Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10285 del 20/04/2021
Cassazione civile sez. trib., 20/04/2021, (ud. 07/10/2020, dep. 20/04/2021), n.10285
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –
Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. MANCINI Laura – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29178/2014 R.G. proposto da:
DUEMILAUNO S.R.L., (C.F. (OMISSIS)), in persona del legale
rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli Avv.ti
Michele Procida e Salvatore Mileto, con domicilio eletto in Roma,
via Giambattista Vico, n. 22, presso lo studio legale tributario
Santacroce, Procida, Fruscione;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliata in Roma, in via dei Portoghesi
12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e
difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 25/28/14 della Commissione tributaria
regionale del Lazio depositata il 15 aprile 2014 e non notificata.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 7 ottobre 2020
dal Consigliere Dott.ssa Laura Mancini.
Fatto
RILEVATO
che:
1. Con avviso di accertamento notificato il 26 novembre 2009, l’Agenzia delle entrate contestò alla società Duemilauno s.r.l. l’indebita deduzione nell’anno di imposta 2005 del costo di acquisto di un fabbricato, recuperando a tassazione il maggior reddito imponibile ai fini IRES ed IRAP ed irrogando sanzioni. Ad avviso dell’Amministrazione finanziaria la contribuente, avendo acquistato l’immobile all’asta in virtù di decreto di trasferimento emesso dal Tribunale di Roma in data 14 ottobre 2004 e avendo versato il saldo del prezzo in data 4 ottobre 2004, avrebbe dovuto esporre il costo predetto nella dichiarazione relativa all’anno 2004, nel quale si era formato il titolo giuridico che ne costituiva la fonte.
La società contribuente impugnò l’atto impositivo dolendosi della mancata indicazione, da parte dell’Amministrazione finanziaria, delle regole contabili utilizzate e del procedimento logico seguito nella ricostruzione del reddito, in violazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7 e del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42.
Nel ricorso si lamentava, altresì, che l’Ufficio non aveva tenuto in considerazione il fatto che la ricorrente, sul presupposto che il fabbricato, in quanto destinato alla rivendita, costituisse un bene-merce, ne aveva iscritto il costo nell’anno 2005 sospendendolo mediante imputazione alle rimanenze, e, quindi, nel 2006, dopo la rivendita del cespite, aveva contabilizzato il ricavo e, in contropartita, lo aveva stornato dalle rimanenze, così deducendo la componente negativa nell’esercizio in cui il bene era stato venduto.
In subordine, la contribuente denunciò l’inapplicabilità delle sanzioni irrogate, alla luce del principio sancito dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6, comma 1, a mente del quale non danno luogo a violazioni punibili le rilevazioni eseguite nel rispetto della continuità dei valori di bilancio e secondo corretti criteri contabili e le valutazioni eseguite secondo corretti criteri di stima.
Con sentenza n. 337/28/12, depositata il 18 ottobre 2012, la Commissione tributaria provinciale di Roma accolse il ricorso della Duemilauno s.r.l..
2. Avverso tale pronuncia l’Agenzia delle entrate propose appello davanti alla Commissione tributaria regionale del Lazio, la quale, con sentenza depositata il 15 aprile 2014, accolse il gravame affermando che le regole sull’imputazione temporale dei componenti del reddito sono inderogabili e, pertanto, il recupero a tassazione dei ricavi nell’esercizio di competenza non può trovare ostacolo nella circostanza che gli stessi siano stati dichiarati in un diverso esercizio, non essendo consentito al contribuente di scegliere di effettuare la detrazione di un costo in un esercizio diverso da quello individuato dalla legge come esercizio di competenza, neppure al dichiarato fine di bilanciare componenti attivi e passivi di reddito, a prescindere dalla configurabilità di un danno all’erario.
3. Contro tale pronuncia spiega ricorso la società Duemilauno s.r.l. affidato a tre motivi, cui resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate. La società ricorrente deposita memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c.
Diritto
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
Lamenta, in particolare, la ricorrente che i giudici d’appello hanno omesso “qualsivoglia esame della questione di fatto cardine posta alla base delle difese della odierna Ricorrente, sia in primo sia in secondo grado, nonchè indiscutibilmente decisiva ai fini della definizione della controversia: e cioè quella della correttezza dell’utilizzazione, per la contabilizzazione dell’acquisto dell’immobile, come bene-merce, del principio di tecnica contabile “costi-ricavi-rimanenze””.
1.1. Con il secondo mezzo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deduce la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 83, 85 e 92 anche in relazione alla tecnica contabile c.d. “costi-ricavi-rimanenze”.
Ad avviso della contribuente, la pronuncia gravata, ritenendo violate le regole di imputazione temporale, non considera il peculiare regime contabile previsto per i beni trattati contabilmente come beni-merce nell’ambito del reddito di impresa.
1.2. Con il terzo motivo, formulato in via subordinata, si denuncia violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere la Commissione tributaria regionale ritenuto operante la causa di non punibilità ivi prevista per il caso in cui il contribuente, pur essendosi reso inosservante di disposizioni fiscali, abbia puntualmente applicato – come nel caso di specie – i principi contabili.
2. Il primo motivo è inammissibile.
Come più volte affermato da questa Corte, alla stregua dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo, modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2 nella specie applicabile ratione temporis, l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio deve intendersi riferito ad un preciso accadimento in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni (Cass. Sez. 6-1, Ord. 6/9/2019, n. 22397; Cass. Sez. 1, Ord. 18/10/2018, n. 26305; Cass. Sez. 2, 14/6/2017, n. 14802).
Ne deriva che la critica di omessa valutazione della correttezza dell’impiego del criterio contabile “costi-ricavi-rimanenze” per la contabilizzazione dell’acquisto dell’immobile come bene-merce, rivolta dalla ricorrente alla sentenza gravata, in quanto pretende di estendere detto paradigma normativo all’omessa considerazione di deduzioni difensive, deve ritenersi inammissibile.
2. Il secondo motivo merita, invece, accoglimento.
La pronuncia d’appello, ritenendo configurabile la violazione del principio di competenza per non avere la contribuente imputato il costo per l’acquisto del fabbricato all’esercizio relativo all’anno 2005, ancorchè il titolo traslativo, rappresentato dal decreto di trasferimento emesso dal Tribunale di Roma in seno ad un procedimento di espropriazione immobiliare, risalisse al 14 ottobre 2004, ha, sia pure implicitamente, accordato prevalenza alla regola generale di imputazione dei costi sancita dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, comma 2, lett. a), rispetto allo specifico criterio contabile c.d. “costi-ricavi-rimanenze” adottato dalla società contribuente nella contabilizzazione di tale operazione economica, così incorrendo nella violazione del principio di derivazione del reddito fiscale da quello civilistico sancito dal D.Lgs. n. 917 del 1986, art. 83, comma 1.
E’ ben vero che, come più volte affermato da questa Corte, in tema di reddito d’impresa, le regole sull’imputazione temporale dei componenti negativi di reddito, dettate in via generale dal D.P.R. n. 917 del 1986, cit. art. 109 sono inderogabili, non essendo consentito al contribuente di scegliere di effettuare la detrazione di un costo in un esercizio diverso da quello individuato dalla legge come esercizio di competenza (Cass. Sez. 5, 17/7/2014, n. 16349; Cass. Sez. 6-5, Ord. 17/12/2013, n. 28159).
Non di meno, ove, come nel caso di specie, venga in rilievo un ente soggetto all’imposta sul reddito delle società ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 73 la regola generale posta dal predetto art. 109, comma 2, lett. a), secondo la quale le spese di acquisizione dei beni immobili si considerano sostenute alla data della stipulazione dell’atto, deve essere necessariamente coordinata con il principio, sancito dal D.P.R. n. 917 del 1986, citato art. 83, comma 1 secondo il quale il reddito di impresa deve determinarsi apportando all’utile o alla perdita del conto economico del bilancio di esercizio le variazioni che derivano dall’applicazione ai componenti di reddito dei criteri fiscali, dettati dalle successive norme (della medesima Sezione I del Capo II del D.P.R. n. 917 del 1986), diretti a limitare il rilievo fiscale di specifiche voci del conto economico.
Come condivisibilmente sostenuto in dottrina, la relazione di dipendenza del reddito di impresa rilevante ai fini fiscali rispetto al conto economico governato dalle norme del codice civile rinviene la sua ratio nella garanzia di attendibilità dei dati contabili riportati in bilancio offerta dal principio di chiarezza, di verità e di correttezza della situazione patrimoniale della società sancito dall’art. 2423 c.c. e dalle norme sostanziali e procedimentali che disciplinano la redazione e l’approvazione del bilancio medesimo.
In linea con tale prospettiva esegetica, questa Corte ha avuto modo di evidenziare che la determinazione della base imponibile delle società di capitali, ai fini della dichiarazione fiscale, è ispirata al criterio della “derivazione” dal risultato del conto economico, redatto in conformità ai canoni del codice civile ed ai principi contabili nazionali, giacchè la “determinazione civilistica rappresenta quanto di più approssimato all’effettivo incremento di ricchezza prodotto dall’attività sociale, espressivo della capacità contributiva attribuibile al soggetto passivo collettivo” (Cass. Sez. 5, Ord. 3/4/2019, n. 9252; Cass. Sez. 5, Ord. 18/4/2019, n. 10902).
Di conseguenza, “nella dichiarazione fiscale l’imponibile è liquidato apportando all’utile o alle perdite di esercizio quelle sole variazioni previste in esecuzione dello stesso TUIR, per la basilare esigenza di contemperare i necessari margini di discrezionalità del prudente apprezzamento imprenditoriale propri del sistema civilistico, con i canoni di certezza, semplicità e prevenzione anti-elusiva che modulano l’interesse fiscale” (Cass. Sez. 5, ord. 3/4/2019, n. 9252, cit.).
2.1. E’ da osservare come il principio della dipendenza, ovvero della derivazione dal risultato del conto economico redatto secondo i criteri del codice civile, abbia ispirato la normazione in materia di determinazione della base imponibile sin dalla legge-delega n. 825 del 1971 (dall’art. 2, n. 16), per essere poi recepito dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 52 (attuale art. 83), anche a seguito delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 344 del 2003.
Tale disposizione è stata, quindi, integrata mediante l’inserimento di un terzo periodo (ad opera della L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 58), dedicato ai soggetti che, per obbligo o per scelta, redigono il bilancio di esercizio secondo i principi contabili internazionali IAS/IFRS (c.d. soggetti IAS adopter), i quali determinano il reddito in base ai “criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione di bilancio” previsti dai principi contabili.
Un’ulteriore modifica legislativa ha riguardato i soggetti, diversi dalle c.d. micro-imprese ex art. 2435-ter c.c., che redigono il bilancio di esercizio in conformità alle disposizioni del codice civile e, quindi, dei nuovi principi contabili nazionali in seguito elaborati dall’Organismo italiano di contabilità (OIC) in attuazione del D.Lgs. n. 139 del 2015, art. 12 di recepimento della Direttiva n. 2013/34/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, relativa ai “bilanci d’esercizio, ai bilanci consolidati e alle relative relazioni di talune tipologie di imprese”.
2.2. Tale evoluzione normativa ha confermato la centralità, ai fini della determinazione del reddito d’impresa, dei principi contabili nazionali, quali regole tecniche secondarie che consentono la corretta applicazione contabile delle disposizioni civilistiche in materia di bilancio.
La rilevanza di tali parametri è stata riconosciuta anche dalla giurisprudenza di legittimità, la quale in più occasioni ha affermato che si tratta di criteri tecnici generalmente accettati che consentono una corretta appostazione e lettura delle voci di bilancio, “dai quali, pertanto, ci si può discostare solo fornendo adeguata informazione e giustificazione” (Cass. pen., Sez. 5, 15/6/2017, n. 29885, ed in senso conforme Cass. pen., Sez. U, 27/5/2016, n. 22474).
2.3. Sotto altro profilo va, poi, rilevato che, come precisato da questa Corte (Cass. Sez. 5, 5/11/2019, n. 28355), nei casi – come quello di specie – in cui trova applicazione il principio di derivazione “semplice” delineato nel D.P.R. n. 917 del 1986, art. 83, primo periodo comma 1, la disciplina del bilancio viene “presupposta” dal legislatore tributario, che non entra nel merito delle valutazioni effettuate dal redattore del bilancio per giungere al dato del risultato (utile o perdita) del bilancio stesso, assunto quale “mero fatto” ai fini della determinazione del reddito di impresa, salva, come già evidenziato, l’applicazione delle variazioni in aumento o in diminuzione stabilite dalle disposizioni fiscali concernenti la determinazione della base imponibile.
Nel caso della derivazione “rafforzata”, riguardante i soggetti che, per obbligo o per scelta, redigono il bilancio di esercizio secondo i principi contabili internazionali IAS/IFRS, l’ultimo periodo del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 83 attua, invece, un vero e proprio rinvio, anche in deroga alle disposizioni del TUIR, ai “criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione in bilancio previsti da detti principi contabili”, non limitandosi, dunque, alla mera presupposizione dei principi contabili che richiama.
2.4. In ogni caso, tanto per i soggetti che redigono il bilancio secondo i principi contabili internazionali, quanto per quelli che lo formano in conformità alle regole del codice civile e, quindi, in base ai principi contabili nazionali, l’art. 83, comma 1, ultimo periodo, introdotto dalla L. 24 dicembre 2007, n. 244, dispone che “valgono, anche in deroga alle disposizioni dei successivi articoli della presente sezione, i criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione in bilancio previsti dai rispettivi principi contabili”.
Inoltre, per quanto riguarda le ipotesi di derivazione rafforzata, il D.M. 1 aprile 2009, n. 48, art. 2 (“Regolamento recante disposizioni di attuazione e coordinamento delle norme contenute nella L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 1, commi 58 e 59 in materia di determinazione del reddito dei soggetti tenuti alla adozione dei principi contabili internazionali”) prevede espressamente che “ai sensi dell’art. 83, comma 1, terzo periodo, per i soggetti IAS assumono rilevanza, ai fini dell’applicazione del Capo II, Sezione I, del testo unico, gli elementi reddituali e patrimoniali rappresentati in bilancio in base al criterio della prevalenza della sostanza sulla forma previsto dagli IAS. Conseguentemente, devono intendersi non applicabili a tali soggetti le disposizioni dell’art. 109, commi 1 e 2, del testo unico, nonchè ogni altra disposizione di determinazione del reddito che assuma i componenti reddituali e patrimoniali in base a regole di rappresentazione non conformi all’anzidetto criterio” (Cass. Sez. 5, 5/11/2019, n. 28355, cit.).
3. Ritiene il Collegio che le suindicate disposizioni abbiano recepito, positivizzandolo, l’esito interpretativo del coordinamento sistematico tra il principio di derivazione sancito dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 83, comma 1 e il principio di competenza di cui all’art. 109 del medesimo decreto, rappresentato dalla prevalenza dei criteri di imputazione temporale dettati dai principi contabili rispetto a quelli di carattere generale e residuale posti dal citato art. 109.
3.1. E’ alla luce di tali indicazioni esegetiche – alle quali nel caso di specie può farsi riferimento ancorchè, venendo in rilievo l’anno di imposta 2005, le disposizioni introdotte nel D.P.R. n. 917 del 1986, art. 83, ultimo periodo dalla L. n. 244 del 2007 non siano temporalmente applicabili – che occorre verificare se il principio contabile OIC “costi-ricavi-rimanenze”, che la società ricorrente assume di avere utilizzato sul presupposto che l’immobile acquistato integrasse un “bene-merce”, prevalga sulla regola generale di imputazione temporale di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, comma 2, lett. a).
4. La sentenza impugnata va, pertanto, cassata in relazione al secondo motivo, restando assorbito il terzo, e la causa va rinviata per nuovo esame alla Commissione tributaria del Lazio, che si uniformerà al seguente principio di diritto: “In tema di imposte sui redditi delle società di capitali, la determinazione della base imponibile è, di regola, ispirata al principio della “dipendenza” ossia della derivazione dal risultato del conto economico, redatto in conformità ai canoni del codice civile ed ai principi contabili nazionali -, in forza del quale i criteri di imputazione temporale previsti dai principi contabili possono derogare alle regole generali sancite dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109 purchè la contabilizzazione dei componenti del reddito d’impresa sia avvenuta nel rispetto, oltre che dei predetti principi contabili, delle variazioni obbligatorie, in aumento o in diminuzione, conseguenti all’applicazione dei criteri stabiliti dalle disposizioni di cui alla Sezione I del Capo II del Titolo II del D.P.R. n. 917 del 1986″.
La Commissione tributaria regionale del Lazio in diversa composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte, dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo, assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 7 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2021