Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10272 del 12/05/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 10272 Anno 2014
Presidente:
Relatore:

SENTENZA

sul ricorso 14158-2008 proposto da:
ARCHETTI VITTORANGELO RCHVTR54H10G170Z, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA ILDEBRANDO GOIRAM 30, presso
lo studio dell’avvocato ROMOLI ADRIANA, rappresentato
e difeso dall’avvocato PAGANI ELENA;
– ricorrente contro

2014
534

VERMAT SRL;
– intimata sul ricorso 18087-2008 proposto da:

VERMAT

S.r.l.

(gia’

VERMAT

s.a.s.

di

Scalvini

Data pubblicazione: 12/05/2014

Odoardo)

in

persona del

liquidatore

03175970171,

c.f.

liquidazione,

sig.

in

Scalvini Odoardo

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA P. DA
PALESTRINA 19, presso lo studio dell’avvocato DETTORI
MASALA GIOVANNA ANGELA, che la rappresenta e difende

PIERGIORGIO;

c/ric. ricorrente incidentale condizionata contro

ARCHETTI VITTORANGELO;
– intimato –

avverso la sentenza n. 268/2007 della CORTE D’APPELLO
di BRESCIA, depositata il 16/04/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 20/02/2014 dal Consigliere Dott. FELICE
MANNA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FRANCESCA CERONI che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso, in subordine per il
rigetto del ricorso principale e per l’assorbimento
del ricorso incidentale condizionato.

unitamente agli avvocati MINA ANDREA, MERLO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Vermat s.a.s. proponeva opposizione al decreto emesso dal presidente
del Tribunale di Brescia su ricorso dell’arch. Vittorangelo Archetti, col quale
le era stato ingiunto il pagamento della somma di lire 42.185.931 quale

amministrativa e direzione dei lavori di costruzione di un complesso
immobiliare in Ospitaletto. A sostegno dell’opposizione deduceva la carenza
della propria legittimazione passiva, essendo stato conferito l’incarico
professionale da Odoardo Scalvini, suo socio accomandatario, non in tale
qualità ma a titolo personale. Proponeva, inoltre, domanda riconvenzionale
per danni e controcrediti.
Resistendo l’opposto, il Tribunale rideterminava il credito di quest’ultimo
in lire 35.635.551 e rigettava la domanda riconvenzionale.
Tale decisione era riformata dalla Corte d’appello di Brescia che, adita
dalla Vermat s.a.s., con sentenza n. 268/07 rigettava la domanda dell’arch.
Archetti, dichiarava inammissibile la riconvenzionale e compensava
integralmente le spese del doppio grado di giudizio.
La Corte territoriale premetteva che il contratto d’opera non
necessariamente deve intercorrere fra “il committente (proprietario del
terreno) ed il professionista, ben potendo essere stipulato fra un terzo (che,
quindi, si accolla l’onere del pagamento della prestazione profesginnale) ed il
professionista, verificandosi, quindi, una classica ipotesi di contratto a favore
di terzo”. Quindi, rilevava che il contratto dedotto in giudizio era stato
stipulato per iscritto il 12.11.1992 tra Emilio Archetti, fratello dell’appellato,
e Odoardo Scalvini, da una parte, e lo studio CPPTU di Vittorangelo Archetti
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corrispettivo di prestazioni professionali relative alla progettazione, assistenza

e Paraffini, dall’altra; che tutta la corrispondenza era intercorsa fra
Vittorangelo Archetti e Odoardo Scalvini e mai tra il primo e la Vermat; che
inoltre se il contratto avesse impeginto detta società non avrebbe trovato
spiegazione la presenza, tra i committenti, di Emilio Archetti, che non

dal fatto che nel richiedere il pagamento della parcella Vittorangelo Archetti
si fosse rivolto allo Scalvini come persona fisica, e mai alla Vermat, e dalla
deposizione del teste Regalini, che aveva riferito di aver appreso dallo stesso
Scalvini dell’incarico al predetto professionista.
Per la cassazione di tale sentenza Vittorangelo Archetti propone ricorso
affidato a due motivi.
Resiste con controricorso la Vermat s.r.1., già s.a.s., che propone ricorso
incidentale condizionato basato su di un solo motivo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.

Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi, ai sensi dell’art.

335 c.p.c., perché proposti avverso la medesima sentenza.
1 bis.

Il primo motivo di ricorso, corredato da quesito di diritto ex art.

366-bis c.p.c. (applicabile ratione temporis alla fattispecie) denuncia la
violazione degli artt. 99, 112, 346 e 329 c.p.c.
Sostiene parte ricorrente che la soc. appellante, sebbene avesse insistito
nell’atto di citazione in appello sul difetto della propria legittimazione
passiva, ha poi modificato le sue conclusioni rispetto al giudizio di primo
grado chiedendò che fosse accertato il suo asserito credito verso l’arch.
Vittorangelo Archetti. Pertanto, conclude, non avendo l’appellante formulato
alcuna specifica conclusione in ordine al capo della sentenza di primo grado
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rivestiva qualità di rappresentante legale; che tale conclusione era confermata

che aveva respinto l’eccezione di carenza di legittimazione passiva, la Corte
d’appello avrebbe dovuto limitare la propria indagine alla sola domanda
riconvenzionale della società.
1-bis.1. – Il motivo è manifestamente infondato, perché si basa sulla

Occorre rimai zare che il ricorrente ha riportato in maniera monca le
conclusioni trascritte nell’epigrafe della sentenza d’appello, sopprimendo
proprio un fondamentale “anche” (v. pag. 7 ricorso) che invece compare in
quelle trascritte nell’epigrafe della sentenza impugnata, dove le conclusioni
della società appellante sono così riprodotte: “dichiararsi che, anche in forza
del credito vantato dalla Vermat, all’Archetti nulla è dovuto; in via
riconvenzionale …” ecc. Il che dimostra come pure sotto il profilo meramente
verbale l’espressione adoperata non lasci spazio alla tesi che l’appellante
abbia rinunciato a far valere il primo motivo di gravame, inerente alla
questione della titolarità del rapporto nel lato passivo (erroneamente
qualificata come eccezione di carenza di legittimazione passiva). E poiché le
suddette conclusioni corrispondono a quelle dell’atto di citazione in appello
(cui questa Corte ha accesso trattandosi del riscontro d’un fatto processuale),
deve concludersi che non vi sia stato alcun mutamento fra le une e le altre, e
che del tutto correttamente, pertanto, la Corte bresciana si sia pronunciata sul
punto.
1-bis.2. – Oltre che infondata in fatto, la tesi sostenuta nel motivo in esame
è anche oggettivamente insensata.
Giova premettere che l’interpretazione degli atti processuali compete a
questa Corte quando sia censurata L nullità della sentenza impugnata per
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scorretta riproduzione del fatto processuale invocato.

violazione dell’art. 112 c.p.c. (cfr. Cass. S.U. n. 8077/12). Ciò posto, non è
dato comprendere come possa seriamente sostenersi (senza manifestare nel
contempo un’aspettativa — tanto ingiustificata quanto irriguardosa — sulle
scarse capacità critiche di questa Corte Suprema) che la parte l’appellante,

la sentenza di prime cure sulla questione inerente alla titolarità passiva del
rapporto sostanziale, nel chiudere la redazione del medesimo atto difensivo
possa senza alcuna ragione aver “rinunciato” a quanto appena scritto poche
pagine prima. Ne si comprende come possa prestarsi acquiescenza tacita ex
art. 329, cpv. c.p.c., chiedendo espressamente raccoglimento delle
conclusioni di primo grado (v. pag. 11 citazione in appello).
2. – Il secondo mezzo d’annullamento, corredato da quesiti multipli, espone
la violazione degli artt. 1411 e 1273 c.c. e la contraddittorietà della
motivazione, in relazione, rispettivamente ai nn. 3 e 5 dell’art. 360 c.p.c.
La motivazione della sentenza impugnata confligge, sostiene parte
ricorrente, con indiscutibili elementi documentali e con i risultati delle prove
orali. Infatti, deduce il ricorrente, a) il terreno oggetto dell’attività di
progettazione negoziata fra le parti era, all’origine, in comproprietà fra la
Vennat s.a.s. ed Emilio Archetti, il quale poi il 22.3.1993 cedette la sua quota
a detta società; b) la concessione edilizia fu chiesta e rilasciata a nome della
Vermat; c) fra l’arch. Archetti e Odoardo Scalvini vi erano all’epoca rapporti
di amicizia, tant’è che il conferimento dell’incarico professionale non fu
accompagnato dalla trascrizione delle rispettive generalità; d) Odoardo
Scalvini non aveva alcun interesse personale sul terreno oggetto
dell’intervento edilizio; e) i committenti non avevano indicato nella Vermat
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dopo aver dedicato buona parte del proprio atto d’impugnazione a contestare

s.a.s. il beneficiario del contratto stipulato, né avevano indicato che si trattasse
di contratto a favore del terzo.
Pertanto, non essendovi un interesse personale dello Loalvini alla
stipulazione in favore del terzo, tale fattispecie non è configurabile,

terzo.
2.1. – Il motivo è infondato.
2.1.1. – Esso procede da argomentazioni di puro fatto, che lungi
dall’allegare e dal dimostrare un’intrinseca contraddittorietà del percorso
motivazionale seguito dalla sentenza impugnata, sollecitano un inammissibile
riesame di merito sulle emergenze probatorie, che come tale non può trovare
ingresso in questa sede di legittimità.
2.1.2. – Quanto, poi, alla dedotta violazione di legge, va osservato che la
statuizione della Corte territoriale è conforme al diritto, ma la relativa
motivazione va corretta, ex art. 384, ultimo comma c.p.c., per le
considerazioni che seguono, e che rendono non pertinenti le censure svolte.
Il contratto a favore del terzo, previsto dall’art. 1411 c.c., ricorre allorché i
contraenti, mediante un’apposita stipulazione si accordino per attribuire ad un
terzo estraneo alla convenzione uno o più diritti derivanti dal contratto stesso.
Pertanto, detta fattispecie ipotetica non ricorre né allorquando il diritto
attribuito al terzo sorga per legge, né ove il terzo sia destinatario degli effetti
economici vantaggiosi della prestazione ma non acquisti il diritto a
pretenderla, salvo il diverso diritto, eventualmente desumibile dal contratto, a
che la prestazione ove effettuata sia eseguita in maniera diligente al fine di

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considerato, inoltre, che nel contratto stesso non è neppure menzionato il

evitargli un danno (nel qual caso è corretta, piuttosto, la configurazione di
contratto con effetti protettivi nei confronti del terzo).
Nel caso in esame, la Corte territoriale ha accertato — con motivazione
congrua e logica che come s’è detto resiste alla critica formulata nel motivo —

fratello dell’odierno ricorrente, e Odoardo Scalvini, da una parte, e lo studio
CPPTU di Vittorangelo Archetti e Paraffini, dall’altra; non anche che esso
attribuisse alla Vermat il diritto a esigere la prestazione professionale.
Pertanto, il fatto che detta società fosse proprietaria dell’area da edificare
da un lato non è ragione sufficiente, in base alle superiori ragioni di diritto,
per configurare la fattispecie come contratto a favore del terzo; dall’altro, non
pone minimamente in crisi la logicità della ricostruzione storica operata dalla
Corte bresciana, ché l’incarico non presuppone la proprietà dell’oggetto
materiale su cui la prestazione professionale è destinata ad operare.
3. – La reiezione di entrambi di motivi del ricorso principale assorbe
l’esame del ricorso incidentale condizionato, riguardante la pronuncia
d’inammissibilità della domanda riconvenzionale della Vermat.
4. – Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza del
ricorrente.
P. Q. M.
La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale, assorbito quello
incidentale, e pone a carico del ricorrente le spese, che liquida in € 2.200,00,
di cui 200,00 per esborsi, oltre IVA e CPA come per legge.
Così deciso ìL Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile
della Corte Suprema di Cassazione, il 20.2.2014.

unicamente che il contratto d’opera era stato stipulato tra Emilio Archetti,

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