Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10277 del 20/05/2015


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 10277 Anno 2015
Presidente: TRAVAGLINO GIACOMO
Relatore: ROSSETTI MARCO

SENTENZA

sul ricorso 18672-2011 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE 11210661002 in persona del
Direttore in carica p.t., MINISTERO ECONOMIA FINANZE
80415740580 in persona del Ministro in carica p.t.,
AGENZIA ENTRATE UFFICIO MILANO 6 in persona del
Direttore p.t., elettivamente domiciliati in ROMA,
VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE
DELLO STATO, che li rappresenta e difende per legge;

– ricorrenti contro
ILLES GEORGETTE SUZANNE LLSGGT38B64Z134E;

Data pubblicazione: 20/05/2015

- Intimata –

Nonché da:
ILLES

GEORGETTE

SUZANNE

LLSGGT38B64Z134E,

elettivamente domiciliate in ROMA, VIA GERMANICO 146,
presso lo studio dell’avvocato ERNESTO MOCCI,

BRIGUGLIO, EMILIO ZECCA giusta procura in calce al
controricorso e ricorso incidentale;
– ricorrente incidentale contro

MINISTERO ECONOMIA FINANZE 80415740580, AGENZIA DELLE
ENTRATE 11210661002, AGENZIA ENTRATE UFFICIO MILANO
6 ;
– intimati –

avverso la sentenza n. 1699/2010 della CORTE
D’APPELLO di MILANO, depositata il 08/06/2010 R.G.N.
429/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 24/02/2015 dal Consigliere Dott. MARCO
ROSSETTI;
udito l’Avvocato EMILIO ZECCA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO che ha concluso
per l’accoglimento del 4

0 motivo del ricorso

principale e assorbimento degli altri; rigetto del
ricorso incidentale.

2

rappresentata e difesa dagli avvocati EUGENIO

R.G.N. 18672/11
Udienza del 24 febbralo’2015

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Il 4.12.1993 Georgette Suzanne Illés, mentre si accingeva ad entrare in
Italia a bordo del treno Briga-Domodossola, venne perquisita da “operatori
della Guardia di finanza” i quali le sequestrarono cinque documenti emessi
,

da una banca svizzera, qualificati dai finanzieri come altrettanti “estratti

3

Sei anni dopo questi fatti (nel 1999) Georgette Suzanne Illès venne
convocata dalla polizia tributaria di Milano, le venne contestata una
evasione fiscale, venne emesso nei suoi confronti un avviso di accertamento,
seguito poi da altri.

2. Nel 2003 Georgette Suzanne Illès convenne dinanzi al Tribunale di Milano:
– ) la Presidenza del Consiglio dei Ministri;
– ) il Ministero dell’economia e delle finanze;
– ) l’Agenzia delle Entrate;
allegando che il sequestro dei documenti suddetti fu compiuto al di fuori di
eviki

qualsiasi norma che lo consentisse, ed in violazione del diritto “alla libertà e
segretezza della corrispondenza”. Chiese perciò la condanna dei convenuti
al risarcimento del danno non patrimoniale patito in conseguenza dei fatti
sopra descritti.

3. La Presidenza del Consiglio si costituì negando la propria legittimazione
passiva sostanziale, per essere i finanzieri in servizio alla frontiera
dipendenti dell’Agenzia delle dogane.
Altrettanto fece il Ministero dell’Economia.
Tutti e tre i convenuti eccepirono altresì la prescrizione del diritto azionato;
negarono l’illegittimità del sequestro, la sussunnibilità dei documenti
s

sequestrati tra la “corrispondenza”, e l’esistenza d’un danno risarcibile.

4. Con sentenza 11.10.2005 n. 10890 il Tribunale di Milano rigettò la
domanda.
La sentenza venne impugnata da Georgette Suzanne Illés.

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conto” attestanti disponibilità finanziarie all’estero.

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Udienza del 24 febbraio 2015

La Corte d’appello di Milano, con sentenza 8.6.2010 n. 1699, riformò la
sentenza di primo grado ed accolse la domanda nei confronti del Ministero e
dell’Agenzia delle Entrate, rinviando ad un separato giudizio la
determinazione del quantum.
La Corte d’appello, in particolare:

– negò la legittimazione passiva sostanziale della Presidenza del Consiglio;
– ammise la legittimazione passiva sostanziale del Ministero dell’Economia,
sul presupposto che questo risponde ex art. 2049 c.c. dell’operato della
Guardia di Finanza;
– ammise la legittimazione passiva sostanziale della Agenzia delle Entrate,
sul presupposto che in corso di causa “l’attrice ha chiarito che intende
dolersi anche della condotta della polizia tributaria che utilizzò i documenti
sequestrati per emanare l’avviso di accertamento”;
– rigettò l’eccezione di prescrizione, sul presupposto che l’illecito fu
“permanente”, ed il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del
danno iniziò a decorrere dall’emissione del primo avviso di accertamento
(1999).
Nel merito la Corte, d’appello ritenne che:
– il sequestro effettuato dai finanziari il 4.12.1993 non era loro consentito
dall’art. 3 r.d. 794/38, perché tale norma era stata abrogata nel 1988 (dalla
legge 148/88);
– la legittimità del sequestro esigeva un provvedimento del giudice, nella
specie mancante;
– l’atto fu dunque illegittimo;
– altrettanto illegittimo fu l’omesso rilievo dell’illegittimità del sequestro da
parte della polizia tributaria, e la “perdurante detenzione” dei documenti da
parte di quest’ultima.

5. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione dal Ministero
dell’economia e dall’Agenzia delle entrate, sulla base di cinque motivi.
Ha resistito con controricorso Georgette Suzanne Illés, ed ha altresì
proposto ricorso incidentale condizionato.

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– ritenne sussistere la propria giurisdizione;

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Udienza del 24 febbraio 2015

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso.
1.1. Col primo motivo di ricorso le Amministrazioni ricorrenti sostengono
che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da una violazione di legge, ai
sensi all’art. 360, n. 3, c.p.c. (si assumono violati gli artt. 111 cost.; 101

nullità processuale, ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c..
Espongono, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe errato nel
condannare il Ministero dell’Economia e delle Finanze, ai sensi dell’art. 2049
c.c., per il fatto illecito in tesi commesso dai finanzieri nel 1993. Infatti alla
data di notifica dell’atto di citazione introduttivo del presente giudizio (2003)
tutte !e funzioni del suddetto Ministero erano state trasferite alle Agenzie
fiscali. Soggiungono che, in particolare, l’art. 57 d.m. 28.12.2000 aveva
trasferito alle Agenzie i “rapporti giuridici” facenti capo al Ministero, e il d.p.r.
26.3.2001 n. 107 aveva disposto altrettanto per i rapporti relativi al
personale.

m

4

1.2. Il motivo è infondato, per tre indipendenti ragioni.
La prima ragione è che il datore di lavoro dei militari appartenenti alla
Guardia di finanza era nel 1993, ed è tuttora, il Ministero dell’Economia.
Tanto stabilisce l’art. 1 della I. 23.4.1959 n. 189, a norma del quale il Corpo
della guardia di finanza dipende “direttamente e a tutti gli effetti” dal
Ministro per le finanze. Va da sé che non solo il d.m. 28.12.2000 non ha
trasferito alle Agenzie delle entrate la titolarità del rapporto di lavoro della
Guardia di finanza, ma nemmeno avrebbe potuto farlo, posto che un
regolamento amministrativo non può derogare ad una norma di legge.

1.3. La seconda ragione è che il d.p.r. 107/01, cit., riguarda le controversie
ed i rapporti tra il Ministero dell’economia ed i suoi dipendenti, non la
responsabilità verso i terzi del ministero suddetto per il fatto dei propri
dipendenti.

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c.p.c.; 57 d. lgs. 30.7.1999 n. 300; 20 d.P.R. 26.3.2001 n. 107); sia da una

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Udienza del 24 febbraio 2015

1.4. La terza ragione è che l’istituzione delle Agenzie fiscali ha comportato
un trasferimento di posizioni attive e passive specificamente determinate (e
già facenti capo ai competenti dipartimenti ed uffici dell’Amministrazione
finanziaria), e non il subentro nell’universalità dei rapporti attribuiti al
soggetto preesistente (Sez. L, Sentenza n. 21809 del 24/09/2013, Rv.

Agenzie nei soli poteri e nei soli rapporti giuridici strumentali
all’adempimento dell’obbligazione tributaria, tra i quali certamente non
rientra il debito scaturente dalla responsabilità aquiliana (Sez. 5, Sentenza
n. 9004 del 16/04/2007, Rv. 597065).

1.5. V’è, infine, da aggiungere che:
(a) il precedente di legittimità invocato dal Ministero a p. 43 del proprio
ricorso, a sostegno del primo motivo di impugnazione, aveva ad oggetto
una controversia promossa da un dipendente civile dell’Ufficio delle Imposte
e concernente il rapporto di lavoro di questi, non il rapporto di lavoro di un
militare della Guardia di Finanza;
(b) desta stupore la circostanza che il Ministero pretenda in questa sede di
non essere il datore di lavoro dei militari della Guardia di finanza, ove si
consideri che nelle controversie di lavoro da questi ultimi proposte contro di
esso, dinanzi al giudice amministrativo, mai il ministero risulta avere negato
tale sua qualità (come ad esempio nei casi decisi da C. Stato, sez. IV, 2602-2013, n. 1186, in tema di lavoro straordinario; C. Stato, sez. IV, 27-122011, n. 6855, in tema di compenso forfettario d’impiego; C. Stato, sez. IV,
06-06-2011, n. 3389, in tema di danno da mobbing; C. Stato, sez. IV, 2607-2008, n. 3670, in tema di indennità per servizi esterni; e l’elenco
potrebbe continuare ad libitum).

2. Il secondo motivo di ricorso.
2.1. Anche col secondo motivo di ricorso le Amministrazioni ricorrenti
sostengono che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da una violazione
di legge, ai sensi all’art. 360, n. 3, c.p.c. (si assumono violati gli arlt. 111

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627945). Si è trattato dunque di una successione a titolo particolare delle

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cost.; 101 c.p.c.; 57 d. lgs. 30.7.1999 n. 300; 20 d.P.R. 26.3.2001 n. 107);
sia da una nullità processuale, ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c..
Espongono, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe errato nel
condannare al risarcimento del danno anche l’Agenzia delle entrate.
Infatti il sequestro illegittimo dei documenti di cui la sig.a Illés era in

frontiera, non di polizia tributaria. Né la polizia tributaria aveva partecipato
alla divulgazione della documentazione indebitamente sequestrata, che
invece era stata compiuta dall’Ufficio viaggiatori della Dogana di
Domodossola, che l’aveva inviata alla polizia tributaria di Milano.
Né, infine, l’Agenzia delle entrate poteva rispondere del danno derivato
dall’uso dei documenti sequestrati:
– sia per difetto di giurisdizione del giudice ordinario;
– sia perché non costituisce fatto illecito usare a fini impositivi documenti
sequestrati ad un valico di frontiera.

2.2. Il motivo è infondato in tutti i profili in cui si articola.

2.3. Nella parte in cui invoca il difetto di giurisdizione del giudice ordinario a
provvedere su una domanda di risarcimento del danno proposta nei
confronti dell’amministrazione finanziaria, il motivo è infondato perché la
questione da esso agitata è già stata decisa dalle Sezioni Unite di questa
Corte, nel senso che “qualora la domanda di risarcimento dei danni sia
basata su comportamenti illeciti tenuti dall’Amministrazione Finanziaria dello
Stato o di altri enti impositori, la controversia, avendo ad oggetto una
posizione sostanziale di diritto soggettivo del tutto indipendente dal
rapporto tributario, è devoluta alla cognizione dell’autorità giudiziaria
ordinaria, non potendo sussumersi in una delle fattispecie tipizzate che, ai
sensi dell’art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992, rientrano nella giurisdizione
esclusiva delle Commissioni Tributarie; infatti, anche nel campo tributario,
l’attività della P.A. deve svolgersi nei limiti posti non solo dalla legge ma
anche dalla norma primaria del neminem laedere, per cui è consentito al
giudice ordinario (…) accertare se vi sia stato, da parte

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vvk-

possesso avvenne da parte di finanzieri in servizio con compiti di polizia di

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dell’Amministrazione, un comportamento colposo tale che, in violazione
della suindicata norma primaria, abbia determinato la violazione di un diritto
soggettivo”(Sez. U, Sentenza n. 15 del 04/01/2007, Rv. 594111).
Il precedente appena ricordato esime questa Corte dal rimettere il ricorso al
Primo presidente per sottoporre alle Sezioni Unite la questione di

comma 1, c.p.c..

2.4. Nella parte in cui lamenta l’erroneità della sentenza, per avere ascritto
all’Agenzia delle entrate una responsabilità aquiliana per avere utilizzato a
fini impositivi documenti illegittimamente sequestrati, il motivo è
manifestamente infondato.
L’attività di qualsiasi amministrazione non è libera né nel fine, né nei mezzi,
ma è attività procedimentalizzata, preordinata al conseguimento
dell’interesse pubblico e soggetta alle legge. Tanto si desume, oltre che
dagli artt. 97 e 98 cost., dall’art. 1 della 1. 7.8.1990 n. 241.
Acquisire documenti o detenerli al di fuori delle forme e dei canali consentiti
dall’ordinamento è una attività contra legem, e dunque non consentita alla
pubblica amministrazione. A fortiori, dovrà ritenersi illegale ed illecito, ai
sensi dell’art. 2043 c.c., la detenzione o l’uso di documenti irritualmente
acquisiti.

3. Il terzo motivo di ricorso.
3.1. Col terzo motivo di ricorso le ricorrenti sostengono che la sentenza
impugnata sarebbe incorsa in un vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360,
n. 5, c.p.c..
Espongono, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe ritenuto sussistente
la responsabilità dell’Agenzia delle entrate omettendo di esaminare fatti
decisivi e controversi, i quali dovevano indurre ad escludere l’illegittimità
dell’acquisizione e dell’uso, da parte dell’Agenzia, dei documenti sequestrati
alla sig.a Illes.
In particolare, la Corte d’appello non avrebbe considerato le seguenti
circostanze di fatto:

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giurisdizione di cui si è detto, in virtù della previsione di cui all’art. 374,

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– che i documenti erano stati sequestrati da finanzieri, non dipendenti
dell’Agenzia delle entrate;
– che i documenti erano stati trasmessi all’Agenzia delle entrate dall’ufficio
doganale di Domodossola;
– che gli avvisi di accertamento emessi sulla base di quei documenti erano

3.2. Il motivo è manifestamente infondato.
Com’è noto, il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione
sussiste solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile
il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, ovvero
un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non
consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base
della decisione.
E’ altresì noto che il giudice di merito al fine di adempiere all’obbligo della
motivazione non è tenuto a valutare singolarmente tutte le risultanze
processuali e a confutare tutte le argomentazioni prospettate dalle parti, ma
è invece sufficiente che, dopo avere vagliato le une e le altre nel loro
complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il proprio
convincimento, dovendosi ritenere disattesi, per implicito, tutti gli altri rilievi
e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono
logicamente incompatibili con la decisione adottata.

E’, infine, noto che la Corte di Cassazione non ha il potere di riesaminare e
valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo
logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del
giudice del merito.
Da questi principi pacifici discende che non può chiedersi al giudice di
legittimità una valutazione delle prove ulteriore e diversa rispetto a quella
adottata dal giudice di merito. Il sindacato della Corte è limitato a valutare
se la motivazione adottata dal giudice di merito sia esistente, coerente e
consequenziale: accertati tali requisiti, nulla rileva che le prove raccolte si
sarebbero potute teoricamente valutare in altro modo.

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stati impugnati dinanzi al giudice tributario.

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Udienza del 24 febbraio 2015

Nel caso di specie, la Corte d’appello ha ampiamente spiegato, alle pp. 3239 della sentenza, in cosa sia consistita la condotta dell’Agenzia (utilizzare i
documenti); perché fosse illegittima (la provenienza dei documenti non era
lecita) e perché fosse colposa (non averne verificato la provenienza). La

4. Il quarto motivo di ricorso.
4.1. Col quarto motivo di ricorso le ricorrenti sostengono che la sentenza
impugnata sarebbe affetta da una violazione di legge, ai sensi all’art. 360, n.
3, c.p.c..
Si assumono violati gli aitt. 26 d.p.r. 31.3.1988 n. 148 e il d.p.r. 23.1.1973
n. 43.
Espongono, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere
illegittimo il sequestro dei documenti in possesso della sig.a Illes. Esso
invece doveva ritenersi consentito dall’art. 26 del d.p.r. 148/88. Il comma 3
di tale norma, infatti, consente ai funzionari della “amministrazione
doganale” l’accertamento delle violazioni valutarie “nei limiti delle loro
attribuzioni”, e quindi nei limiti dell’art. 20 d.p.r. 43/73, che consente
perquisizione e sequestro. Invocano, come precedente specifico, il decisum
di Sez. 1, Sentenza n. 5644 del 05/05/2000, Rv. 536173.

4.2. Il motivo é infondato.
L’art. 26, comma 3, del d.p.r. 31.3.1988 n. 148 (testo unico in materia
valutaria) stabilisce che

“i funzionari dell’amministrazione doganale e

postale accertano le violazioni valutarie in relazione ai loro compiti di
servizio e nei limiti delle loro attribuzioni”.
I “limiti delle attribuzioni” dei funzionari doganali, all’epoca dei fatti (1993),
erano disciplinati dal d.p.r. 23.1.1973, n. 43 (testo unico delle disposizioni
legislative in materia doganale).
L’art. 20 di tale decreto stabilisce:

“i funzionari doganali, per assicurare

l’osservanza delle disposizioni stabilite dalle leggi in materia doganale e
delle altre leggi la cui applicazione è demandata alle dogane, possono

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motivazione dunque esiste, non è contraddittoria e non è illogica.

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Udienza del 24 febbraio 2015

invitare coloro che per qualsiasi motivo circolano nell’ambito degli spazi
doganali ad esibire gli oggetti ed i valori portati sulla persona.
In caso di rifiuto ed ove sussistano fondati motivi di sospetto il capo del
servizio può disporre, con apposito provvedimento scritto specificamente
motivato, che le persone suddette vengano sottoposte a perquisizione

Della perquisizione è redatto processo verbale che, insieme al
provvedimento anzidetto, deve essere trasmesso entro quarantotto ore alla
procura della Repubblica competente.
Il procuratore della Repubblica, se riconosce legittimo il provvedimento, lo
convalida entro le successive quarantotto ore”.
La legge dunque esige, per la legittimità della perquisizione e del sequestro,
la convalida del pubblico ministero, nella specie mancata.

5. Il quinto motivo di ricorso.
5.1. Col quinto motivo di ricorso le ricorrenti sostengono che la sentenza
impugnata sarebbe affetta da una violazione di legge, ai sensi all’art. 360, n.
3, c.p.c..
Si assume violato l’art. 2947 c.c..
Espongono, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe errato nel ravvisare
nella condotta della pubblica amministrazione un illecito permanente. In
realtà si trattava di un illecito istantaneo con effetti permanenti, commesso
a dicembre del 1993, con la conseguenza che al momento di introduzione
del presente giudizio (2003) il diritto al risarcimento era ormai prescritto.

5.2. Il motivo è fondato.
Per quanto esposto in precedenza, resta accertato che la sig.a Illes sia
rimasta vittima d’un atto arbitrario commesso in suo danno da militari della
Guardia di finanza, in data 4.12.1993.
Nell’atto introduttivo del presente giudizio notificato nel 2003, l’attrice
chiese il risarcimento del danno non patrimoniale “da violazione del diritto
alla libertà ed alla segretezza della corrispondenza”. Tanto si legge sia nella

Pagina 11

personale.

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motivazione della sentenza di primo grado; sia nelle conclusioni delle parti
riportate nella sentenza d’appello; sia nel ricorso per cassazione.
Il danno da violazione di un diritto fondamentale si verifica ovviamente nel
momento in cui il suddetto diritto è infranto. Tale danno può certamente
avere effetti permanenti, ma ciò non toglie che l’illecito dal quale derivi

permanentemente invalido ha causato un danno permanente, ma nessuno
dubiterebbe del fatto che l’azione lesiva debba qualificarsi istantanea.
Allo stesso modo, l’appropriazione contra legem di documenti privati è fatto
illecito istantaneo, che produce i propri effetti nel momento stesso della
adprehensio di quei documenti. Permanenti potranno dunque essere gli
effetti dell’illecito, ma non l’illecito, giacché esso si è consumato con una
azione puntuale (il sequestro) e non reiterata.

5.3. L’accoglimento del quinto motivo di ricorso non rende necessaria la
cassazione con rinvio della sentenza impugnata, giacché la causa può
essere decisa nel merito.
Il diritto al risarcimento del danno aquiliano è soggetto infatti alla
prescrizione quinquennale, ai sensi dell’art. 2947 c.c., e nella specie tale
termine era ampiamente spirato nel momento in cui la sig.a Illes decise di
iniziare il presente giudizio.
Non essendo mai stata allegata e provata alcuna valida interruzione del
termine prescrizionale prima del 4.12.1998, il diritto al risarcimento va
dunque dichiarato prescritto.

6. Il ricorso incidentale condizionato.
6.1. Con l’unico motivo del proprio ricorso incidentale condizionato, la sig.a
Illes lamenta la violazione, da parte della sentenza impugnata, dell’art. 112
c.p.c..
Espone, al riguardo, di avere formulato in primo grado una domanda
subordinata di condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri al
pagamento dell’ “equa soddisfazione” prevista dall’art. 41 della Convenzione
Europea dei Diritti dell’Uomo. La Corte d’appello, avendo accolto la

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r

abbia natura istantanea. Così, ad esempio, chi renda il prossimo

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domanda principale, non ha esaminato quella subordinata, che si sarebbe
dovuta perciò dichiarare assorbita. La Corte d’appello invece non ha
dichiarato assorbita la domanda subordinata proposta dalla sig.a Illes, ma
ha dichiarato il difetto di legittimazione passiva della presidenza del

6.2. Il motivo è manifestamente infondato, per due ragioni.
La prima è che I “equa soddisfazione” di cui all’art. 41 CEDU non può certo
essere accordata dal giudice nazionale, ma solo dalla Corte di Strasburgo.
La seconda è che in ogni caso l’ordinamento italiano non ha negato alla
sig.ra Illes il diritto al risarcimento del danno: è stata l’attrice che l’ha
lasciato prescrivere. E vale la pena ricordare, a tal riguardo, che per
costante giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, “il solo
fatto che le pretese dell’attore siano soggette ad un termine di prescrizione
non con fugge con la Convenzione. L’istituto della prescrizione è un tratto
comune agli ordinamenti giuridici degli Stati contraenti, che mira a garantire
la certezza del diritto fissando un termine alle azioni, ed impedire le
ingiustizie che potrebbero scaturire dal fatto che i tribunali siano chiamati a
pronunciarsi su fatti avvenuti in un passato lontano” (così Corte EDU,
29.1.2013, Zolotas c. Grecia).
Pertanto la Corte d’appello non avrebbe dovuto comunque esaminare la
domanda subordinata formulata dalla sig.a Illes, non essendo concepibile almeno in linea generale – alcuna violazione dei diritti fondamentali, quando
tali diritti siano andati persi per prescrizione.

7. Le spese.

Le alterne vicende del giudizio di merito, e l’oggettiva gravità ed
inescusabilità della condotta tenuta dai militari della guardia di finanza,
costituisce giusto motivo per la compensazione integrale delle spese
dell’intero giudizio.
P.q.m.
la Corte di cassazione, visto l’art. 380 c.p.c.:
-) accoglie il ricorso principale;

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Consiglio dei Ministri. Di qui la violazione dell’art. 112 c.p.c..

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Udienza del 24 febbraio 2015

– ) rigetta il ricorso incidentale condizionato;
– ) cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara prescritto
il diritto al risarcimento del danno azionato dalla sig.a Georgette Suzanne
Illès nel presente giudizio;
-) compensa integralmente tra le parti le spese dell’intero giudizio.

della Corte di cassazione, addì 24 febbraio 2015.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile

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