Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10264 del 10/05/2011

Cassazione civile sez. lav., 10/05/2011, (ud. 14/04/2011, dep. 10/05/2011), n.10264

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – rel. Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e difesa

dall’avvocato TOSI PAOLO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

F.F.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 671/2006 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 22/05/2006, r.g.n. 2033/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/04/2011 dal Consigliere Dott. PIETRO CURZIO;

udito l’Avvocato ANNA BUTTAFOCO per delega PAOLO TOSI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1. Poste italiane spa chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’appello di Torino, pubblicata il 22 maggio 2006, che ha respinto l’appello e quindi confermato la decisione del Tribunale di Vercelli che aveva accolto il ricorso di F.F., dichiarando la nullità del termine apposto ai contratto di lavoro stipulato tra le parti per il periodo 20 marzo 2002 – 30 aprile 2002 condannando la società a corrispondere le retribuzioni alla lavoratrice dalla data di messa in mora.

2. Il ricorso è articolato in due motivi. La F. non ha svolto attività difensiva. Poste ha depositato una memoria per l’udienza.

3. Con il primo motivo la società ricorrente denunzia, congiuntamente, una violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 11 (nel quesito indicato come 1) e dell’art. 1362 ss. c.c., nonchè un vizio di “contraddittoria e omessa pronuncia” in ordine ad un punto decisivo della controversia.

4. Il motivo non è specifico in quanto fonde due distinti motivi di possibile impugnazione per cassazione di una sentenza (violazione di legge, ex art. 360 c.p.c., n. 3 e vizio di motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5), senza precisarne i diversi contorni.

5. Peraltro il vizio di motivazione è prospettato in termini di “contraddittoria ed omessa pronuncia in ordine ad un punto decisivo della controversia”, laddove è evidente che una motivazione, su di un medesimo punto della controversia, non può, al tempo stesso, mancare ed essere di contenuto contraddittorio.

6. Nell’esposizione del motivo ci si concentra, in realtà, sul vizio di violazione di legge assumendo che la Corte avrebbe violato la norma del decreto legislativo che consente l’apposizione del termine a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, purchè tali ragioni siano specificate per iscritto.

7. La violazione consisterebbe nel fatto che la Corte non ha ritenuto specifiche le ragioni indicate nel contratto pur in presenza di un rinvio agli accordi sindacali succedutisi nel tempo. Il contratto infatti, a tal fine, richiamava espressamente agli accordi del 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001 e 11 gennaio, 13 febbraio e 17 aprile 2002.

8. In sede di memoria la società ha fatto rilevare che,in una recente decisione di questa Corte, tale rinvio è stato ritenuto sufficiente a specificare, come vuole la norma su richiamata, le ragioni a fondamento della apposizione del termine.

9. In effetti, nella sentenza 1 febbraio 2010, n. 2279, questa Corte ha ritenuto che la specificazione può risultare “anche indirettamente” mediante il rinvio ad accordi collettivi.

10. E’ opportuno però richiamare la motivazione di tale decisione per evitare interpretazioni che vadano oltre i puntuali limiti nella stessa fissati.

11. La sentenza si esprime così: “Il collegio ritiene peraltro che siffatta specificazione delle ragioni giustificatrici del termine può risultare anche indirettamente nel contratto di lavoro e da esso per relationem in altri testi scritti accessibili alle parti, in particolare nel caso in cui, data la complessità e la articolazione del fatto organizzativo, tecnico o produttivo che è alla base della esigenza di assunzioni a termine, questo risulti analizzato in documenti specificatamente ad esso dedicati per ragioni di gestione consapevole e/o concordata con i rappresentanti del personale.

Ciò che la ricorrente deduce essere avvenuto nel caso in esame, in cui il contratto di lavoro del L. (che pur enuncia, nella prima parte, solo genericamente motivi attinenti ad esigenze aziendali) fa riferimento, per precisarne in concreto la portata, “all’attuazione delle previsioni di cui agli accordi 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001 e 11 gennaio 2002 anche ai sensi dell’accordo 13 febbraio e 17 aprile 2002”. Da tali accordi, come riprodotti dalla difesa della società nelle parti di interesse (nel rispetto del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione), si desumerebbe infatti l’attivazione, nel periodo dagli stessi considerato e nell’abito del processo di ristrutturazione in atto, di processi di mobilità del personale all’interno dell’azienda al fine di riequilibrane la distribuzione su tutto il territorio nazionale nonchè quanto alle mansioni, da posizioni sovradimensionate, in genere di staff, verso il servizio di recapito, carente di personale.

In tale contesto, secondo la ricorrente, l’accordo 17 ottobre 2001, sul punto implicitamente richiamato anche nelle sede contrattuali successive, prevedrebbe che “La società potrà continuare a ricorrere all’attivazione di contratti a tempo determinato per sostenere il livello di servizio di recapito durante la fase di realizzazione dei processi di mobilità di cui al presente accordo, ancorchè nella prospettiva di ridurne gradualmente l’utilizzo”.

Infine, con l’ulteriore indicazione nel contratto del L. della sede lavorativa e delle mansioni cui era assegnato, risulterebbero, secondo la ricorrente, sufficientemente specificate le ragioni giustificative della clausola oppo-sitiva del termine alla sua assunzione.

Attraverso il richiamo agli accordi collettivi citati, il contratto di lavoro del L., specificherebbe infatti, con riferimento alla sede di lavoro e alla posizione lavorativa di questi, che la causale del termine consiste nella necessità di coprire, temporaneamente e fino al progressivo esaurimento del processo di mobilità interaziendale di cui agli accordi medesimi, posizioni di lavoro scoperte, su tutto il territorio nazionale, presso il servizio recapito della società e quindi per ciò che riguarda mansioni e qualifiche ben individuate.

Ciò posto, il collegio rileva che i giudici di merito hanno omesso di esaminare gli elementi di specificazione emergenti dal contratto alla luce delle deduzioni della società, al fine di valutarne l’effettiva sussistenza nonchè la sufficienza sul piano della ricorrenza o meno del requisito di cui al D.Lgs. cit., art. 1, comma 2, contenendo sostanzialmente il loro giudizio di genericità all’interno della sola prima parte della causale enunciata nel contratto di lavoro determinato del L. Per tali motivi e nei limiti di essi, il ricorso va accolto, con la precisazione che, ove i giudici di merito, cui la causa va rinviata, valutino come sufficientemente specificata la causale, l’onere probatorio relativo alla effettiva ricorrenza nel concreto degli elementi così individuati, ivi compresa l’effettiva destinazione del L. nel corso del rapporto presso la sede di lavoro indicata, con la qualifica e le mansioni conseguenti, graverà sulla società datrice di lavoro e dovrà essere assolto sulla base della documentazione ritualmente acquisita al processo e della prova testimoniale dedotta, che la Corte territoriale ha erroneamente non ammesso, in quanto non ne ha esaminato la specificità e rilevanza alla luce dei principi qui indicati”.

12. Poste italiane spa nella memoria del 23 marzo 2011 richiama tale decisione, ma in modo parziale.

13. Infatti, dopo aver riportato la premessa generale sulla possibilità che la specificazione risulti anche da testi diversi dal contratto individuale ed eventualmente da contratti ed accordi collettivi espressamente richiamati, la memoria di Poste afferma: “e dagli accordi citati – chiarisce la Suprema Corte -“(…)si desumerebbe infatti l’attivazione, nel periodo dagli stessi considerato e nell’ambito del processo di ristrutturazione in atto, di processi di mobilità del personale all’interno dell’azienda al fine di riequilibrane la distribuzione su tutto il territorio nazionale nonchè quanto alle mansioni, da posizioni sovradimensionate, in genere di staff, verso il servizio di recapito, carente di personale”.

14. Questa citazione, però, estrapolando un pezzo della motivazione in cui peraltro la Corte sta esponendo la posizione della ricorrente di quel giudizio, rischia di non farne intendere il contenuto in tutti i suoi passaggi e con tutte le sue delimitazioni.

15. In primo luogo, omette di riportare l’importante precisazione, formulata immediatamente prima del testo estrapolato, con la quale questa Corte ha premesso che, affinchè la censura possa essere considerata ammissibile, è necessario che tali accordi siano stati “riprodotti dalla difesa della società nelle parti di interesse (nel rispetto del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione)”.

16. Ciò non è accaduto nel caso in esame e tale omissione è sufficiente a rendere inammissibile il motivo di ricorso, senza che risulti necessario verificare la sussistenza(nel caso in esame, delle altre condizioni e precisazioni che la Corte nella sentenza su riportata ha formulato a precisazione del principio di diritto affermato.

17. Con il secondo motivo la società ricorrente denunzia, ancora una volta congiuntamente e non distintamente, vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione e violazione di legge (art. 12 preleggi c.c., art. 1419 c.c., D.Lgs. 368 del 2001, art. 1 art. 115 c.p.c.), formulando il seguente quesito di diritto: “se costituisca omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, ovvero violazione e falsa applicazione degli articoli di legge su riportati, in mancanza dei presupposti per l’assunzione a termine, dichiarare la nullità della clausola del contratto di assunzione appositiva del termine convertendo il rapporto di lavoro a tempo indeterminato”.

18. La soluzione del quesito è nel senso contrario alla tesi della società ricorrente e conforme a quanto ritenuto dalla Corte di Torino. A tal fine è sufficiente richiamare le ragioni esposte da Cass. 21 maggio 2008, n. 12985, che ha affermato il seguente principio di diritto: “Il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, anche anteriormente alla modifica introdotta dalla L. n. 247 del 2007, art. 39, ha confermato il principio generale secondo cui il rapporto di lavoro subordinato è normalmente a tempo indeterminato, costituendo l’apposizione del termine un’ipotesi derogatoria pur nel sistema, del tutto nuovo, della previsione di una clausola generale legittimante l’apposizione del termine “per ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”. Pertanto, in caso di insussistenza delle ragioni giustificative del termine, e pur in assenza di una norma che sanzioni espressamente la mancanza delle dette ragioni, in base ai principi generali in materia di nullità parziale del contratto e di eterointegrazione della disciplina contrattuale, nonchè alla stregua dell’interpretazione dello stesso art. 1 citato nel quadro delineato dalla direttiva comunitaria 1999/70/CE (recepita con il richiamato decreto), e nel sistema generale dei profili sanzionatori nel rapporto di lavoro subordinato, tracciato dalla Corte cost. n. 210 del 1992 e n. 283 del 2005, all’illegittimità del termine ed alla nullità della clausola di apposizione dello stesso consegue l’invalidità parziale relativa alla sola clausola e l’instaurarsi di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato (principio applicato in fattispecie di primo ed unico contratto a termine)”.

19. Peraltro, che la declaratoria nullità del termine apposto al contratto di lavoro comporti la “conversione” del rapporto è oggi affermato dal legislatore con la L. n. 183 del 2010, il cui art. 32, utilizza specificamente questa espressione.

20. Quanto infine, alla richiesta, contenuta nella lettera b) delle note della società ricorrente, di sostituire la condanna al risarcimento del danno comminata dalla Corte d’appello con l’indennità prevista dall’appena richiamato L. n. 183 del 2010, art. 32 deve rilevarsi che questa Corte ha, da un lato, affermato l’applicabilità anche in sede di giudizio di cassazione di tale norma, ma, dall’altro, ha sottolineato che, affinchè ciò sia possibile, la decisione sul capo relativo al risarcimento del danno non deve essere passata in giudicato.

21. Il principio di diritto affermato è il seguente: “In tema di rapporto di lavoro a termine, l’applicazione retroattiva della L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 5, – il quale ha stabilito che, in caso di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al pagamento di una “indennità onnicomprensiva” compresa tra 2, 5 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nella L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8 -, prevista dal successivo comma 7 del medesimo articolo in relazione a tutti i giudizi, compresi quelli pendenti alla data di entrata in vigore della legge, trova limite nel giudicato formatosi sulla domanda risarcitoria a seguito dell’impugnazione del solo capo relativo alla declaratoria di nullità del termine, e non anche della ulteriore statuizione relativa alla condanna al risarcimento del danno, essendo quest’ultima una statuizione avente individualità, specificità ed autonomia proprie rispetto alle determinazioni concernenti la natura del rapporto” (Cass. 3 gennaio 2011, n. 65).

22. Nel caso in esame, il capo della decisione relativo al risarcimento del danno è passato in giudicato in quanto non è stato oggetto di specifica censura nel ricorso per cassazione.

23. Il ricorso deve pertanto essere rigettato. Nulla sulle spese perchè l’intimata non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2011

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