Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10264 del 20/05/2015


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 10264 Anno 2015
Presidente: PETTI GIOVANNI BATTISTA
Relatore: LANZILLO RAFFAELLA

SENTENZA

sul ricorso 24191-2011 proposto da:
DE RIU’ RAFFAELE DRERFL27A04G273R, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA COSSERIA 5, presso lo studio
dell’avvocato LAURA TRICERRI, che lo rappresenta e
difende unitamente agli avvocati FABRIZIO DEVESCOVI,
CORRADO DISO giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –

2015

447

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE 11210661002, in persona del
Direttore p.t., domiciliato ex lege in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

1

Data pubblicazione: 20/05/2015

STATO, che lo rappresenta e difende per legge;
– controricorrente nonchè contro

MINISTERO ECONOMIA FINANZE 80415740580, AGENZIA DELLE
ENTRATE DIREZIONE REGIONALE FRIULI VENEZIA GIULIA,

– intimati –

avverso la sentenza n. 35/2011 della CORTE D’APPELLO
di TRIESTE, depositata il 01/02/2011 R.G.N. 534/08;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza

del

18/02/2015

dal

Consigliere

Dott.

RAFFAELLA LANZILLO;
udito l’Avvocato FABRIZIO DEVESCOVI;
udito l’Avvocato LORENZO D’ASCIA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RICCARDO FUZIO che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

2

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO LOCALE TRIESTE ;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione del 2003 Raffaele De Riu ha convenuto
davanti al Tribunale di Trieste il Ministero dell’economia e
delle Finanze, l’Agenzia delle Entrate – Direz. Centrale e
direzioni regionali di Trieste e del Friuli Venezia Giulia,

4.763.497,38, addebitando loro di avergli impedito di usufruire
del condono di cui alla legge n. 289 del 2002, con il loro
comportamento colposo.
Fra il 1986 e il 1989 aveva ricevuto dall’Ufficio distrettuale
delle imposte dirette di Trieste – poi divenuto Ag. Entrate sei avvisi di accertamento di imposte relative agi anni 19801985, a seguito della rettifica delle sue dichiarazioni dei
redditi mediante inclusione fra i suoi redditi personali di
quelli prodotti da due società di cui era socio, che l’Ufficio
ha ritenuto fittizie ed in realtà attinenti ad attività da lui
svolte personalmente.
Egli ha proposto opposizione alle suddette cartelle e,
sopraggiunta la legge n. 413/1991 che all’art. 34 consentiva di
condonare le controversie tributarie, ha proposto istanza di
condono, pagando a questo titolo £
ottenuta

2.840.248.000, somma

detraendo dall’importo dovuto le somme pagate negli

anni precedenti dalle due società a titolo di Irpeg e di Ilor.
La detrazione è avvenuta sulla

base di

un certificato

rilasciato il 16.4.1992 dall’Ufficio delle imposte dirette di
Trieste, il quale attestava ai sensi dell’art. 59 legge 30
3

chiedendone la condanna al risarcimento dei danni in

dicembre 1991 n. 413 che i redditi prodotti dalle due società,
essendo stati imputati al De Riu, non dovevano essere ad esse
attribuiti, ed elencava le somme che le società avevano
pagato a titolo di Irpeg e Ilor, per gli effetti di cui
all’art. 34 legge n. 413 cit., quindi agli effetti del condono.
L’importo pagato da contribuente per il condono del 1992, al
netto della compensazione, è stato pari a £ 2.840.248.000.
Successivamente, il 7 maggio ed il 2 giugno 1994 l’ufficio
delle imposte ha emesso a carico del De Riù due cartelle di
pagamento

una per £ 7.564.017.000 e l’altra per £

2.948.128.930, in addebito di Irpef e Ilor pagate dalle società
fittizie – cioè le somme che il contribuente aveva compensato,
sulla base della recedente dichiarazione – con l’aggiunta di
interessi, soprattasse e sanzioni, affermando che non ne era
ammessa la compensazione.
Il De Riù ha

impugnato le due cartelle, instaurando un

processo conclusosi con sentenza n. 4958/2000 della Corte di
cassazione, che ha respinto la domanda.
Altro processo avente ad oggetto la domanda di restituzione
delle somme già versate a titolo di Irpeg e Ilor dalle società
ritenute fittizie, si è concluso con raccoglimento della
domanda con sentenza della Commissione Tributaria provinciale
di Trieste, confermata dalla Commissione regionale del Friuli
Venezia Giulia con sentenza depositata in data 11.12.2002 e
notificata il 20.12 successivo, che ha condannato l’Agenzia
delle entrate a provvedere al rimborso.
4

Il ricorso in Cassazione dell’Agenzia delle Entrate è stato
respinto con sentenza n. 10835/2005.
Nelle more fra la decisione di secondo grado e quella della
Corte di cassazione è sopraggiunta la legge 27 dicembre 2002
n. 289, il cui art. 12 ha ammesso l’estinzione dei debiti verso

importi iscritti a ruolo.
Il De Riù ha sollecitato l’Agenzia debitrice ad effettuare il
rimborso delle imposte – a lui spettante in virtù della
sentenza della Commissione Tributaria Regionale – direttamente
in favore dell’Agenzia di Trieste, creditrice dell’importo
delle due cartelle emesse nel 1994, che si erano nel frattempo
incrementate di interessi di mora e soprattasse, quanto meno
fino a concorrenza dell’importo occorrente per la definizione
agevolata (E 1.587.832,46), assumendo di non avere denaro per
procedere direttamente al pagamento della somma occorrente per
la conciliazione della vertenza ai sensi della legge n.
289/2002.
L’Agenzia delle Entrate non ha aderito alla richiesta e ha
proposto il ricorso per cassazione.
Da qui la domanda di risarcimento dei danni proposta dal De Riù
nel 2003 per l’importo di C 4.763.497,38, somma che avrebbe
potuto risparmiare se si fosse potuto avvalere della
definizione agevolata della controversia con il fisco, di cui
alla legge n. 289/2002.

5

le esattorie mediante il pagamento in via bonaria del 25% degli

Il titolo della responsabilità è stato indicato nella
violazione delle norme della legge 27 luglio 2000 n. 212Statuto dei diritti del contribuente, ed in particolare degli
art. 10 e 11 dello Statuto sul dovere di collaborazione e di
buona fede a cui l’amm.ne finanziaria deve improntare il suo

La somma chiesta in risarcimento è pari alla differenza fra
l’importo del debito oggetto di contestazione e ciò che il De
Riù avrebbe dovuto pagare per la conciliazione al 25%.
Hanno resistito alla domanda il Ministero dell’Economia e
l’Agenzia delle Entrate sollevando varie eccezioni di rito e di
merito, proponendo domanda riconvenzionale di quantificazione
dei danni che il De Riù era stato condannato a risarcire
all’Agenzia in altro processo, con sentenza limitata all’an
debeatur.
Con sentenza n. 1342/2007 il Tribunale ha respinto la domanda
attrice ed ha accolto la riconvenzionale, condannando il De Riù
a pagare all’amm.ne finanziaria C 164.233,20 in risarcimento
dei danni.
Proposto appello dal De Riù, con sentenza 1 0 dicembre 2010 – l °
febbraio 2011 n. 35, notificata il 22 giugno 2011, la Corte di
appello di Trieste, in parziale riforma della sentenza di primo
grado, ha ridotto ad E 9.296,22, oltre interessi e
rivalutazione, la somma spettante in risarcimento all’amm.ne
finanziaria e ha respinto le altre domande dell’appellante,
ponendo a carico dello stesso le spese processuali.
6

comportamento.

La Corte ha ritenuto inoperante il principio dell’affidamento,
con la motivazione che il De Riù non aveva fatto acquiescenza
alle cartelle esattoriali del 1986-89; che il contenzioso sul
punto era ancora pendente alla data in cui la Corte di
cassazione, con sentenza n. 4958/2000, ha respinto il ricorso

giudizio relativo al suo diritto al rimborso delle somme
versate dalle società si è concluso in suo favore solo con la
sentenza n. 10835/2005 della Corte di cassazione; che comunque
l’amm.ne finanziaria non ha tenuto un comportamento incoerente
e ingannevole, perché il certificato 16.4.1992 dell’Ufficio
delle Imposte non aveva l’effetto di definire nell’an e nel
quantum i diritti del contribuente e nulla ha a che vedere con
il condono del 2002.
Ha poi escluso che il De Riù abbia fornito la prova della sua
impossibilità di usufruire del condono in assenza di rimborso.
Il De Riù propone due motivi di ricorso illustrati da memoria.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
Motivi della decisione

1.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione degli
art. 3, 24, 53 e 97 Cost.; 8, 10 e 11 della legge 27 luglio
2000 n. 212 sullo Statuto del contribuente; 2043 cod. civ.;
nonché insufficiente motivazione e omesso esame di documenti,
nel capo in cui la Corte di appello ha escluso che l’Agenzia
delle Entrate sia incorsa nella violazione dei doveri di
correttezza e buona fede nei rapporti con esso contribuente,
7

contro le cartelle esattoriali emesse nel 1994, e che il

sia in relazione alle vicende svoltesi

fino al 1992, dalle

quali è nato l’ingente debito fiscale a suo carico; sia in
relazione al comportamento tenuto in occasione delle
agevolazioni concesse ai contribuenti dalla legge 27 dicembre
2002 n. 289, che gli ha impedito di avvalersi delle suddette

Con il secondo motivo denuncia violazione degli art. 2056, 1227
e

2697 cod. civ., nel capo in cui la Corte di appello ha

escluso che l’appellante e odierno ricorrente abbia fornito la
prova del nesso causale fra gli

inadempimenti imputati

all’Agenzia delle Entrate e il danno da lui risentito, ed ha
escluso che abbia fornito la prova dei danni.
2.-

I due motivi, che vanno congiuntamente esaminati perché

connessi, non sono fondati.
3.- Va premesso che le domande proposte dal ricorrente nel
presente giudizio – sfrondate da tutte le lamentele, le censure
e gli addebiti

(pur in gran parte giustificati), che vengono

rivolti ai pregressi comportamenti del fisco nei suoi confronti
e che hanno condotto all’emissione delle cartelle esattoriali
relative al suo debito – hanno per oggetto esclusivamente il
risarcimento dei danni che egli assume di avere subìto per il
fatto che nell’ottobre 2003 – trovandosi a dover rispondere di
cartelle esattoriali per l’importo complessivo di oltre E
non ha potuto usufruire dell’opportunità

6.350.000,00 –

offerta dall’art. 12 della legge 27 dicembre 2002 n. 289, chtr ,
_2^-t- –

*O

di estinguere
8

i debiti verso le

agevolazioni.

Esattorie mediante il pagamento del 25% degli importi iscritti
a ruolo, in quanto l’Agenzia delle Entrate, debitrice nei suoi
confronti di un’ingente somma, non ha dato corso alla sua
richiesta che detta somma gli venisse versata direttamente
presso l’Agenzia delle Entrate di Trieste, presso la quale egli

fino a concorrenza dell’importo richiesto dalla legge allo
scopo che, nel suo caso ammontava ad E 1.587.832,46.
Ha dedotto che il mancato pagamento, nonostante la sua formale
diffida, con riserva di azione per danni, gli ha impedito di
saldare il debito verso il fisco, non avendo egli disponibilità
di denaro, anche a causa dei precedenti, illeciti comportamenti
degli uffici tributari.
Ha quindi quantificato la somma dovutagli in risarcimento
nell’importo di E 4.763.497,38, pari alla differenza fra il
totale da lui dovuto al fisco nel 2002 e la minor somma di C
1.587.832,46, con la quale avrebbe potuto estinguere il suo
debito in forza delle agevolazioni (nella sostanza, un vero e
proprio condono) di cui all’art. 12 legge n. 289/2002 cit.
4.- In relazione a tali domande, che

si ripete

costituiscono l’oggetto diretto e immediato del giudizio – la
sentenza impugnata non è meritevole di censura.
La Corte di appello ha ritenuto insussistente l’illecito sul
rilievo che, alla data della richiesta di pagamento, il debito
del fisco nei confronti del ricorrente non era ancora certo,
in quanto la sentenza emessa in appello dalla Commissione
9

avrebbe dovuto procedere all’estinzione agevolata, quanto meno

tributaria centrale, che detto credito aveva riconosciuto, era
ancor suscettibile di impugnazione ed è stata effettivamente
impugnata con ricorso alla Corte di cassazione, la quale ha
respinto il ricorso e confermato il buon diritto del ricorrente
solo alcuni anni dopo, con sentenza n. 10835/2005.
ricorrente

non

ha

prospettato,

a

tal

proposito,

argomentazioni sufficienti a dimostrare che il rifiuto di dare
esecuzione alla sentenza prima del suo definitivo passaggio in
giudicato fosse di per sé ingiustificabile, o contrario a buona
fede, o comunque illecito.
Gli addebiti e le censure rivolti all’Agenzia delle Entrate si
riferiscono pressoché esclusivamente ai rapporti pregressi, dai
quali è derivata l’ingente esposizione del De Riù nei confronti
del fisco. Ma, in relazione a tali comportamenti, non è stata
formulata né dimostrata specifica domanda di risarcimento dei
danni, come si dirà fra breve

(infra, §‘).

4.1.- Ancor più decisivo è il rilievo della Corte di appello
circa l’insussistenza della prova del nesso causale fra
l’illecito e il danno, per il fatto che la mera dichiarazione
del De Riù di non avere denaro per provvedere al condono non
costituisce di per sé prova sufficiente dell’impossibilità da
parte sua di provvedere al condono.
E’ appena il caso di ricordare il principio

“genus numquam

perit” che – soprattutto in un’economia di mercato – sta alla
base del carattere oggettivamente ingiustificato che viene
sempre e comunque assegnato al mancato pagamento di cose
10

Il

k,

fungibili, ed in particolare di somme di denaro, per cui il
debitore non può addurre come causa di giustificazione del suo
inadempimento o di altro comportamento doveroso il semplice
fatto di non avere denaro, ma è tenuto a dimostrare le
circostanze eccezionali, imprevedibili ed insuperabili con

le somme necessarie a far fronte alle sue obbligazioni, o
comunque di procurarsele sul mercato, ricorrendo ad apposito
finanziamento.
Nella specie, come ha sostanzialmente ritenuto la Corte di
appello, il De Riù avrebbe dovuto quanto meno dedurre, oltre
che dimostrare, le ipotetiche circostanze eccezionali che gli
hanno impedito di procurarsi la somma necessaria per provvedere
al condono: se per esempio tutti i suoi beni fossero stati
assoggettati a sequestro o a divieti del giudice di procedere a
qualunque pagamento (pur se è difficile ipotizzare che gli
sarebbe stato vietato anche di pagare le imposte, pur se
tramite un condono); se avesse dimostrato di avere richiesto
finanziamenti bancari, senza poterli ottenere, a causa di una
sua ipotetica posizione personale di incapienza, e così via).
Vale a dire, anche ammessa l’illiceità del rifiuto dell’Agenzia
delle Entrate di pagare (anticipatamente) il suo debito, il De
Riù

non

avrebbe

potuto

acquetarvisi,

trasferendo

automaticamente sulla debitrice il danno conseguente al mancato
condono,

ma avrebbe

dovuto attivarsi per procurarsi

altrimenti il denaro, sì da poter addebitare al fisco – una
11

l’ordinaria diligenza che gli abbiano impedito di accantonare

k.

volta acquisito definitivamente il suo credito – tutti gli
oneri e le spese incontrati per procurarsi altrimenti la somma
necessaria a far fronte al condono.
Che questo

sia il danno risarcibile nei casi in cui il

creditore non possa far fronte ad un suo debito a causa

generali in materia, ma anche da specifica norma dello Statuto
del contribuente, che al 4 0 coma dell’art. 8 dispone che
l’amm.ne finanziaria è tenuta a rimborsare al contribuente il
costo delle fideiussioni che questi abbia dovuto contrarre per
pagare i tributi od ottenerne la rateizzazione, quando si
dimostri che l’imposta non era dovuta.
Nel nostro sistema economico-giuridico la mera affermazione
“non avevo denaro” non vale come causa di giustificazione del
mancato pagamento di un debito: soprattutto con riferimento a
persona facoltosa, residente in un paradiso fiscale e titolare
di varie imprese in Italia, i cui debiti fiscali – per quanto
onerosi, ingiustificati o vessatori – si valutavano nell’ordine
di milioni di euro, facendo pensare ad introiti di analogo
ordine di grandezza.
5.- Per quanto concerne, quindi, la domanda risarcitoria che
costituisce diretto e immediato oggetto di controversia, la
sentenza impugnata non può che essere confermata.
Se il De Riù, non avendo ricevuto dall’Agenzia delle Entrate il
rimborso di guanto indebitamente pagato in precedenza, ha
rinunciato al condono del 2002 e non ha dimostrato in giudizio
12

dell’inadempimento del debitore risulta non solo dai principi

la sua impossibilità di procurarsi

i mezzi economici e per

procedervi, lo ha fatto a suo rischio e pericolo, e non può
:

riversare sulla controparte il danno conseguente.
l

6.- Quanto agli altri illeciti che il ricorrente addebita
all’Agenzia delle Entrate, per violazione dei doveri di

essi risultano assorbiti, a fronte della mancanza di una
specifica domanda di condanna al risarcimento dei danni ad essi
direttamente correlata.
Vero è che la motivazione della sentenza impugnata è evasiva e
tutt’altro che soddisfacente, nella parte in cui ha escluso
che il comportamento dell’Ufficio delle imposte di Trieste
abbia creato un ingiustificato affidamento nel De Riù, allorché
– su apposito interpello di quest’ultimo – ha rilasciato il
certificato del 16.4.1992, elencando le somme pagate per Irpeg
e Ilor dalle due società ritenute fittizie con esplicito
richiamo dell’art. 34 della legge n. 413/1991, che riguardava
il condono fiscale, e dell’art. 59 della legge stessa, che
riguardava le modalità di calcolo della somma dovuta per
ottenere il condono, specificando che gli importi dovuti sulle
annualità definite dovevano essere calcolati al netto degli
importi pagati dal contribuente.
non conteneva alcuna riserva circa

Tale documento – che

l’applicabilità della compensazione alla peculiare fattispecie
riguardante il De Riù

era indubbiamente idoneo a indurre in

errore il contribuente sulla possibilità della compensazione.
13

correttezza e buona fede di cui allo Statuto del contribuente,

Sicché l’emissione di altre due cartelle per quasi dieci
miliardi di lire, fra capitale, penali, sanzioni e interessi di
mora, a distanza di due anni, con la motivazione che gli
importi compensati in sede di condono in realtà non erano
compensabili, ha costituito un comportamento oggettivamente in

e amministrazione sono improntati al principio della
collaborazione e della buona fede”

(art. 10, l ° comma, Stat.

contrib.).
La normativa in materia di compensazione era probabilmente poco
chiara e l’Agenzia delle Entrate può anch’essa cadere in errori
di interpretazione.
Ciò che non è consentito è scaricare sul contribuente le
conseguenze dannose di tali errori, dopo averlo indotto ad
uniformarvisi.
L’Agenzia delle Entrate avrebbe dovuto invece uniformarsi al
principio per cui

“Non sono irrogate sanzioni, né richiesti

interessi moratori, al contribuente, qualora egli si sia
conformato a indicazioni contenute in atti dell’amministrazione
finanziaria, ancorché successivamente modificate
dall’amministrazione medesima”
contribuente), e

(art. 10, 2 ° comma, Statuto del

“Le sanzioni non sono comunque irrogate

quando la violazione dipende da obiettive condizioni di
incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della
norma tributaria….”
“Limitatamente

alla

(art. 10, 3 ° comma). Ed ancora,
questione
14

oggetto

dell’istanza

di

contrasto con il principio per cui “I rapporti tra contribuente

interpello, non possono essere irrogate sanzioni nel confronti
del

contribuente

che

non

abbia

l dall’amministrazione finanziaria…”

ricevuto

risposta

(art. 11, 3 ° comma, Stat.

Contrib.): quindi, a maggior ragione, a colui che si sia
uniformato alla risposta ricevuta.

1992 e 1994, allorché si sono verificati i comportamenti di cui
sopra. Ma erano certamente in vigore le regole

di correttezza

e di buona fede, oltre che gli elementari principi di buon
senso e di rifiuto delle prevaricazioni, ad esse sottostanti, a
cui l’intero sistema giuridico si deve uniformare nel regolare

i rapporti fra i cittadini, ed in particolare i rapporti fra
questi e la pubblica amministrazione.
Sotto questo profilo, pertanto, le doglianze del ricorrente
sono fondate e avrebbero potuto essere assecondate.
Resta il fatto che, si ripete, il ricorrente non ha proposto
nelle competenti sedi di merito specifica domanda di
risarcimento dei danni, congruente con la natura dell’illecito
denunciato ed autonoma rispetto a quella avente ad oggetto il
condono del 2000; non ha chiesto che venissero dichiarate
illegittime le sanzioni irrogategli per avere proceduto alla
compensazione, uniformandosi al certificato del 16.4.1992; non
ha chiesto la restituzione delle somme pagate a quel titolo e
non ne ha quantificato l’importo.

15

Vero è che tali norme non erano ancora in vigore negli anni

Correttamente, quindi, la Corte di appello si è pronunciata
esclusivamente sulla domanda di risarcimento dei danni relativa
al mancato condono del 2002.
Si rileva, peraltro, che lo stesso ricorrente ha dichiarato
che, in accoglimento della sua domanda di recupero delle

Tributaria Regionale di Trieste, con sentenza n. 58/01/08,
depositata il 23 gennaio 2008, gli ha riconosciuto il diritto
al pagamento di e 4.074.040,81 per capitale e di C 5.959.368,43
a titolo di interessi, oltre agli interessi anatocistici a
decorrere dal 21 settembre 2002, oltre al rimborso delle spese
di causa in e 60.000,00 con gli interessi legali dal 9 novembre
2007 (Ricorso, pag. 25).
Al di là di ogni valutazione, quindi, í torti da lui subiti
hanno trovato un parziale (ma non irrilevante) ristoro.
7.- Il ricorso è respinto.
8.- Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione,
liquidate complessivamente in e 10.200,00, di cui C 200,00 per
esborsi ed E 10.000,00 per onorari; oltre al rimborso delle
spese generali ed agli accessori di legge.
Roma, 18 febbraio 2015

imposte pagate dalle società ritenute fittizie, la Commissione

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