Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10276 del 20/05/2015


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 10276 Anno 2015
Presidente: TRAVAGLINO GIACOMO
Relatore: ROSSETTI MARCO

SENTENZA
sul ricorso 17364-2011 proposto da:
SGARBI

VITTORIO

SGRVTR52E08D548E,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CICERONE 44, presso lo
studio dell’avvocato ENRICO FIORETTI, rappresentato e
7

difeso dall’avvocato GIAMPAOLO CICCONI giusta procura

t

a margine del ricorso;
– ricorrente –

2015
505

contro

EUROPEA EDIZIONI SPA 01790590150, in persona del suo
Amministratore Delegato

e

legale rappresentante,

Dott. ANDREA FAVARI, elettivamente domiciliata in

1

Data pubblicazione: 20/05/2015

ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 21, presso lo studio
dell’avvocato LUCA LO GIUDICE, rappresentata e difesa
dall’avvocato ACHILLE SALETTI giusta procura in calce
al controricorso;
COLOMBO GHERARDO CLMGRR46H23B187C, GRECO FRANCESCO

DVGPCM50R20B5871, elettivamente domiciliati in ROMA,
VIA DI VIGNA MURATA 1, presso lo studio dell’avvocato
CORRADO CARRUBBA, rappresentati e difesi
dall’avvocato FRANCESCO BORASI giusta procura a
margine del controricorso;
– controricorrenti nonchè contro

AVVENIRE NUOVA EDITORIALE ITALIANA SPA ;
– intimata avverso la sentenza n. 1026/2011 della CORTE
D’APPELLO di MILANO, depositata il 14/04/2011 R.G.N.
391/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 24/02/2015 dal Consigliere Dott. MARCO
ROSSETTI;
udito l’Avvocato GIAMPAOLO CICCONI;
udito l’Avvocato LUCA LO GIUDICE per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

2

GRCFNC51S13F8390, DAVIGO PIERCAMILLO

R.G.N. 17364/11
Udienza del 24 febbraio 2015

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Nel 1997 i sigg.ri Piercamillo Davigo, Gherardo Colombo e Francesco
Greco, all’epoca dei fatti Sostituti Procuratori della Repubblica, convennero
dinanzi al Tribunale di Milano Vittorio Sgarbi, la società “Avvenire Nuova
Editoriale Italiana s.p.a.” e la “Società Europea di Edizioni s.p.a.”,

– ) le due società convenute erano, rispettivamente, gli editori dei quotidiani
“Avvenire” e “Il Giornale”;
– ) tra il 15 ed il 19 luglio 1994 ambedue i suddetti quotidiani pubblicarono
varie dichiarazioni rilasciate dal convenuto Vittorio Sgarbi, all’epoca dei fatti
deputato;
– ) tali dichiarazioni erano gravemente offensive nei confronti degli attori: in
esse si affermava tra l’altro che gli attori erano degli “assassini”; che
“avevano fatto morire delle persone”, che dovevano essere “processati e
condannati”; che costituivano “una associazione a delinquere con libertà di
uccidere”.

lm,

Sulla base di queste allegazioni in fatto, gli attori chiesero la condanna dei
convenuti in solido al risarcimento dei danni rispettivamente patiti.

2.

Con sentenza 25.2.2008 n. 2626 il Tribunale di Milano accolse la

domanda nei confronti di Vittorio Sgarbi, mentre la rigettò nei confronti
delle due società editrici.

3. La sentenza venne appellata da Vittorio Sgarbi.
La Corte d’appello di Milano con sentenza 14.4.2011 n. 1026 rigettò il
gravame.

4. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da Vittorio Sgarbi,
sulla base di quattro motivi.
Ha resistito con controricorso la sola Società Europea di Edizioni.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso.

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,

esponendo che:

R.G.N. 17364/11
Udienza del 24 febbraio 2015

1.1. Col primo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che !a sentenza
impugnata sarebbe affetta sia da una violazione di legge, ai sensi all’art.
360, n. 3, c.p.c. (si assumono violati gli artt. 5 e 30 bis c.p.c.); sia da un
vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c..
Espone, al riguardo, che essendo gli attori magistrati, la competenza per

ai sensi dell’art. 30 bis c.p.c., al Tribunale di Brescia.

1.2. Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza.
E’ vero quanto dedotto dal ricorrente, e cioè che secondo la giurisprudenza
di questa Corte l’art. 30 bis c.p.c. si applica anche ai procedimenti già
pendenti prima della sua promulgazione: e tuttavia a condizione che
l’eccezione di incompetenza sia sollevata nella prima udienza o nella prima
difesa successiva alla promulgazione della legge che introdusse il suddetto
articolo 30 bis c.p.c. (così, ex multis, Sez. 3, Sentenza n. 3533 del
14/02/2008, Rv. 601761, invocata dallo stesso ricorrente).

t/14

Nel nostro caso, tuttavia, il ricorrente non ha indicato nel ricorso in quale
atto ed in che termini abbia sollevato la relativa eccezione nel giudizio di
merito, con la conseguente inammissibilità del ricorso per violazione del
principio di autosufficienza. E ciò a maggior ragione a fronte:
(a) della richiesta formulata dal Procuratore Generale nella sua requisitoria,
nella quale ha formalmente invocato la tardività dell’eccezione, per essere
stata sollevata solo nella comparsa conclusionale;
(b) della eccezione di non autosufficienza espressamente sollevata dalla
Società Europea di Edizioni (p. 21 del controricorso), ove espressamente si
allega che mai, nel giudizio di merito, l’eccezione di incompetenza ratione
loci fu sollevata solo con la comparsa conclusionale in primo grado.
Manifestamente inammissibile, infine, è la prospettazione nel motivo in
esame del vizio di motivazione, non concepibile rispetto agli
procedendo.

2. Ii secondo motivo di ricorso.

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errores in

territorio a conoscere della loro domanda di risarcimento sarebbe spettata,

R.G.N. 17364/11
Udienza del 24 febbraio 2015

2.1. Anche coi secondo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la
sentenza impugnata sarebbe affetta sia da una violazione di legge, ai sensi
all’art. 360, n. 3, c.p.c. (si assumono violati gli artt. 21 cost.; 10 CEDU; 51
e 595 c.p.); sia da un vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c..
Espone, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe violato l’articolo 21 cost.

insufficiente) nella parte in cui ha escluso la sussistenza nel caso di specie
della scriminante del diritto di critica.

2.2. La difesa del ricorrente ha dichiarato di rinunciare al presente motivo
nel corso della discussione orale.
Esso, in ogni caso, è infondato.
Il diritto di critica è limitato dal rispetto della dignità altrui, e la dignità altrui
è violata quando la critica trascende il limite della continenza verbale.
Nel caso di specie il ricorrente definì gli odierni controricorrenti “assassini”
ed “associazione a delinquere”: e neanche la più benevola concezione del
limite della continenza verbale potrebbe mai giungere ad ammettere che tali
espressioni non violino quel limite.
La sentenza impugnata non ha dunque né violato la legge, avendo anzi
correttamente applicato il principio per cui il diritto di critica non è illimitato;
né adottato una motivazione insufficiente, per avere spiegato
adeguatamente (pp. 14-15) per quali ragioni abbia ritenuto offensive le
dichiarazioni rilasciate dall’odierno ricorrente.

3. Il terzo motivo di ricorso.
3.1. Anche col terzo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la sentenza
impugnata sarebbe affetta sia da una violazione di legge, ai sensi all’art.
360, n. 3, c.p.c. (si assumono violati gli artt. 2055 c.c.; 110 c.p.); sia da un
vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c..
Espone, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe errato nel rigettare la
domanda proposta nei confronti degli editori. Anche costoro, infatti,
avrebbero dovuto rispondere dell’illecito, posto che il giornalista il quale

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etm

e le altre norme appena indicate (e comunque adottato una motivazione

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Udienza del 24 febbraio 2015

raccolse le dichiarazioni del ricorrente avrebbe dovuto verificare la
violazione del limite della continenza verbale.

3.2. Il motivo è inammissibile perché ha ad oggetto una domanda nuova.
L’odierno ricorrente si è infatti costituito nel giudizio di primo grado con una

puramente e semplicemente il rigetto della domanda attorea [così la
comparsa di costituzione del 5.11.1998, p. 9, punti (E) ed (F)].
Solo nove anni dopo, nella “seconda memoria di costituzione” col nuovo
difensore, nel procedimento n. 12039/97 pendente dinanzi al Tribunale di
Milano, l’allora convenuto, dopo avere ribadito la richiesta di rigetto della
domanda attorea, soggiunse che “nella deprecata ipotesi di [accoglimento
delle pretese attoree, queste] dovranno essere poste integralmente a carico
delle società editrici convenute” (così la memoria datata 2.5.2007, p. 9).
Prima del deposito di tale memoria, mai il convenuto aveva
tempestivamente formulato:
(a) una domanda di accertamento della quota di corresponsabilità a carico
delle società convenute ex art. 2055 c.c.;
(b) una domanda di regresso nei confronti delle società editrici, ex art. 1299
c.c..
Pertanto la domanda di accertamento della responsabilità degli editori deve
ritenersi inammissibile perché nuova.

4. Il quarto motivo di ricorso.
4.1. Col quarto motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la sentenza
impugnata sarebbe affetta sia da una violazione di legge, ai sensi all’art.
360, n. 3, c.p.c. (si assumono violati gli artt. 2056 e 2059 c.c.); sia da una
nullità processuale, ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c.; sia da un vizio di
motivazione, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c..
Espone, al riguardo, che la Corte d’appello non avrebbe adeguatamente
motivato la propria decisione di quantificare il danno nella misura di C
60.000. Soggiunge che le medesime dichiarazioni oggetto del presente
giudizio erano state pubblicate anche da altri quotidiani, ed anche nei

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bt

comparsa di costituzione e risposta nella quale concluse chiedendo

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Udienza del 24 febbraio 2015

confronti dei rispettivi editori i danneggiati avevano chiesto il risarcimento
del danno: sicché la liquidazione compiuta dalla Corte d’appello produsse di
fatto una duplicazione del risarcimento.

4.2. Il motivo è inammissibile.

di primo grado, dimenticando che la

aestimatio del danno aquiliano

costituisce un accertamento di fatto, insindacabile in sede di legittimità.
Sarebbe censurabile in teoria la motivazione posta dal giudice di merito a
fondamento della liquidazione, ma in tal caso il ricorrente ha l’onere di
indicare quali circostanze di fatto il giudice di merito ha trascurato di
considerare, ovvero quali circostanze ha preso in considerazione pur
essendo esse irrilevanti. Nel caso di specie il ricorrente non ha fatto nulla di
tutto ciò.
Né può ritenersi carente la motivazione della Corte d’appello. La sentenza
impugnata, infatti, ha dichiarato di avere tenuto conto di tre circostanze: il
lavoro svolto dagli attori, la gravità degli addebiti ad essi mossi dal
convenuto, e l’impatto sociale di affermazioni così drastiche. Dunque la
motivazione esiste e non è contraddittoria, né illogica.
La circostanza, infine, che il danneggiato abbia chiesto il risarcimento anche
ad altri responsabili del medesimo fatto illecito non può essere presa in
esame nel presente giudizio: sia perché non tempestivamente dedotta; sia
perché una medesima dichiarazione diffamatoria diffusa da più organi di
stampa genera più danni. La lesione dell’onore consiste infatti nel
detrimento della reputazione che l’offeso vanta presso il pubblico dei lettori;
sicché, dovendo presumersi che ogni quotidiano abbia lettori in gran parte
diversi, ad ogni pubblicazione corrisponderà un danno differente.

5. Le spese.
Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente, ai
sensi dell’art. 385, comma 1, c.p.c..
P.q.m.
la Corte di cassazione, visto l’art. 380 c.p.c.:

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,

Il ricorrente censura come “esorbitante” il risarcimento liquidato dal giudice

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– ) rigetta il ricorso;
– ) condanna Vittorio Sgarbi alla rifusione in favore di Piercamillo Davigo,
Gherardo Colombo e Francesco Greco, in solido, delle spese del presente
grado di giudizio, che si liquidano nella somma di euro 13.200, di cui 200
per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2,

-) condanna Vittorio Sgarbi alla rifusione in favore di Società Europea di
Edizioni s.p.a. delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano
nella somma di euro 13.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa
forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile
della Corte di cassazione, addì 24 febbraio 2015.

comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55;

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