Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10286 del 20/05/2015
Civile Sent. Sez. 3 Num. 10286 Anno 2015
Presidente: RUSSO LIBERTINO ALBERTO
Relatore: BARRECA GIUSEPPINA LUCIANA
SENTENZA
sul ricorso 27676-2011 proposto da:
MINISTERO DELL’INTERNO 80185690585, in persona del
Ministro pro tempore, domiciliato ex lege in ROMA,
VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE
DELLO STATO, da cui è difeso per legge;
– ricorrente contro
2015
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FERRO NATALINO FRRNLN50T22L947Z;
– intimato –
Nonché da:
FERRO
NATALINO
FRRNLN50T22L947Z,
elettivamente
Data pubblicazione: 20/05/2015
domiciliato in ROMA, VIA XX SETTEMBRE 15, presso lo
studio dell’avvocato FRANCESCO CIDDIO, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato FULVIA
BACCOS giusta procura speciale a margine del ricorso
incidentale;
contro
MINISTERO DELL’INTERNO 80185690585;
– Intimato –
avverso la sentenza n. 1906/2010 della CORTE
D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 07/10/2010,
R.G.N. 1705/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 26/02/2015 dal Consigliere Dott.
GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;
udito l’Avvocato dello Stato FRANCESCO CLEMENTI;
udito l’Avvocato FULVIA BACCOS;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ANTONIETTA CARESTIA che ha concluso
per il rigetto di entrambi i ricorsi.
2
– ricorrente incidentale –
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
l.-
Natalino Ferro citava in giudizio, dinanzi al Tribunale di
Venezia, il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro-
,
tempore, per sentirlo condannare al risarcimento dei danni
I
provocati da due provvedimenti, con i quali la Prefettura di
il decreto di riconoscimento della qualifica di guardia giurata e
la licenza di porto d’armi ed, in data 6 settembre 1995, aveva
revocato il precedente decreto in modo insoddisfacente, in quanto
la revoca (della revoca) era limitata alla detenzione delle armi
presso l’abitazione. Deduceva che, a seguito delle vicende che lo
avevano visto coinvolto nelle indagini per una rapina presso un
ristorante in Ponte di Brenta, dove lavorava con la qualifica
di
guardia giurata addetta alla sicurezza e munito di porto d’armi,
conclusesi tuttavia con l’archiviazione nel dicembre 1992, era
stato adottato -dopo l’annullamento da parte del TAR di un
precedente analogo decreto prefettizio in data 10 dicembre 1991il provvedimento del 24 marzo 1992; che anche questo provvedimento
era stato impugnato dinanzi al TAR; che frattanto era stato
Padova, in data 24 marzo 1992, aveva revocato nei suoi confronti
licenziato; che nelle more del giudizio dinanzi al TAR era stata
,
.t
disposta l’archiviazione di cui sopra; che, ciò nonostante, il
Prefetto aveva revocato il detto provvedimento, con l’altro, sopra
citato, del 6 settembre 1995, che tuttavia non aveva ripristinato
il suo stato precedente; che con sentenza del 23 aprile 1998 il
TAR aveva annullato il precedente provvedimento del 19 marzo 1992;
che a causa del comportamento della P.A. aveva preso il posto di9
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lavoro e si era trovato nell’impossibilità di trovare occupazione,
subendo gravi danni, dei quali chiedeva, appunto, il risarcimento.
1.1.-
Si costituiva il Ministero convenuto e, resistendo alla
domanda, escludeva che vi fosse stato un comportamento doloso o
colposo della pubblica amministrazione, contestava i danni, anche
inoltre, la prescrizione.
1.2.-
Il Tribunale, rigettata con sentenza non definitiva
l’eccezione di prescrizione, con sentenza definitiva del 13
ottobre 2003 rigettava la domanda dell’attore e condannava
quest’ultimo alle spese di lite.
2.-
Avverso la sentenza Natalino Ferro proponeva appello, a cui
resisteva il Ministero, proponendo appello incidentale contro la
sentenza non definitiva che aveva rigettato l’eccezione di
prescrizione.
La Corte d’Appello di Venezia, con la decisione ora impugnata,
pubblicata il
7 ottobre 2010,
ha rigettato l’appello incidentale
del Ministero ed ha accolto parzialmente l’appello del Ferro. In
parziale riforma della sentenza di primo grado, ha condannato il
Ministero al risarcimento dei danni, ritenuti come causati dalla
mancanza di lavoro nel periodo compreso tra il 1995 e il 1997
(rispetto a quello, ben più ampio, indicato dal Ferro), liquidati
nella somma complessiva di E 20.000,00, oltre rivalutazione
monetaria secondo gli indici ISTAT ed interessi legali dal 6
settembre 1996 al saldo; ha condannato il Ministero al pagamento
nella quantificazione e l’esistenza del nesso causale; eccepiva,
dei due terzi delle spese dei due gradi, compensando la quota
rimanente.
3.
–
Avverso la sentenza il Ministero dell’Interno propone ricorso
principale affidato a due motivi.
Natalino Ferro resiste con controricorso e propone ricorso
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.
–
Logicamente preliminare è l’esame dell’unico motivo del
ricorso incidentale, con cui si censura la decisione della Corte
d’Appello che ha escluso la sussistenza di un illecito della
pubblica amministrazione nell’adozione del provvedimento del 19
marzo 1992; quindi, ha escluso il risarcimento per i danni
lamentati dal Ferro come prodotti da questo provvedimento nel
periodo compreso tra la sua adozione ed il 6 settembre 1995 (data
di adozione del provvedimento di cui si dirà trattando del ricorso
principale).
Il ricorrente incidentale denuncia violazione e falsa applicazione
di legge, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ.,
relativamente all’art. 2043 cod. civ., in relazione agli artt. 11,
42, 44, 138, 141 T.U.L.P.S. e in relazione a principi e norme
costituzionali (artt. 27, 28 e 97 Cost.), nonché vizio di
motivazione, ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., in
ordine alla parziale reiezione della sua domanda risarcitoria.
Sostiene, con le deduzioni sub A), che la gravità dei reati a lui
addebitati in via provvisoria e la sottoposizione ad indagini
preliminari non avrebbero potuto giustificare, di per sé, nemmeno
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incidentale con un unico motivo.
un
provvedimento
di
sospensione
delle
autorizzazioni
amministrative e, con le deduzioni sub B), che, comunque, il
provvedimento di sospensione, ove adottato, non avrebbe certo
comportato le stesse conseguenze pregiudizievoli di quello di
revoca in effetti emanato.
al primo né con riferimento al secondo dei profili separatamente
illustrati.
Quanto al primo, l’annullamento del provvedimento di revoca da
parte del TAR Lazio con la sentenza del 23 aprile 1998 e, quindi,
la sua illegittimità, oramai accertata in via definitiva dal
giudice amministrativo, rendono superflue tutte le considerazioni
svolte dal ricorrente sub A) e ne palesano l’inammissibilità, in
quanto, per un verso, in contrasto col giudicato amministrativo e,
per altro verso, non pertinenti rispetto alla
ratio decidendi
della sentenza impugnata.
Infatti, come osservato dalla Corte d’Appello di Venezia, risulta
proprio dalla citata sentenza del TAR Veneto che la gravità dei
reati contestati e la sottoposizione ad indagini penali erano tali
da giustificare senz’altro un provvedimento di sospensione.
Quanto, poi, al provvedimento di revoca del 19 marzo 1992,
adottato in luogo di quello di sospensione, non è parimenti in
discussione che si sia trattato di un provvedimento illegittimo,
proprio perché la questione è coperta dal giudicato amministrativo
di annullamento.
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1.1.- Il motivo non merita di essere accolto, né con riferimento
Tuttavia, la responsabilità della p.a., ai sensi dell’art. 2043
cod. civ., per l’esercizio illegittimo della funzione pubblica, è
configurabile qualora si verifichi un evento dannoso che incida su
un interesse rilevante per l’ordinamento e che sia eziologicamente
connesso ad un comportamento della p.a. caratterizzato da dolo o
determinarne automaticamente l’illiceità. Ne consegue che il
criterio di imputazione della responsabilità non è correlato alla
sola illegittimità del provvedimento, ma ad una più complessa
valutazione, estesa all’accertamento dell’elemento soggettivo e
della connotazione dell’azione amministrativa come fonte di danno
ingiusto (così, da ultimo, Cass. n. 23170/14).
1.2.-
La Corte d’Appello ha ritenuto, con motivazione che non
presenta affatto il vizio di illogicità e contraddittorietà
lamentato dal ricorrente incidentale, che anche la sospensione
che sarebbe stata legittima, per quanto sopra- avrebbe prodotto la
stessa situazione di fatto determinata dalla revoca -che pure, in
sé, è stata ritenuta illegittima- vale a dire l’impedimento a
lavorare come guardia giurata per tutto il periodo di vigenza
della sospensione ovvero della revoca.
Trattasi di osservazione oggettivamente incontestabile, perché, se
è vero che, dal punto di vista astratto e dei relativi
presupposti, i due provvedimenti sono distinti, è pur indubitabile
che i relativi effetti sarebbero stati, in concreto, identici
quanto all’impedimento allo svolgimento, da parte del Ferro,
dell’attività di guardia giurata, con riferimento al periodo
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colpa, non essendo sufficiente la mera illegittimità dell’atto a
compreso tra il 1992 ed il 1995 (che è quello oggetto del ricorso
incidentale). Perciò sono prive di pertinenza le considerazioni
del ricorrente incidentale, che attengono alla diversità delle
conseguenze dell’annullamento di ciascuno dei due provvedimenti
(poiché l’annullamento della sospensione, a differenza di quello
status quo ante),
laddove
gli effetti da prendere in considerazione, e presi in
considerazione dalla Corte territoriale, sono quelli che attengono
alla vigenza del provvedimento.
1.3.-
In merito, poi, all’esclusione del diritto al risarcimento
per il periodo suddetto, è stato accertato dal giudice d’appello
che la Prefettura venne a conoscenza dell’archiviazione delle
indagini penali soltanto a seguito dell’istanza di revoca
presentata dal Ferro nel 1995.
Il ricorrente incidentale sostiene che tale accertamento sarebbe
stato da lui contestato con l’atto di appello. Tuttavia, per
questo profilo, il ricorso è privo di autosufficienza, poiché non
specifica il contenuto di siffatte contestazioni, né precisa quali
sarebbero state le prove (genericamente indicate in ricorso come
«testimonianze rese nel corso del giudizio di primo grado»)
che
la Corte d’Appello non avrebbe considerato e che, se considerate,
l’avrebbero dovuta portare a concludere nel senso che già prima
dell’istanza del Ferro la Prefettura di Padova fosse a conoscenza
dell’archiviazione del processo penale a suo carico.
Ed allora è logica e non contraddittoria la motivazione con la
quale si è escluso che fosse ascrivibile ad un comportamento
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della revoca, avrebbe ripristinato lo
colposo della pubblica amministrazione la permanente efficacia del
provvedimento di revoca (del decreto di riconoscimento della
qualità di guardia giurata e della licenza del porto d’armi) fino
a quando questo, a seguito dell’istanza del Ferro, non venne, solo
parzialmente, revocato in data 6 settembre 1995.
salvo quanto si dirà trattando del ricorso principale.
Ed invero, la colpa della pubblica amministrazione, da riferire
non al singolo funzionario, ma al relativo apparato
amministrativo, è configurabile soltanto se vi sia stata
un’ingiustificata, ed ingiustificabile, violazione delle regole di
imparzialità, correttezza e buona amministrazione. Con riferimento
a tutti e tre questi parametri di valutazione dell’azione
amministrativa, non è configurabile in capo alla p.a. un dovere di
attivarsi d’ufficio per eliminare, in autotutela, un provvedimento
di cui siano venuti meno i presupposti di fatto in ragione dei
quali era stato adottato, prima che la stessa pubblica
amministrazione sia venuta a conoscenza della modifica della
situazione fattuale
-così, nel caso di specie, la Prefettura non
avrebbe avuto alcun dovere di attivarsi d’ufficio prima di essere
edotta del provvedimento di archiviazione a seguito dell’istanza
del Ferro. Ne segue che nemmeno può ritenersi colposo il
comportamento della pubblica amministrazione che, in detta
situazione, non abbia rimosso il provvedimento, pur se
illegittimo, ma del quale l’interessato non abbia richiesto la
revoca per i fatti sopravvenuti.
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Questa conclusione è altresì giuridicamente ineccepibile -fatto
In conclusione, il ricorso incidentale va rigettato.
2.- Col primo motivo del ricorso principale si deduce violazione e
falsa applicazione degli artt. 134 e 138 TULPS, ai sensi dell’art.
360 n. 3 cod. proc. civ.
Il ricorrente sostiene che la Corte d’Appello avrebbe rinvenuto la
«un
generico dovere di provvedere d’ufficio alla revoca integrale del
precedente provvedimento datato 13 marzo 1992».
Il Ministero, dopo essersi chiesto se il mancato esercizio del
potere d’ufficio da parte della p.a. sia stato ritenuto dal
giudice d’appello soltanto un presupposto causale del danno ovvero
l’espressione dell’elemento della colpa in capo alla stessa
amministrazione, ritiene che il richiamo effettuato dalla Corte
alla sentenza del TAR Veneto del 23 aprile 1998, induca a
propendere nel secondo senso. La conseguenza sarebbe, secondo il
ricorrente, che la Corte veneziana non avrebbe tenuto in debito
conto, nel considerare la sussistenza o meno di profili di colpa
in capo al Prefetto, che questi non avrebbe potuto agire
diversamente da quanto fatto con l’adozione del provvedimento del
condotta colposa dell’Amministrazione nella violazione di
6 settembre 1995. Soggiunge che il precedente provvedimento del 24
marzo 1992 non avrebbe potuto essere revocato integralmente
perché, ai sensi delle disposizioni richiamate in rubrica, è
necessario che l’istanza di riconoscimento della qualifica di
guardia giurata sia presentata dal datore di lavoro e comunque
I
perché lo stesso Ferro si era limitato a richiedere la
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restituzione delle armi e delle munizioni sequestrate, spettando
all’interessato attivarsi per la revoca.
Aggiunge che la revoca parziale non avrebbe potuto integrare una
colpa del Prefetto, sia per la mancanza di un generico dovere di
provvedere d’ufficio sia perché l’amministrazione si era
dal Ferro, a nulla rilevando l’eventuale -secondo il Ministero,
non provata- consapevolezza dell’archiviazione. Svolge quindi una
serie di considerazioni sul potere discrezionale del Prefetto per
l’adozione del provvedimento di nomina a guardia giurata.
2.1.-
Col secondo motivo è denunciata omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione circa la condotta colposa della
Prefettura, ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., e si
ripropongono, con riferimento a questo ulteriore vizio, le
medesime censure di cui al primo motivo. Si sostiene che la
motivazione, oltre ad essere poco comprensibile ed illogica nel
richiamo effettuato alla sentenza del TAR Veneto (poiché non vi
sarebbe alcun legame tra quanto stabilito dal TAR ed il dovere di
provvedere d’ufficio ritenuto dalla Corte d’Appello), sarebbe
anche contraddittoria perché, per un verso, avrebbe ritenuto
equiparabile il provvedimento di sospensione alla revoca e, per
altro verso, avrebbe invece reputato che la p.a. dovesse procedere
d’ufficio alla revoca integrale del precedente provvedimento (di
revoca) perché
ab origine
questo sarebbe stato illegittimo, in
quanto -così come statuito dal TAR- la pendenza di indagini in
sede penale avrebbe consentito soltanto la sospensione.
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determinata al provvedimento a seguito della richiesta effettuata
3.- I motivi, che vanno esaminati congiuntamente per evidenti
ragioni di connessione, sono fondati nei limiti e per le ragioni
di cui appresso.
La
motivazione
adottata
dalla
Corte
d’Appello
non
è
contraddittoria, poiché non vi sono enunciate ragioni
Piuttosto, si tratta di motivazione insufficiente sia perché la
Corte non ha considerato fatti decisivi sia perché non ha
esplicitato compiutamente il criterio logico che l’ha condotta
alla formazione del proprio convincimento.
Si è già detto trattando del ricorso incidentale come non vi sia
contraddittorietà nell’equiparazione degli effetti dannosi, in
concreto, producibili dal provvedimento che avrebbe dovuto essere
adottato (sospensione) ed invece prodotti da quello adottato
(revoca): in entrambi i casi, infatti, il Ferro non avrebbe potuto
lavorare come guardia giurata per il periodo di vigenza dell’uno o
dell’altro.
Si è già detto inoltre come l’illegittimità del provvedimento di
revoca del 19 marzo 1992 e della sua permanenza anche dopo
sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda.
l’archiviazione del processo penale, sopraggiunta nel dicembre
1992, non potesse essere, di per sé, fonte di responsabilità per
fatto illecito della pubblica amministrazione, in quanto questa
non era a conoscenza dell’archiviazione ed in quanto la sola
illegittimità del provvedimento amministrativo non è idonea ad
integrare la fattispecie generativa dell’obbligo risarcitorio in
capo alla p.a. ex art. 2043 cod. civ.
li
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Al riguardo, non può che essere ribadito che
il giudice
ordinario, in presenza di un atto amministrativo illegittimo, deve
comunque svolgere una più penetrante indagine estesa anche alla
condotta – e alla sua qualificazione in termini di colpa – non già
del funzionario agente (da riferire ai parametri della negligenza
o imperizia), quanto della P.A. intesa come apparatoconfigurabile là dove l’adozione e l’esecuzione dell’atto
illegittimo, lesivo dell’interesse del danneggiato, risulti
avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e
buona amministrazione (così Cass. n. 13061/07, ma cfr. anche Cass.
n. 5161/10, n. 23496/11, n. 4172/12).
3.1.- Alla stregua di tale criterio, non è errato il ragionamento
fatto dalla Corte d’Appello per sostenere che a seguito
dell’istanza dell’interessato fosse insorto in capo alla pubblica
amministrazione l’obbligo di attivarsi.
La motivazione con la quale, una volta accertato tale obbligo, si
è affermata la responsabilità della p.a. (perché
«una così
limitata revoca del precedente provvedimento non era giustificata,
anche in considerazione del poteri
d’ufficio spettanti
alla
P.A.»), tuttavia, è insufficiente.
Infatti, come sottolineato dal ricorrente Ministero, da essa non
risulta l’adeguata considerazione, da
parte
del giudice, del
contenuto e delle finalità dell’istanza di revoca presentata
dall’interessato.
Ed invero, dopo aver stabilito che questa fosse necessaria per
ritenere l’insorgenza del dovere di attivarsi in capo alla
13
°
í
pubblica amministrazione, il giudice, per definire l’ampiezza
dell’iniziativa da adottarsi d’ufficio, non avrebbe potuto
prescindere dalla considerazione, appunto, del contenuto e delle
finalità dell’istanza presentata da Natalino Ferro. Soprattutto,
avrebbe dovuto valutare
ex professo
il fatto, sottolineato dal
il riesame del precedente provvedimento (quello del 19 marzo 1992)
nella parte (soltanto) in cui vietava di detenere armi e
munizioni.
3.2.- Ancora, la Corte d’Appello, per argomentare compiutamente in
punto di responsabilità della p.a. per l’adozione di una revoca
soltanto parziale, piuttosto che integrale, avrebbe dovuto
considerare quali fossero all’epoca, in cui non vi era stata
ancora la pronuncia di annullamento del TAR Veneto (sopraggiunta
nel 1998), i margini di discrezionalità riconosciuti
dall’ordinamento al Prefetto dalla normativa del TULPS, richiamata
dal ricorrente. In particolare, avrebbe dovuto valutare se il
Prefetto, date le circostanze del caso concreto, ne avesse fatto
un uso, non solo e non tanto illegittimo, quanto colpevole, cioè
contrario alle regole di imparzialità e correttezza che ne
avrebbero dovuto guidare la condotta, una volta appreso del
provvedimento di archiviazione. Da questo punto di vista, appare
inadeguato il mero richiamo della motivazione della sentenza del
TAR Veneto, che ovviamente tratta del profilo dell’illegittimità
dell’atto, imprescindibile ma non sufficiente per l’affermazione
14
Ministero ricorrente, che questa istanza era limitata ad ottenere
di responsabilità della p.a., alla stregua dei principi sopra
ribaditi.
Poiché non risulta che la Corte d’Appello abbia tenuto in debito
conto, per un verso, i contenuti e le finalità dell’istanza del
Ferro e, per altro verso, i presupposti fattuali in presenza dei
illegittimamente, un potere discrezionale riconosciutole
dall’ordinamento, il ricorso principale va accolto e la sentenza
va cassata nei limiti di tale accoglimento.
La causa va rimessa alla Corte d’Appello di Venezia, in diversa
composizione, per un nuovo esame delle questioni appena enunciate,
nonché per la decisione sulle spese del giudizio di cassazione.
Per questi motivi
La Corte, decidendo sui ricorsi, rigetta il ricorso incidentale e
accoglie il principale. Cassa la sentenza impugnata nei limiti di
questo accoglimento e rinvia alla Corte d’Appello di Venezia, in
diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del
giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2015.
quali la p.a. si è trovata ad esercitare, sia pure