Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10285 del 20/05/2015


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 10285 Anno 2015
Presidente: RUSSO LIBERTINO ALBERTO
Relatore: BARRECA GIUSEPPINA LUCIANA

SENTENZA
sul ricorso 27247-2011 proposto da:
TACCHINO ERNESTA TCCRST23M61E543Z,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI

5,

presso lo studio dell’avvocato ANDREA REGGIO D’ACI,
rappresentato e difeso dall’avvocato MARCO PALMIERI
00.

giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –

2015

contro

529

CAFFIERO ANTONIO CFFNTN35M31A192G;
– intimato –

Nonché da:

Data pubblicazione: 20/05/2015

CAFFIERO ANTONIO CFFNTN35M31A192G,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA ORTI DELLA FARNESINA 116,
presso lo studio dell’avvocato ROBERTO COLICA, che lo
rappresenta e difende giusta procura speciale a
margine del ricorso incidentale;

contro

TACCHINO ERNESTA TCCRST23M61E543Z;
– intimata –

avverso la sentenza n. 279/2011 della CORTE di
APPELLO DI CAGLIARI SEZIONE DISTACCATA di SASSARI,
depositata il 08/04/2011, R.G.N. 548/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 26/02/2015 dal Consigliere Dott.
GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;
udito l’Av\rocato GIANLOCA CALDERARA per delega;
udito l’Avvocato ROBERTO COLICA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ANTONIETTA CARESTIA che ha concluso
per il rigetto del ricorso principale e per
l’inammissibilità o rigetto del ricorso incidentale.

2

– ricorrente incidentale –

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.

Antonio Zoagli ed Ernesta Tacchino citavano in giudizio,

dinanzi al Tribunale di Sassari, Antonio Caffiero per sentirlo
condannare al risarcimento dei danni loro provocati dal
comportamento del convenuto che, in una controversia civile ed

addebitato di aver realizzato una costruzione abusiva ed in
violazione delle distanze legali. Esponevano che, a seguito di
ciò, era stato aperto un processo penale nei loro confronti per
il reato di truffa aggravata ai danni del comune di Alghero, che
era stato poi archiviato nei confronti della Tacchino, mentre
nei confronti dello Zoagli era stato definito con pronuncia di
N.D.P., con ordine di restituzione del manufatto in sequestro.
1.1.- Si costituiva il convenuto, resisteva

alla

domanda e

svolgeva domanda riconvenzionale, deducendo l’irregolarità della
costruzione degli attori per volumetria e mancato rispetto delle
distanze legali e chiedendo la condanna alla demolizione di
quanto edificato in violazione di legge e il risarcimento dei
danni.
1.2.

Il Tribunale, con sentenza n. 1318/09, rigettava la

t
domanda della Tacchino, in proprio e quale erede dello Zoagli
(frattanto deceduto), ed, in parziale accoglimento della domanda
riconvenzionale del Caffiero, accertava l’asservimento alla sua
proprietà di una porzione di area di proprietà della controparte
(la cui cubatura era stata ceduta dai coniugi Zoagli-Tacchino
per consentire l’edificazione da parte del Caffiero) e

3

in segnalazioni, denunce ed esposti all’A.G., aveva loro

condannava la Tacchino ad arretrare la sopraelevazione
dell’immobile di sua proprietà fino al rispetto dei c.d. fili
fissi del preesistente piano sottostante, rigettando la domanda
di danni. Compensava per metà le spese di causa, condannando la
Tacchino al pagamento della restante metà in favore del
Caffiero.
2.-

Avverso la sentenza Ernesta Tacchino proponeva appello, a

cui resisteva Antonio Caffiero, proponendo anche appello
incidentale.
La Corte d’Appello di Cagliari – sezione distaccata di Sassari,
con la decisione ora impugnata, pubblicata

l’8 aprile 2011,

in

parziale accoglimento dell’appello principale e dell’appello
incidentale, ed in parziale riforma della sentenza appellata, ha
condannato la Tacchino al pagamento in favore del Caffiero, a
titolo di risarcimento danni, per la violazione da parte della
Tacchino delle prescrizioni in materia di cubatura edificabile,
della somma complessiva di C 98.000,00 al valore attuale, oltre
interessi legali dalla sentenza al saldo. Ha invece riformato il
capo della sentenza che disponeva l’arretramento del fabbricato
Tacchino, ritenendo rispettato il criterio c.d. dei fili fissi,
ed ha escluso il diritto del Caffiero al risarcimento dei danni
per violazione delle distanze legali.
Ha condannato l’appellante Tacchino al pagamento della metà
delle spese del secondo grado, compensando la restante metà.
3.-

Avverso la sentenza Ernesta Tacchino propone ricorso

principale affidato a otto motivi.

4

0

Antonio Caffiero resiste con controricorso e propone ricorso
incidentale con quattro motivi.
Le parti hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
MOTIVI DELLA DECISIONE
RICORSO PRINCIPALE

Col primo motivo del ricorso principale si denuncia

1.-

violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ.,
ai sensi dell’art. 360 n. 4 cod. proc. civ., assumendosi che la
Corte d’Appello ha rigettato la domanda risarcitoria avanzata
dai coniugi Zoagli-Tacchino come se fosse stata proposta in
riferimento ai danni prodotti da un reato di calunnia addebitato
al Caffiero, mentre i predetti avrebbero lamentato soprattutto
l’aspetto diffamatorio del comportamento della controparte.
1.1.- Col secondo motivo si denuncia il vizio di omessa e
comunque insufficiente motivazione ai sensi dell’art. 360 n. 5
cod. proc. civ., riproponendo le medesime doglianze di cui al
primo motivo.
2.- I motivi non meritano di essere accolti.
Il vizio di violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. non
sussiste laddove si lamenti, così come lamenta la ricorrente,
l’errata individuazione, da parte del giudice, del contenuto
della domanda, dal momento che l’interpretazione della domanda
spetta al giudice del merito, per cui, ove questi abbia
espressamente ritenuto che una certa domanda era stata avanzata
ed

era

compresa nel

thema decidendum-

tale statuizione,

ancorché erronea, non può essere direttamente censurata per

5

*

ultrapetizione (o, come nel caso di specie, per difetto di
corrispondenza tra chiesto e pronunciato), atteso che, avendo
comunque il giudice svolto una motivazione sul punto,
dimostrando come una certa questione debba ritenersi ricompresa
tra quelle da decidere, il difetto di ultrapetizione non è
logicamente verificabile prima di avere accertato che quella
medesima motivazione sia erronea. In tal caso, il dedotto errore
del giudice non si configura come

error in procedendo,

ma

attiene al momento logico relativo all’accertamento in concreto
della volontà della parte, e non a quello inerente a principi
processuali, pertanto detto errore può concretizzare solo una
carenza nell’interpretazione di un atto processuale, ossia un
vizio sindacabile in sede di legittimità unicamente sotto il
profilo del vizio di motivazione (così Cass. n. 8953/06, nonché
Cass. n. 2630/14).
2.1.- Nel caso di specie, la Corte d’Appello, confermando la
sentenza di primo grado, ha individuato come

causa petendi

dell’azione risarcitoria dei coniugi Zoaghi-Tacchino la
commissione ai loro danni di un reato di calunnia da parte del
Caffiero. Esclusa la configurabilità della calunnia, ha di
conseguenza rigettato la domanda di risarcimento danni.
La ricorrente non censura la decisione in merito all’esclusione
dell’intento calunnioso del convenuto, ma assume che, invece, la
sua condotta avrebbe comportato effetti diffamatori, che
sarebbero stati evidenziati già con l’atto introduttivo e che la
Corte non avrebbe considerato nell’attività di individuazione

6

‹,

del titolo della responsabilità extracontrattuale fatto valere
contro il Caffiero.
Orbene, per rendere ammissibile la sua censura, la ricorrente
avrebbe dovuto dimostrare di avere prospettato la domanda in
termini differenti da quelli intesi dal giudice di merito, cioè

vi sarebbe stato un errore nella relativa interpretazione. Nulla
di tutto ciò si evince dal ricorso, dato che -oltre a non essere
nemmeno denunciata la violazione dei criteri interpretativi
della domanda giudiziale- non risulta affatto dai passi
dell’atto introduttivo del primo grado, riportati in ricorso
(per poche espressioni, di cui alle pagg. 14-15), che la parte
odierna ricorrente avesse dedotto fatti o ragioni della domanda
-dei quali il giudice di merito non avrebbe tenuto conto- che
sarebbero stati invece decisivi per la qualificazione della
stessa come domanda risarcitoria per diffamazione. Né il ricorso
argomenta alcunché in merito alla decisività di elementi
contenuti negli atti introduttivi del primo e/o del secondo
grado che, invece, sarebbero stati trascurati dalla Corte, sì da
inficiarne la motivazione ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc.
civ., nel testo applicabile ratione temporis.
A ciò si aggiunga che, avendo già il Tribunale rigettato la
domanda risarcitoria per mancato riscontro del reato di
calunnia, la Tacchino avrebbe dovuto espressamente lamentare
l’errata individuazione da parte del primo giudice del titolo
della dedotta responsabilità per fatto illecito. Orbene non

7

che da parte del Tribunale, prima, e della Corte d’Appello, poi,

t

risulta affatto dal ricorso che una doglianza siffatta sia stata

,

inserita tra le ragioni del gravame dinanzi alla Corte d’Appello
(atteso che l’unico cenno all’atto di appello è fatto a pag. 7
del ricorso, dove è riportato un vago riferimento alla lesione
del bene “reputazione” che ivi sarebbe stata dedotta).

inammissibile.
3.-

Col terzo motivo del ricorso principale si lamenta

contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e
decisivo per il giudizio in riferimento alla condanna della
Tacchino al risarcimento dei danni per violazione delle norme
sulla cubatura edificabile.
La ricorrente sostiene che “ingiustamente” sarebbe stata
ritenuta la violazione del rispetto dei limiti di cubatura nel
sopraelevare il fabbricato di sua proprietà.
Secondo la ricorrente, non vi sarebbe stata la prova del
pregiudizio invocato ex adverso e comunque il Caffiero sarebbe
stato lui stesso impossibilitato ad edificare fino alle altezze
cui invece era arrivato.
Ancora, e per di più, a detta della Tacchino, non vi sarebbe
!

stata nemmeno, da parte sua, l’eccedenza dai limiti della
cubatura edificabile, perché la Corte avrebbe erroneamente
tenuto conto dei “volumi tecnici”, che invece avrebbero dovuto
essere defalcati.
3.1.- Collegati al terzo, sono i motivi da cinque ad otto:

8

In conclusione, il primo motivo è infondato ed il secondo

– col quinto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod.

.

proc. civ., violazione e falsa applicazione di norme di diritto,
con riferimento alla legge n. 765 del 1967 ed alla circolare del
Ministero dei Lavori Pubblici n. 2474 del 31 gennaio 1973, al
fine di sostenere che

i volumi tecnici

non avrebbero dovuto

riferimento alle norme che fissano la cubatura massima
edificabile, sicché l’eccedenza di cubatura non sarebbe stata
quella ritenuta in sentenza;
– col sesto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 n.

3 cod.

proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 2043,
1226, 873 e 872 cod. civ., nonché degli artt. 40 e 41 cod. pen.,
al fine di sostenere che non sarebbe esistente alcun danno
risarcibile in capo al Caffiero per mancanza di nesso di
causalità tra la violazione (comunque contestata) posta in
essere dalla ricorrente ed il pregiudizio del resistente, perché
il quarto ed ultimo piano dell’edificio Zoagli-Tacchino sarebbe
stato edificato regolarmente, quanto meno in parte (perché, non
considerando i volumi tecnici,
mq.,

non vi

sarebbe

quanto meno per 100 mq., su 248

stata violazione

della

cubatura

essere considerati nel calcolo dei volumi edificati, in

edificabile), e da solo avrebbe comportato l’adombramento
dell’edificio Caffiero. Si sostiene, inoltre, che le norme
tecniche di attuazione del piano regolatore che la Corte
d’Appello ha ritenuto violate non sarebbero integrative di
quelle del codice civile in materia di distanze tra costruzioni;

9

I

- col settimo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod.
proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 873 cod.
civ. e della legge n. 765 del 1967, nonché dell’art. 17, lett.
c, al fine di criticare la decisione impugnata nella parte in
cui ha considerato il vano ascensore, perché, a detta della

comporterebbe un aumento della volumetria, in quanto sarebbe
volume tecnico;

– con l’ottavo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 n. 5
cod. proc. civ., il vizio di motivazione in merito
all’affermazione della Corte secondo cui l’edificio ZoagliTacchino, se costruito nel rispetto delle norme sulla cubatura,
avrebbe avuto almeno un piano in meno; secondo la ricorrente,
questa affermazione sarebbe viziata perché avrebbe considerato
anche i volumi tecnici al fine di determinare la volumetria in
eccesso.
4.- I motivi in esame sono per la gran parte inammissibili e per
qualche aspetto anche infondati.
Quanto alla prima parte del terzo motivo, è sufficiente
riscontrare che la Corte d’Appello ha adeguatamente motivato in
merito alla sussistenza di un danno subito dal Caffiero per la
violazione, da parte della Tacchino, delle norme sulla cubatura
edificabile, a causa del fatto che, per questa violazione, il
fabbricato Tacchino-Zoagli ha raggiunto un’altezza maggiore di
quella consentita (se fosse stato rispettato il limite di

10

ricorrente, questo non integrerebbe una sopraelevazione e non

cubatura edificabile), così privando il fabbricato Caffiero
della vista mare.
L’affermazione, poi, che il Caffiero non potesse edificare fino
all’altezza cui è arrivato, non risultando dalla sentenza, si
risolve in un dato di fatto meramente affermato dalla
ricorrente,

in

totale

violazione

del

principio

di

autosufficienza del ricorso. Ed invero questo non indica le
risultanze processuali dalle quali la circostanza sarebbe stata
dimostrata e delle quali il giudice non si sarebbe occupato.
4.1.- Quanto alla seconda parte del terzo motivo ed ai restanti

motivi da cinque ad otto, l’inammissibilità consegue al fatto
che sono tutti basati su una questione di cui non vi è cenno
nella sentenza impugnata, che il resistente sostiene essere
stata posta per la prima volta col ricorso per cassazione e che
la ricorrente nemmeno deduce in ricorso che sia stata affrontata
nei gradi di merito.
Al riguardo, è sufficiente ribadire che qualora con il ricorso
per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia
cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente,
al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per
novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro
deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al
principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in
quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto,
onde dar modo alla Suprema Corte di controllare

11

ex actis

la

e

4

veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della

.

suddetta questione (così, da ultimo, Cass. n. 23675/13).
La ricorrente pone per la prima volta la questione attinente
all’inserimento o meno dei volumi definiti “tecnici” nel calcolo
della cubatura edificabile, che involge questioni, a loro volta,
sia

in

diritto

che

in

fatto,

attinenti:

all’individuazione dei criteri di calcolo della cubatura
edificabile

in

base

alla

normativa

applicabile;

all’individuazione dei volumi definibili come “tecnici” alla
stregua

di

questa

normativa;

all’individuazione

delle

caratteristiche costruttive del fabbricato Zoagli-Tacchino ed
all’esistenza o meno, in concreto, di volumi qualificabili come
“tecnici” in base alla ritenuta nozione astratta.
In mancanza di qualsivoglia indicazione in ricorso circa la
relativa avvenuta deduzione in sede di merito, tutti i motivi di
cui si è fin qui detto sono inammissibili.
4.2.- Non sussiste inoltre la violazione degli artt. 872 e 873
cod. civ..
E’ vero che al proprietario confinante compete sia la tutela in
forma specifica, finalizzata al ripristino della situazione
antecedente al verificarsi dell’illecito, sia quella
risarcitoria, soltanto nel caso in cui lamenti la violazione
delle distanze tra costruzioni previste dal codice civile e
dalle norme integrative dello stesso (cfr., da ultimo, Cass. n.
25475/10 e n. 17635/13). Tuttavia, la regola posta dall’art.
872, comma secondo, cod. civ. va intesa nel senso che il

12

nuove,

carattere integrativo del codice civile della norma violata è
richiesto esclusivamente per ottenere la riduzione in pristino,
mentre colui che per effetto della violazione delle regole da
osservarsi nelle costruzioni, ai sensi dell’art. 871 cod. civ.,
ha subito danno ha sempre diritto al risarcimento .

della natura integrativa o meno delle norme che fissano i limiti
di cubatura edificabile, poiché il Caffiero ha chiesto e la
Corte d’Appello ha riconosciuto esclusivamente la tutela
risarcitoria per la realizzazione della sopraelevazione con
volumetria superiore a quella consentita e non vi è dubbio che
questa tutela debba essere accordata qualora la violazione delle
norme di edilizia abbia comportato una diminuzione di luce ed
aria od altra limitazione atta a ridurre il valore commerciale
dell’immobile (cfr. Cass. n. 3340/02, nel senso che la
realizzazione di un edificio di altezza e volumetria superiori a
quelle consentite, in violazione di norme in tema di
urbanistica, può comportare per il vicino una diminuzione di
luce ed aria -ed una connessa diminuzione del valore del proprio
edificio- superiori a quelle altrimenti legittime; dando così
luogo alla configurabilità di una responsabilità per danni;
nonché Cass. n. 13230/10, nel senso che il danno definitivo da
violazione della normativa edilizia in tema di volumi e altezza
e di cui all’art. 872 cod. civ. consiste nel deprezzamento
commerciale del fabbricato in concreto danneggiato per

13

Pertanto, nel caso di specie, non vi è nemmeno luogo a dibattere

i

diminuzione di visuale, esposizione, luce, aria, sole e amenità

.

in genere).
E’ perciò infondato il sesto motivo, quanto al richiamo alle
norme degli artt. 872 e 873 cod. civ.
5.- Col quarto motivo si denuncia il vizio di motivazione e di

regolamento delle spese di lite, perché la Tacchino è stata
condannata al pagamento della metà delle spese di causa in
qualità di appellante principale, malgrado l’accoglimento
parziale del suo gravame. Questo accoglimento, secondo la
ricorrente, avrebbe dovuto comportare la riforma della sentenza
del Tribunale nella parte in cui l’aveva condannata a pagare le
spese del primo grado nella misura del 50%; in alternativa, la
Corte avrebbe dovuto compensare per intero le spese del secondo
grado di giudizio.
5.1.-

Il motivo è infondato, poiché la Corte d’Appello si è

attenuta al principio per cui, in materia di liquidazione delle
spese giudiziali nel giudizio di appello, il criterio di
individuazione della soccombenza, sulla base del quale va
effettuata la statuizione delle spese, deve essere unitario e
globale, anche qualora il giudice ritenga di giungere alla
compensazione parziale delle spese di lite, condannando poi per
il residuo una delle due parti; in tal caso, l’unitarietà e la
globalità del suddetto criterio comporta che, in relazione
all’esito finale della lite, il giudice deve individuare la
parte parzialmente soccombente e quella, per converso,

14

violazione dell’art. 92 cod. proc. civ. con riferimento al

parzialmente vincitrice, in favore della quale il giudice del
. gravame è tenuto a provvedere sulle spese secondo il principio
della soccombenza applicato all’esito globale del giudizio,
piuttosto che ai diversi gradi del giudizio ed al loro risultato
(Cass. n. n. 15483/08, n. 17523/11).

metà delle spese sia del primo che del secondo grado, quindi la
metà delle spese dell’intero giudizio, essendo stata compensata
la restante metà.
La Tacchino, in proprio e quale erede del coniuge Zoagli, è
totalmente soccombente rispetto alla domanda originariamente
proposta quale parte attrice in primo grado, mentre il Caffiero
è solo parzialmente soccombente rispetto alle proprie originarie
domande riconvenzionali, avendo visto accogliere la domanda
risarcitoria. Il criterio di liquidazione seguito dalla Corte
d’Appello rispetta questo esito finale della lite, poiché, pur
avendo non correttamente tenuto distinte le spese dei due gradi,
ha sostanzialmente finito per compensare parzialmente le spese
dell’intero giudizio, ponendo la quota restante a carico
dell’unica parte soccombente, quanto meno rispetto alla domanda
#

di condanna pronunciata in grado d’appello. Ha quindi applicato
correttamente il criterio di soccombenza reciproca che consente
di compensare le spese ai sensi dell’art. 92, comma secondo,
cod. proc. civ. (cfr. Cass. ord. n. 8862/14) e consente di
attuare anche una compensazione parziale, come nel caso di
specie, senza che la relativa misura sia sindacabile in sede di

15

Nel caso di specie, la Tacchino ha, alla fine, sopportato la

,

legittimità, rientrando nel poterà discrezionale del giudice di

e

merito.
In conclusione, il ricorso principale va rigettato.
RICORSO INCIDENTALE
6.-

Col primo motivo del ricorso incidentale si deduce

civ., 873 cod. civ. e 16 del PRG del Comune di Alghero, al fine
di censurare l’affermazione della Corte d’Appello secondo cui
non sarebbe stato in discussione, nel secondo grado di giudizio,
il diritto della Tacchino di edificare in base al criterio cd.
dei fili fissi, vale a dire attenendosi, nella sopraelevazione,
alla distanza esistente rispetto ai piani già edificati, quindi
in deroga alla norma del PRG che prescriveva la distanza minima
di 10 mt. (deroga consentita dall’art. 16 del P.R.G. quando la
nuova opera fosse possibile in relazione agli indici di
edificabilità). La Corte d’Appello ha ritenuto che il Caffiero
non abbia contestato, con l’atto di appello, la statuizione del
Tribunale secondo cui detta deroga potesse operare nel caso di
specie, malgrado la Tacchino non disponesse dell’intera cubatura
edificata per la sopraelevazione, ma soltanto di una parte di
questa.
Il ricorrente incidentale sostiene che, essendo stato egli
vittorioso in primo grado sulla domanda di arretramento per
mancato rispetto delle distanze legali (perché, comunque, il
Tribunale aveva ritenuto non rispettato il criterio c.d. dei
fili fissi), non avrebbe dovuto proporre con appello incidentale

16

violazione ed errata applicazione degli artt. 343 cod. proc.

l’eccezione di inoperatività della deroga, essendo a tale fine
sufficiente la riproposizione ai sensi dell’art. 346 cod. civ.
Riporta, quindi, una serie di passi dell’atto di appello al fine
di dimostrare che avrebbe con questo effettivamente riproposto
la questione dell’inapplicabilità della deroga alla distanza di

6.1.- Il motivo non merita di essere accolto.

E’ corretta in diritto l’affermazione del ricorrente secondo cui
egli, essendo stato totalmente vittorioso sulla domanda in
oggetto nel primo grado di giudizio, non avrebbe dovuto
riproporre la questione con appello incidentale, poiché la parte
vittoriosa nel merito, la quale, in caso di gravame proposto dal
soccombente, chieda la conferma della decisione impugnata,
eventualmente anche in base ad una diversa soluzione di
questioni pregiudiziali di giurisdizione o di competenza da lei
proposte nel precedente grado di giudizio, difetta di interesse
alla proposizione dell’impugnazione incidentale ed ha soltanto
l’onere di riproporre dette questioni ivi compresa quella
nascente da eccezione che sia stata espressamente esaminata e
respinta dal giudice del precedente grado – ai sensi dell’art.
346 cod. civ., per superare la presunzione di rinuncia derivante
da un comportamento omissivo (così Cass. n. 602/2000, citata in
ricorso ed altre); con la precisazione che la disposizione
dell’art. 346 cod. proc. civ. è dettata per la parte vittoriosa,
la quale, non onerata dall’impugnazione per difetto di
interesse, deve tuttavia riproporre specificamente nell’atto di

17

dieci metri.

costituzione in secondo grado, oltreché le domande, anche le
questioni non accolte dal primo grado, tra cui i fatti che per
il loro rilievo giuridico siano serviti a contrastare l’altrui
pretesa (cfr. Cass. n. 14673/09), come, nel caso di specie,
l’inapplicabilità della norma che consentiva alla controparte di

Tuttavia, la riproposizione delle domanda e delle eccezioni,
nonché delle questioni di cui sopra, ai sensi dell’art. 346 cod.
civ., per superare la presunzione di rinuncia, deve risultare in
termini non equivoci dall’atto di costituzione in appello, per
come è fatto palese dall’uso del termine «espressamente»
contenuto nella norma. Pertanto,

le questioni esaminate e non

accolte nel primo grado, concernenti i fatti e le ragioni
dedotti per contrastare l’altrui pretesa, devono essere
specificamente enunciate nell’atto di costituzione in appello e
l’appellato deve manifestare espressamente la volontà di
riproporle, malgrado il mancato accoglimento nella sentenza di
primo grado, esponendo altresì le ragioni di critica a questa
sentenza, per la parte in cui le abbia disattese

(cfr. Cass. n.

24021/10, n. 19838/13).
t
Ne consegue che il mero richiamo generico alle conclusioni
assunte in primo grado non è sufficiente allo scopo (cfr. Cass.
n. 23925/10), così come non lo è la pedissequa riproposizione
con la comparsa di costituzione in appello delle questioni
svolte nel primo grado, ma esplicitamente disattese dal primo

18

derogare alla misura legale della distanza tra costruzioni.

giudice, prescindendo del tutto dalle ragioni di questa
decisione di non accoglimento.
I passaggi della comparsa di costituzione in appello che sono
riportati nel ricorso del Caffiero (pagg. 27-28) non consentono
di affermare che, così come sostenuto dal ricorrente, questi

il riesame dell’interpretazione della norma dell’art. 16 del
PRG, contestando quella ritenuta dal Tribunale, al fine di
ottenerne la revisione dalla Corte d’Appello. E’ vero, infatti,
che risulta essere stata riproposta l’interpretazione sostenuta
dal Caffiero, ma essa non viene contrapposta al diverso
risultato interpretativo raggiunto dal Tribunale. In sostanza,
la comparsa appare meramente ripetitiva della tesi sostenuta in
primo grado, senza contenere la manifestazione di volontà
dell’appellato di contrapporla a quella del primo giudice e di
chiederne il riesame, tanto è vero che quanto riportato
prescinde del tutto dalla motivazione della prima sentenza.
Corretta è perciò la decisione della Corte che ha ritenuto
rinunciata la questione in quanto non «espressamente»
riproposta ai sensi dell’art. 346 cod. proc. civ.
Il primo motivo del ricorso incidentale va rigettato.

7.

Col secondo motivo del ricorso incidentale si deduce

violazione ed errata applicazione degli artt. 873 cod. civ., 16
PRG del Comune di Alghero e vizio di motivazione

«in punto di

mancato rispetto dei fili fissi come ritenuto dalla sentenza n.
1318/09 Trib. Sassari»,

al fine di sostenere che la Corte

19

avesse manifestato «espressamente» la sua volontà di chiedere

d’Appello avrebbe errato nel ritenere che la sopraelevazione
della controparte fosse stata edificata nel rispetto dei c.d.
fili fissi dei piani già esistenti. A detta del ricorrente,
invece, vi sarebbero state una demolizione e ricostruzione con
ampliamento del piano sottostante, realizzato contestualmente

dell’intero edificio, in violazione della distanza regolamentare
di 10 metri.
7.1.-

Il motivo è inammissibile poiché involge un accertamento

di fatto,

sul

quale la Corte d’Appello si è adeguatamente

soffermata con motivazione congrua, logica e completa, tanto che
risultano già valutati dal giudice d’appello gli stessi elementi
fattuali riproposti col motivo in esame.
Questo, in sostanza, si risolve nella richiesta di una nuova,
inammissibile, valutazione delle risultanze di causa -in
particolare degli esiti della prima consulenza tecnica d’ufficio
e dei chiarimenti del CTU geom. Nurra (in riferimento ad altri
elementi documentali, tra cui le fotografie riproducenti lo
stato dei luoghi, ma anche quelle planimetrie catastali sulle
quali insiste il ricorrente incidentale; nonché in riferimento
ad altri argomenti indiziari, tra cui il comportamento delle
parti in epoca precedente l’instaurazione della presente lite;
ed, ancora, in riferimento agli elaborati peritali di parte ed a
quello del secondo CTU, geom. Pittalis)-

già

compiutamente

valutate in sede di merito, senza che la relativa motivazione
contenga il «contrasto insanabile» denunciato dal ricorrente.

20

alla sopraelevazione, che avrebbero comportato un avanzamento

8.- Col terzo motivo si deduce violazione ed errata applicazione
degli artt. 2043, 2935, 2947 e vizio di motivazione
di

«in punto

omessa pronuncia sul danno da adombramento nel periodo

dall’anno 1983 all’arretramento»,

al fine di sostenere che la

Corte d’Appello non avrebbe considerato il danno prodotto in

secondo il ricorrente, opererebbe la prescrizione decennale),
avrebbe dovuto essere liquidato in una somma annuale di

E

4.000,00, quindi complessivamente in E 100.000,00.
8.1.-

Col quarto motivo si deduce violazione ed errata

applicazione degli artt. 2043, 2935, 2947 cod. civ. e vizio di
motivazione «in punto

danni da adombramento»,

al fine di

censurare la valutazione della Corte d’Appello che, nel
liquidare questi danni, ha reputato una diminuzione di valore
dell’immobile del Caffiero del 10% anziché quella del 40%
espressa dal CTU.
9.- Entrambi i motivi sono inammissibili.
ratio decidendi,

Il primo perché non coglie la

in quanto si

limita a proporre (o, verosimilmente, a riproporre) col ricorso
per cassazione un criterio di liquidazione del danno subito
dall’immobile per l’illegittima sopraelevazione del fabbricato
frontistante (che ne ha compromesso la vista mare) che, già
proposto nei gradi di merito, la Corte d’Appello non ha inteso
seguire.
Il ricorrente svolge una serie di considerazioni sul criterio di
liquidazione da lui proposto (che si riferisce ad una sorta di

21

tale periodo, che, non essendo coperto da prescrizione (poiché,

o

indennità annuale), senza tuttavia censurare la sentenza nel
punto in cui, anziché siffatto criterio, ha inteso seguire
quello che ha commisurato il danno risarcibile alla perdita di
valore commerciale dell’immobile.
9.1.- A quest’ultimo criterio è invece riferita la censura di

La pronuncia è coerente con l’orientamento giurisprudenziale per
il quale se sia disposta la demolizione dell’opera illecita, il
risarcimento del danno va computato tenendo conto della
temporaneità della lesione del bene protetto dalle norme violate
(cfr. Cass. 19132/13, tra le altre), mentre è corretto liquidare
il danno avendo riguardo al valore di mercato dell’immobile,
diminuito per effetto della violazione delle norme di edilizia,
quando, come nel caso di specie, tale pregiudizio non sia
suscettibile di eliminazione, non essendo riconosciuta la tutela
della rimessione nel pristino stato poiché le norme violate non
sono integrative di quelle del codice civile in tema di
distanze.
La Corte d’Appello, nel fissare la percentuale di diminuzione
del

valore commerciale dell’immobile

del

Caffiero,

ha

è
puntualmente indicato le ragioni per le quali non ha inteso
seguire la valutazione effettuata dal CTU, con una motivazione
che non presenta affatto il vizio di illogicità denunciato dal
ricorrente incidentale.
In conclusione, anche il ricorso incidentale va rigettato.

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cui all’ultimo motivo.

La soccombenza reciproca comporta la compensazione delle spese
del giudizio di cassazione.
Per questi motivi

La Corte, decidendo sui ricorsi, principale ed incidentale, li
rigetta. Compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2015.

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