Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10263 del 19/04/2021

Cassazione civile sez. I, 19/04/2021, (ud. 12/01/2021, dep. 19/04/2021), n.10263

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francersco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11481/2017 proposto da:

C. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

nonché C.D., personalmente ed unitamente a C.M.

e S.P., elettivamente domiciliati in Roma, Corso Trieste

n. 87, presso lo studio dell’avvocato Antonucci Arturo, che li

rappresenta e difende unitamente agli avvocati Vassalle Roberto,

Virgili Francesca, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

DoBank S.p.a., (già Unicredit Credit Management Bank S.p.a.), quale

mandataria di As. Finance S.p.a., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

Carlo Mirabello n. 18, presso lo studio dell’avvocato Quintarelli

Alfonso, rappresentata e difesa dall’avvocato Prisco Beatrice,

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 268/2017 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

pubblicata il 22/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/01/2021 dal cons. Dott. NAZZICONE LOREDANA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 22 febbraio 2017 la Corte d’appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha condannato la società correntista ed i suoi fideiussoro al pagamento della somma di Euro 83.159,87, oltre accessori.

Avverso questa decisione hanno proposto ricorso per cassazione i medesimi, sulla base di un motivo, illustrato da memoria.

Resiste con controricorso l’intimata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – L’unico motivo del ricorso deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., per avere la corte territoriale condannato i ricorrenti a pagare una somma alla banca pur in assenza di domanda, trattandosi di un importo dovuto a titolo di indebito, domanda non riproposta in appello; mentre la banca aveva fatto, inizialmente, valere la sua pretesa con ricorso per decreto ingiuntivo con riguardo al saldo passivo di due conti correnti, ad una apertura di credito e ad un contratto di finanziamento, e poi nel giudizio di opposizione, in cui non possono però formularsi riconvenzionali, quale quella di pagamento dell’indebito, una volta ritenuta la nullità dei contratti per difetto di forma: un contratto nullo, infatti, non può costituire titolo per pagare alcunchè, nè la condanna avrebbe potuto fondarsi su quella iniziale, che presupponeva invece la validità dei contratti in questione.

2. – Il giudice d’appello, per quanto ancora rileva, ha ritenuto, con riguardo ad un primo contratto di conto corrente (n. (OMISSIS)), che, in difetto di forma scritta, fossero nullo parzialmente, con riguardo alle clausole sugli interessi ultralegali, anatocistici e sulla c.m.s., onde, operato il ricalcolo con l’espunzione delle somme non dovute, il credito relativo in capo alla banca ammontasse ad Euro 63.214,34; quanto al secondo conto corrente (n. (OMISSIS)), nessun credito ha reputato residuare in capo alla banca, nonostante la domanda di ripetizione di indebito svolta in via subordinata, essendo emerso un credito a favore della società (Euro 2.623,05); del pari, nulla ha riconosciuto alla banca con riguardo al contratto di apertura di credito; infine, circa il contratto di finanziamento, ha ritenuto il medesimo nullo “per difetto del requisito formale”, ma comunque dovuta la somma residua di sorte capitale, mai restituita, pari ad Euro 22.478,58.

Ha concluso per un credito della banca di Euro 83.159,87, oltre accessori.

3. – Ciò posto, il motivo di ricorso è infondato.

Nessuna violazione dei principi invocati ha compiuto la decisione impugnata, una volta che – caducato il decreto ingiuntivo – ha proceduto al calcolo delle somme dovute nei quattro rapporti intercorsi fra le parti.

La domanda di pagare a titolo restitutorio, azionata dalla banca sin dal ricorso monitorio, era invero in grado di fondare la condanna operata, che è avvenuta proprio a titolo di restituzione delle somme dovute, in parte quale saldo passivo di conto corrente e, per la restante parte, a titolo di restituzione della somma mutuata ex art. 1813 c.c., spettando al giudice la qualificazione della pretesa.

Anche dalla nullità, così come dalla risoluzione di un contratto di mutuo, infatti, in capo al mutuatario deriva l’obbligo di restituire (almeno) la sorte capitale.

Onde l’assunto di nulla dover restituire di quanto certamente ed oggettivamente preso a prestito, in relazione alla pretesa mancanza di forma di quel contratto, non ha pregio giuridico.

Giova altresì osservare che l’opposizione a decreto ingiuntivo ex art. 645 c.p.c. incardina un processo a cognizione ordinaria, avente il medesimo oggetto – l’esistenza ed entità del credito – già oggetto del procedimento monitorio: essa, invero, dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione, nel quale il giudice deve accertare la fondatezza della pretesa fatta valere dall’opposto, che assume la posizione sostanziale di attore, mentre l’opponente, il quale assume la posizione sostanziale di convenuto, ha l’onere di contestare il diritto azionato con il ricorso, facendo valere l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda o l’esistenza di fatti estintivi o modificativi di tale diritto (Cass. 4 marzo 2020, n. 6091).

L’opposizione a decreto ingiuntivo instaura un ordinario giudizio di cognizione, nel quale il giudice non deve limitarsi ad esaminare se l’ingiunzione sia stata legittimamente emessa, ma deve procedere ad una autonoma valutazione di tutti gli elementi offerti, sia dal creditore per dimostrare la fondatezza della propria pretesa dedotta con il ricorso, sia dall’opponente per contestarla, e, a tal fine, non è necessario che la parte che ha chiesto l’ingiunzione formuli una specifica ed espressa domanda di pronuncia sul merito della pretesa creditoria, essendo sufficiente che resista all’opposizione e chieda conferma del decreto opposto (Cass. 28 maggio 2019, n. 14486).

Tanto che la piena cognitio, caratterizzante il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, consente anche la produzione di nuove prove integranti quelle prodotte in sede monitoria, poichè il giudice del merito non deve limitare la propria indagine al controllo circa la legittimità dell’ingiunzione con riferimento alle condizioni del relativo procedimento, ma procedere ad autonomo esame di tutti gli elementi forniti dal creditore per dimostrare la fondatezza della propria pretesa e dall’opponente per contestare la pretesa stessa (Cass. 28 maggio 2019, n. 14473).

Dunque, instaurandosi, con l’opposizione a decreto ingiuntivo, un ordinario giudizio di cognizione, il giudice, ove la ritenga fondata, non deve limitarsi a revocare il decreto, ma, dopo aver operato l’autonoma valutazione di tutti gli elementi offerti dalle parti, se ritenga la prova del credito insussistente, deve provvedere al rigetto della domanda proposta dal creditore; o il contrario, quando il credito risulti provato per una misura minore. Ciò è quanto ha operato la sentenza impugnata, onde il motivo non può trovare accoglimento.

4. – Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite, che liquida in Euro 4.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto, ove dovuto, per il ricorso.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, il 12 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 aprile 2021

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