Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10284 del 12/05/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 10284 Anno 2014
Presidente: VITRONE UGO
Relatore: BENINI STEFANO

SENTENZA

sul ricorso 13981-2007 proposto da:
COMUNE DI AVELLINO (P.I. 00184530640), in persona
del Sindaco pro tempore, domiciliato in ROMA,
PIAllA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA

Data pubblicazione: 12/05/2014

CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso
dall’avvocato PREZIOSI CLAUDIO, giusta procura a
2014

margine del ricorso;
– ricorrente –

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contro

CARDINALE CARMELA, PECORIELLO ANTONIO, PECORIELLO

1

MASSIMO;

avverso la sentenza n.

intimati

964/2006 della CORTE

D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 28/03/2006;
udita la relazione della causa svolta nella

Dott. STEFANO BENINI;
udito,

per il ricorrente,

l’Avvocato CLAUDIO

PREZIOSI che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUCIO CAPASSO che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

pubblica udienza del 27/02/2014 dal Consigliere

2

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato 1’8.3.1988, Pecoriello
Antonio conveniva in giudizio davanti al Tribunale di
Avellino il Comune di quella città chiedendo la
determinazione dell’indennità per il periodo di

occupazione legittima, e la condanna del convenuto al
risarcimento del danno per l’occupazione appropriativa
di terreni di sua proprietà, costituiti da aree di
sedime di immobili demoliti a seguito del sisma del
1980.
Si costituiva in giudizio l’amministrazione convenuta,
contestando il fondamento della domanda, di cui chiedeva
il rigetto.
Avverso la sentenza di primo grado, depositata il
12.4.2004, che ritenuta l’edificabilità di una parte dei
suoli, liquidava il danno in euro 147.893,00, oltre
risarcimento per lucro cessante, proponeva appello il
Comune di Avellino.
Con sentenza depositata il 28.3.2006, la Corte d’appello
di Napoli, per quanto ancora interessa, prevedendo il
prg ed il piano di recupero una destinazione dell’area
di sedime del fabbricato demolito, estesa mq. 640, a
strada e a verde pubblico, e avendo costituito l’altra
area, estesa mq. 655, giardino di pertinenza dello
stesso fabbricato, non riconosceva ai terreni la qualità
edificatoria, liquidava il danno secondo il valore di
mercato non edificatorio, in euro 50.542,65 (euro
3

38,73*mq.

1.305),

oltre

rivalutazione

monetaria

(complessivamente euro 103.232,75), con interessi sulla
somma non rivalutata dal momento del fatto illecito, e
sulla somma rivalutata dalla pubblicazione della
sentenza, ma escludeva ulteriori interessi a titolo di

Ricorre per

cassazione

il

Comune

lucro cessante, mancandone la prova.
di Avellino,

affidandosi a due motivi (di cui il secondo articolato
in due profili). Non hanno svolto difese in questa sede
Cardinale Carmela, Pecoriello Antonio e Pecoriello
Massimo, eredi di Pecoriello Antonio.
MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso, il Comune di Avellino,
denunciando omessa, insufficiente o contraddittoria
motivazione su un fatto controverso e decisivo, in
relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., censura la sentenza
impugnata per aver liquidato il danno attribuendo ai
suoli un valore unitario di euro 38,73/mq., che già
l’amministrazione aveva contestato impugnando la
sentenza di primo grado, che lo aveva applicato ai suoli
ritenuti non edificatori, sicché non si comprende come
la Corte d’appello abbia attribuito a terreni non
edificabili un valore diverso dal valore agricolo medio.
Con il secondo motivo di ricorso, il Comune di Avellino,
denunciando, sotto un primo profilo, violazione
dell’art. 112 c.p.c. nonché degli artt. 323, 324, 342
c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.; censura la
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sentenza impugnata per aver liquidato gli interessi
sulla somma rivalutata dal giorno del fatto illecito,
mentre il Tribunale aveva condannato il Comune al
pagamento degli interessi dalla data della decisione al
soddisfo, nonostante che i Pecoriello non avessero

impugnato tale capo della sentenza, limitandosi a
concludere per il rigetto dell’appello del Comune.
Con il secondo profilo del secondo motivo, il Comune di
Avellino, denunciando violazione e falsa applicazione
egli artt. 2043, 2056, 1223, 1224, 1226 c.c. nonché
degli artt. 1282 e 1284 c.c., in relazione all’art. 360
n. 3 c.p.c., censura la sentenza impugnata per aver
liquidato gli interessi compensativi dal fatto illecito
anziché dalla liquidazione operata con sentenza.
Il primo motivo è inammissibile.
L’aspetto che preliminarmente risalta, è che parte
ricorrente non abbia concluso le proprie critiche al
ragionamento della Corte d’appello con una esposizione
riassuntiva. In tema di formulazione dei motivi del
ricorso per cassazione avverso i provvedimenti
pubblicati dopo l’entrata in vigore del d.lgs. 2.2.2006
n. 40 ed impugnati per vizio di motivazione, poiché
secondo l’art. 366-bis c.p.c., nel caso previsto
dall’art. 360 n. 5 c.p.c., l’illustrazione di ciascun
motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la
chiara indicazione del fatto controverso in relazione al
quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria,
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ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza
della motivazione la renda inidonea a giustificare la
decisione, la relativa censura deve contenere, un
momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che
ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non

ingenerare incertezze in sede di formulazione del
ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass.
1.10.2007, n. 20603; 8.3.2013, n. 5858).
La formula riassuntiva tanto più s’imponeva, attesa la
complessità del ragionamento sviluppato con
l’impugnazione, in rapporto alla diversa natura delle
due parti di aree espropriate, nella valutazione operata
dai giudici nei due gradi di merito.
I due profili del secondo motivo, che vanno esaminati
congiuntamente avendo ad oggetto la stessa statuizione,
sono fondati.
Il giudice d’appello ridetermina il danno da occupazione
appropriativa, e, correttamente qualificandolo come
debito di valore, rivaluta il dovuto all’attualità. Poi
liquida gli interessi sulla somma non rivalutata dal
momento del fatto illecito, e sulla somma rivalutata
dalla pubblicazione della sentenza, nonostante affermi,
subito dopo, che non è dovuto il risarcimento da lucro
cessante, liquidato dal primo giudice nella misura degli
interessi compensativi sulla sorte capitale, e che
nessuna domanda abbia in proposito formulato l’attore,
né provato il danno ulteriore.
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L’obbligazione risarcitoria del danno da occupazione
appropriativa costituisce debito di valore e deve
reintegrare per equivalente, alla data di determinazione
del dovuto, le perdite e i mancati guadagni,
conseguendone che in aggiunta alla rivalutazione, sulla

somma liquidata alla data di consumazione dell’illecito,
da rivalutare anno per anno fino alla decisione,
potranno spettare gli interessi compensativi per il
ritardato pagamento di quanto dovuto, sempre che i
mancati guadagni siano provati dal creditore (Cass.
21.4.2006, n. 9410): l’onere del creditore è di provare,
anche in base a criteri presuntivi, che la somma
rivalutata (o liquidata in moneta attuale) sia inferiore
a quella di cui avrebbe disposto, alla stessa data della
sentenza, se il pagamento della somma originariamente
dovuta fosse stato tempestivo. Il che può dipendere,
prevalentemente, dal rapporto tra remuneratività media
del denaro e tasso di svalutazione nel periodo in
considerazione, essendo ovvio che in tutti i casi in cui
il primo sia inferiore al secondo, un danno da ritardo
non è normalmente configurabile. Da ciò ha ad emergere
come, per un verso, gli interessi cosiddetti
compensativi costituiscono una mera modalità
liquidatoria del danno da ritardo nei debiti di valore;
per altro verso, non sia configurabile alcun automatismo
nel riconoscimento degli stessi: sia perché il danno da
ritardo che con quella modalità liquidatoria si


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indennizza non necessariamente esiste, sia perché, di
per sé, esso può essere comunque già ricompreso nella
somma liquidata in termini monetari attuali (Cass.
25.8.2003, n. 12452; 5.5.2005, n. 9361). Inoltre,
decorrendo gli interessi su somme liquide, queste si

determinano con riferimento al momento della decisione
finale nel quale si verifica la conversione del debito
di valore in debito di valuta. Rispetto a tale momento,
il giudice deve basarsi su tutti gli elementi di
valutazione dell’integrazione patrimoniale e, quindi,
avendo tenuto conto di essi nella liquidazione, sulla
somma cosi determinata decorrono, da quel momento, gli
interessi, che, per la loro natura compensativa, vanno
riconosciuti indipendentemente da una specifica domanda
(Cass. 3.9.1980, n. 5085).
La sentenza va dunque cassata nella parte in cui, in
aggiunta alla rivalutazione del credito, ha liquidato
gli interessi dal 10.9.1985 su euro 50.542,65, mentre
resta la condanna agli interessi compensativi sulla
somma rivalutata dalla data di quella decisione. In tal
senso può decidersi la causa nel merito, non essendo
necessari ulteriori accertamenti.
L’accoglimento solo in parte marginale del ricorso, e la
condotta processuale degli intimati, che non hanno
svolto difese in questa sede, inducono alla
compensazione integrale delle spese di questo giudizio.
P.Q.M.
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La

Corte accoglie il secondo motivo, dichiara

inammissibile il primo. In relazione alle censure
accolte cassa la sentenza impugnata e decidendo nel
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merito dichiara non dovuti gli interessi dal 10.9.1985
su euro 50.542,65. Compensa le spese.

Così deciso in Roma il 27.2.2014

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