Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10267 del 29/05/2020

Cassazione civile sez. trib., 29/05/2020, (ud. 12/02/2020, dep. 29/05/2020), n.10267

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 8017 del ruolo generale dell’anno 2013

proposto da:

C.A., rappresentata e difesa dall’Avv. Giovanni Caso per

procura speciale a margine del ricorso, elettivamente domiciliata in

Roma, via Cicerone, n. 44, presso lo studio dell’Avv. Francesco

Carluccio;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato,

presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è

domiciliata;

– controricorrente –

e nei confronti di:

Equitalia Ce.Fo.Ri. s.p.a.;

– intimata –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale dell’Emilia Romagna n. 74/5/2012, depositata in data 22

agosto 2012;

udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 12 febbraio

2020 dal Consigliere Dott. Triscari Giancarlo;

Fatto

RILEVATO

che:

dall’esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: Equitalia Ce.Fo.Ri. s.p.a. aveva notificato a C.A., per conto dell’Agenzia delle entrate, una cartella di pagamento relativa ad un precedente avviso di accertamento riguardante una maggiore Iva e Irpef per l’anno di imposta 2004; avverso la cartella di pagamento la contribuente aveva proposto ricorso che era stato rigettato dalla Commissione tributaria provinciale di Rimini; avverso la pronuncia del giudice di primo grado la contribuente aveva proposto appello;

la Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna ha rigettato l’appello, in particolare ha ritenuto che: l’appellante aveva riproposto i motivi di impugnazione già prospettati dinanzi al giudice di primo grado e già sotto questo profilo l’appello doveva essere dichiarato inammissibile; in ogni caso, con riferimento al merito, la cartella di pagamento era stata regolarmente notificata alla contribuente, che l’aveva personalmente ricevuta, e la relata di notifica era completa degli elementi necessari; non sussistevano i prospettati vizi di nullità della cartella per mancanza di motivazione e difetto di sottoscrizione; anche l’avviso di accertamento prodromico alla cartella di pagamento era stato regolarmente notificato, con ricezione personale della contribuente, e lo stesso non era stato impugnato; era inammissibile, stante la definitività dell’avviso di accertamento, ogni questione relativa all’entità delle sanzioni;

avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso la contribuente affidato a quattro motivi di censura, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate depositando controricorso;

Equitalia Ce.Fo.Ri. s.p.a. è rimasta intimata;

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per omessa pronuncia e violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, e dell’art. 112, c.p.c., per non avere pronunciato sulla domanda di sospensione del giudizio onde consentire la proposizione della querela di falso, stante la difformità della firma apposta sulla relata di notifica dell’avviso di accertamento e della cartella di pagamento;

il motivo è inammissibile;

lo stesso, invero, è stato prospettato in violazione del principio di specificità, non avendo parte ricorrente riprodotto o richiamato l’atto difensivo con il quale era stata prospettata la domanda di sospensione del giudizio;

va peraltro ribadito il principio, più volte affermato da questa Corte, secondo cui il mancato esame da parte del giudice di una questione processuale, qual è quella in esame, non è suscettibile di dar luogo al vizio di omissione di pronuncia, che si configura esclusivamente nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito (Cass. civ., 14 marzo 2018, n. 6174; Cass. civ., 12 gennaio 2016, n. 321; Cass. civ., 10 novembre 2015, n. 22952) potendo profilarsi, invece, al riguardo, un vizio della decisione per violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c., se, ed in quanto, si riveli erronea e censurabile, oltre che utilmente censurata, la soluzione implicitamente data da detto giudice alla problematica prospettata dalla parte (Cass. civ., nn. 3927/02; Cass. civ., nn. 11919/02, 18147/02, 10073/03, 12433/04, 22860/04, 3667/06 e 4191/06);

parte ricorrente, sul punto, non ha coltivato in alcun modo la ragione di censura prospettata mediante la specifica indicazione delle previsioni normative di riferimento e la eventuale ritenuta violazione delle stesse, soprattutto sotto il profilo, secondo quanto è dato evincere dal presente motivo, della sussistenza di un obbligo di sospensione del giudizio sulla base della mera prospettazione della volontà di proporre querela di falso;

con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per mancanza e contraddittorietà della motivazione, nonchè per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, per avere ritenuto inammissibile l’appello essendosi la parte limitata a riproporre pedissequamente i motivi già dedotti in primo grado;

il motivo è fondato;

va osservato, primo luogo, che la prospettazione della mancanza e contraddittorietà della motivazione, come formulata nella rubrica del motivo, attiene, in realtà, al diverso vizio di motivazione, censurabile, ove ne sussistano i presupposti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), non già facendo valere il vizio di violazione di legge;

tuttavia, assume rilievo il profilo di censura consistente nella violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53;

va osservato che il passaggio motivazionale censurato costituisce una autonoma ratio decidendi della pronuncia, in quanto la stessa, dopo avere verificato che la contribuente aveva riproposto pedissequamente e senza alcuna novità i motivi di impugnazione già proposti in primo grado e respinti dai giudici di primo grado, ha affermato che già sulla base di tale osservazione, l’appello andrebbe respinto come inammissibile;

non si tratta, invero, di una mera affermazione priva di rilevanza decisoria, come potrebbe fare intendere l’uso del condizionale, sia in quanto l’affermazione di inammissibilità consegue, come detto, ad un accertamento del contenuto dei motivi di appello, sia in quanto, nel successivo periodo, la sentenza si esprime affermando che in ogni caso, passando all’esame dettagliato delle censure già mosse dalla contribuente nel giudizio di primo grado le stesse erano infondate nel merito;

l’utilizzo dell’inciso in ogni caso, implica una soluzione alternativa rispetto a quella prima affermata, sicchè la sentenza, in sostanza, si fonda su due rationes decidendi, di cui l’una, per quel che rileva, attiene alla valutazione dell’inammissibilità dei motivi di appello, profilo sul quale si incentra il presente motivo di censura;

ciò precisato, fa quindi ribadito il principio più volte espresso da questa Corte (Cass. civ., 11 febbraio 2020, n. 3194) secondo cui: “In tema di contenzioso tributario, la riproposizione, a supporto dell’appello proposto dal contribuente, delle ragioni di impugnazione del provvedimento impositivo in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado assolve l’onere di impugnazione specifica imposto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, atteso il carattere devolutivo pieno, nel processo tributario, dell’appello, mezzo quest’ultimo non limitato al controllo di vizi specifici, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito”;

il giudice del gravame non si è attenuto al suddetto principio, avendo ritenuto inammissibile l’appello della contribuente pur avendo rilevato che la stessa aveva riproposto, avverso la sentenza del giudice di primo grado, le medesime ragioni di doglianza già proposte con il ricorso introduttivo;

l’accoglimento del presente motivo di ricorso comporta l’assorbimento degli ulteriori motivi, in particolare: del terzo, con il quale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e 4), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, e della L. n. 212 del 2000, art. 7, per avere ritenuto assolto l’obbligo di motivazione della cartella di pagamento in quanto conforme al modello ministeriale; del quarto, con il quale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, e dell’art. 112, c.p.c., per non avere indicato, nella parte della sentenza relativa allo svolgimento del processo, le specifiche richieste delle parti, e per non essersi pronunciato su di esse;

in conclusione, va accolto il secondo motivo, inammissibile il primo, assorbiti i restanti, con conseguente cassazione della sentenza e rinvio alla Commissione tributaria regionale anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.

PQM

La Corte:

accoglie il secondo motivo, inammissibile il primo, assorbiti i restanti, cassa la sentenza censurata e rinvia alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 12 febbraio 2020.

Depositato in cancelleria il 29 maggio 2020

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