Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10277 del 26/04/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 26/04/2017, (ud. 11/04/2017, dep.26/04/2017),  n. 10277

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCININNI Carlo – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Luigi – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 17107/2012 R.G. proposto da:

G.A., rappresentata e difesa, per procura speciale a margine

della comparsa di costituzione di nuovo difensore depositata in data

29/10/2014, dall’avv. Manlio Ordine, con domicilio eletto presso lo

studio dell’avv. Emanuela Origlia, in Roma, alla via Appennini, n.

60;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Calabria, n. 3/01/12, depositata in data 16 gennaio 2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 11

aprile 2017 dal Cons. Luciotti Lucio.

Fatto

PREMESSO IN FATTO

– che con la sentenza in epigrafe la Commissione Tributaria Regionale della Calabria ha dichiarato inammissibile, perchè tardivo, l’appello proposto dalla contribuente G.A. avverso la sentenza di primo grado emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Cosenza in data 14/02/2008 e pubblicata in data 15/02/2008, con ricorso spedito per la notificazione il 1 dicembre 2009, ben oltre il termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c., nella formulazione applicabile ratione temporis, calcolando anche il periodo di sospensione feriale, ritenendo correttamente effettuata al figlio convivente la comunicazione del dispositivo della sentenza depositata, ed insussistenti i presupposti per la rimessione in termini;

che la ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, illustrati con memoria ex art. 380 bis c.p.c., e l’Agenzia delle entrate ha replicato con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

– che il primo motivo di ricorso, con cui viene cumulativamente dedotto il difetto di motivazione della sentenza impugnata, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che quello di violazione di legge, ai sensi del n. 5 della medesima disposizione, è inammissibile in quanto la ricorrente prospetta un’unica questione – ovvero quella della irritualità della comunicazione dell’avviso di deposito e del dispositivo della sentenza di primo grado effettuata a mezzo raccomandata postale consegnata al figlio convivente senza che l’agente postale avesse poi provveduto a dargliene notizia mediante invio di altra raccomandata – “sotto profili tra loro incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione” (cfr., ex multis, Cass. n. 19433 del 2011, n. 3554 del 2017);

– che è necessario, perchè avente implicazioni sugli altri motivi, precisare in ogni caso il motivo è infondato perchè nella specie non sussiste la violazione della L. n. 890 del 1982, art. 7, posto che l’adempimento costituito dall’invio della raccomandata informativa prevista dal comma 6, del citato art. 7 – introdotto dal D.L. n. 248 del 2007, art. 36, comma 2 quater, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 31 del 2008 – è imposto solo per le notifiche eseguite a far tempo dal 1 marzo 2008, data di entrata in vigore della legge di conversione, come espressamente previsto dall’art. 36, comma 2 quinquies, del medesimo decreto, rispetto al quale non possono ravvisarsi profili di illegittimità costituzionale, trattandosi di valutazione del legislatore relative a situazioni temporalmente non sovrapponibili (v. Cass. n. 6345 del 2013, n. 21725 del 2012, n. 23589 del 2008) e quindi non si applica al casi di specie in cui, per stessa ammissione di parte ricorrente (ricorso, pag. 6), la comunicazione è stata sia spedita che ricevuta in data antecedente;

– che nella specie neppure è applicabile la disposizione di cui alla seconda parte del citato art. 36, comma 2 quinquies, secondo cui “Le notificazioni delle sentenze già effettuate, ai sensi della citata L. n. 890 del 1982, art. 7, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, non producono la decorrenza del relativo termine di impugnazione se non vi è stata consegna del piego personalmente al destinatario e se è provato che questi non ne ha avuto conoscenza”, che si riferisce alla notificazione delle sentenze ai fini della decorrenza del termine breve di impugnazione e non è, pertanto, applicabile alla comunicazione ad opera della segreteria della CTP del dispositivo della sentenza pubblicata;

– che devono ritenersi assorbiti il secondo motivo di ricorso – con cui viene dedotto vizio motivazionale e di violazione di legge in relazione alla mancata ricezione di rituale comunicazione dell’avviso di deposito della sentenza e del suo dispositivo -, il terzo mezzo di impugnazione – con cui è dedotta la nullità della sentenza di primo grado per omessa notifica dell’avviso di trattazione del ricorso, D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 31, (che la CTR ha correttamente omesso di esaminare stante la preliminare statuizione di inammissibilità del ricorso in appello), ed il quarto motivo, con cui è dedotta la incostituzionalità dell’art. 153 c.p.c., comma 2, laddove ritenuta inapplicabile alle impugnazioni delle sentenze delle commissioni tributarie (che è profilo nella specie manifestamente irrilevante, con conseguente inammissibilità del motivo);

– che il ricorso va, in definitiva, rigettato con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità nella misura liquidata in dispositivo.

PQM

dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.300,00 per compenso, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 11 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2017

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