
dialetto siciliano, presumibilmente di derivazione araba, dal
generico significato di canale, canaletto dove scorre l’acqua per
l’irrigazione della terra), ma non meglio individuato, quanto a

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infatti, di disciplina applicabile esclusivamente alle acque

struttura e destinazione o utilizzazione- al fine di escluderne
l’appartenenza al demanio comunale, e rendere perciò ammissibile
il richiamo alla disciplina privatistica.
3.2.-

Peraltro,

la decisione della Corte territoriale non

contravviene comunque alla disciplina dettata dalle norme

del Comune un obbligo risarcitorio.
La Corte d’Appello ha ritenuto imputabile ad un comportamento
omissivo colposo del Comune proprietario la cattiva manutenzione
del canale ed ha escluso, in punto di fatto, che fosse stata
fornita dal Comune la prova di un comportamento omissivo colposo
imputabile alla parte privata, atto a determinare o ad aggravare i
danni prodotti dalla rottura degli argini e dalla tracimazione
delle acque.
Premesso che è lo stesso art. 917, coma secondo, cod. civ. a
prevedere la responsabilità per danni nel caso in cui la
distruzione degli argini o l’ingombro nel corso delle acque derivi
da colpa di alcuno dei proprietari, va osservato che, in tale
eventualità, operano gli ordinari principi della responsabilità
per fatto illecito, e non trovano perciò applicazione diretta gli
artt. 915 e 916 cod. civ. (cfr. Cass. n. 14664/08).
Nel caso di specie, l’obbligo risarcitorio del Comune fa seguito
alla relativa affermazione di responsabilità per fatto illecito,
in ragione di uno specifico comportamento omissivo colposo, senza
che su quest’ultimo punto vi sia stata apposita censura, se non
quella di cui si è detto trattando del primo motivo.

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richiamate col secondo motivo di ricorso, laddove pone a carico

In particolare,

la configurazione,

da parte della Corte

territoriale, del fatto produttivo di danni come dovuto, non tanto
e non solo ad eventi naturali, ma ad uno specifico comportamento
colposo del Comune rende inapplicabili, in via diretta, le
previsioni degli artt. 915 e 916 cod. civ. richiamate dal

danneggiata), e rende interamente applicabile la disciplina
dell’illecito.
Quanto a quest’ultima, il tenore della decisione è nel senso che
non sia stata fornita la prova di un comportamento della
danneggiata di concorso nel fatto illecito del Comune, nonché nel
senso che nemmeno sarebbe stato configurabile in capo alla stessa
un vero e proprio dovere di controllo, che le imponesse di
sollecitare il Comune a rimuovere gli ingombri o di provvedervi
direttamente.
La decisione è perciò fondata sulla ritenuta mancanza del concorso
di colpa della danneggiata (peraltro affittuaria e non
proprietaria del fondo rustico confinante con il canale comunale),
avendo la Corte escluso, in particolare, l’esigibilità a suo
carico, ai sensi dell’art. 1227 cod. civ., di un’attività di
controllo sullo stato dei luoghi.
Questa ratio decidendi non risulta validamente censurata.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si
liquidano come da dispositivo.
Per questi motivi

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q7

ricorrente (al solo scopo di sostenere il concorso di colpa della

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento
delle spese del giudizio di cassazione in favore della resistente,
complessivamente liquidate nell’importo di 7.500,00, di cui

e

200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come
per legge.

Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2015.

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