Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10260 del 20/05/2015


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. 3 Num. 10260 Anno 2015
Presidente: RUSSO LIBERTINO ALBERTO
Relatore: CARLEO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso 29888-2011 proposto da:
SERRANO

ANDREA

SRRNDR57R03C351T,

elettivamente

domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE DEI MELLINI 24,
presso lo studio dell’avvocato PAOLO PITTORI, che lo
rappresenta e difende giusta procura speciale a
margine del ricorso;
– ricorrente contro

SCHIRO’ ROSALIA, SCIACCA MARIA, domiciliata ex lege
in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI
CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

1

Data pubblicazione: 20/05/2015

ANTONINO MONACO CREA giusta procura speciale del
Dott. Notaio MARCO PAPI in ROMA il 10/1/2012, rep. n.
123897 (per la prima controricorrente), giusta
procura in calce al controricorso (per la seconda
controricorrente);

avverso la sentenza n. 597/2011 della CORTE D’APPELLO
di CATANIA, depositata il 28/04/2011, R.G.N.
932/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 11/02/2015 dal Consigliere Dott. GIOVANNI
CARLEO;
udito l’Avvocato CARLO CONTALDI LA GROTTERIA per
delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO SGROI che ha concluso per il
rigetto del ricorso;

2

– controricorrenti –

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con

citazione

ritualmente

notificata

Serrano

Andrea

conveniva in giudizio Schirò Rosalia e Sciacca Maria
esponendo di essere stato socio dell’associazione culturale
Aroma 164 da cui si era dimesso il 27 febbraio 1997 e di aver

1997, rispettivamente, 5 e 55 milioni, il primo importo in
assegni a mani della locatrice dell’immobile in cui aveva
sede l’associazione, il secondo direttamente sul conto
corrente bancario intestato all’associazione. Aggiungeva che
le convenute avevano deciso di cessare l’attività e
rilasciare l’immobile locato, senza rendere conto dei detti
versamenti. Ciò premesso, chiedeva che le convenute fossero
ritenute sue debitrici nella misura di lire 60 milioni, e
comunque che venisse dichiarato il loro arricchimento senza
causa nonché dovuti in suo favore gli interessi legali
sull’importo predetto. Si costituivano in giudizio le
convenute deducendo che il Serrano non era stato soltanto
socio bensì presidente e gestore unico dell’associazione,
dalla costituzione fino al 27 febbraio 1997, e svolgendo tale
carica, aveva indebitato l’associazione per oltre 100
milioni, dei quali 60 milioni nei confronti della Banca
presso cui l’associazione intratteneva il conto ed il resto
nei confronti della locatrice e di altri fornitori. Nel

3

versato in favore dell’associazione, il 10 ed il 19 marzo

chiedere il rigetto della domanda attrice, spiegavano
riconvenzionale volte ad ottenere la condanna del Serrano a
rifondere loro 5 milioni ciascuna a fronte di rispettive
rimesse effettuate per ripianare le perdite, a pagare lire 30
milioni in favore dell’associazione posto che di tale importo

in favore della Scirò ulteriori 4 milioni in ragione di una
ricognizione di debito nei suoi confronti. In esito, il
Tribunale adito condannava le convenute ad indennizzare il
Serrano nella misura della somma richiesta e rigettava le
riconvenzionali da loro spiegate. Avverso tale decisione le
soccombenti proponevano appello ed in esito al giudizio, in
cui si costituiva l’appellato, la Corte di Appello di
Catania con sentenza depositata in data 28 aprile 2011
rigettava anche la domanda del Serrano.
Avverso la detta sentenza il Serrano ha proposto ricorso per
cassazione articolato in un unico motivo distinto in vari
submotivi. Resistono
Sciacca.

con controricorso la Schirò e la

Entrambe le parti hanno depositato memoria

illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata con un unico
motivo articolato sotto vari profili: per violazione degli
artt.75, 112, 115 cpc, 23,2041 e 2042 cc; per la falsa

4

si era appropriato prelevandolo dalle casse sociali, a pagare

applicazione degli artt.809,1813,2033 e 2034 cc; infine per
omessa e, in subordine, insufficienza e contraddittorietà
della motivazione.
In particolare, ha censurato la sentenza impugnata: a) per
violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto

fattispecie nell’alveo di un ipotetico rapporto di mutuo
ovvero di un liberale finanziamento o ancora di una
ripetizione dell’indebito, in luogo dell’ipotesi normativa di
cui all’art.2041 invocata e dimostrata dal Serrano. b) per
violazione dell’art.115 cpc fondando la decisione su fatti
mai addotti né provati dalle parti. c) per violazione delle
norme in tema di legittimazione passiva affermando che
l’azione ex art.2041 cc avrebbe dovuto essere rivolta
all’associazione benché tale associazione fosse ormai
sciolta. d) per motivazione insufficiente e contraddittoria,
senza tener conto dei profili sopra enunciati.
Tutti i diversi profili dell’unica doglianza sono infondati e
devono essere disattesi.
A riguardo, mette conto di premettere che, come risulta dalla
sentenza impugnata, il Serrano nell’atto introduttivo del
giudizio di primo grado chiese che ” /e

convenute venissero

ritenute sue debitrici di lire 60 milioni e comunque venisse
dichiarato il loro arricchimento senza causa nonché dovuti in

5

ed il pronunciato, avendo la Corte di Appello inquadrato la

suo favore gli interessi legali sull’importo predetto’

(v.

pag.2).
Ciò,

in

quanto

dopo

essersi

il

27.2.1997

dimesso

dall’associazione Aroma 164, di cui erano socie anche le
convenute, aveva nel marzo successivo versato in favore della

milioni, così ripartite: lire 5 milioni a mani della
locatrice dell’immobile in cui aveva sede l’Aroma 164, lire
55 milioni a titolo di finanziamento a favore
dell’associazione che avrebbe dovuto essere rilanciata dalle
due socie. Fatto sta che queste ultime improvvisamente
avevano deciso di cessare l’attività senza fornire alcun
rendiconto in merito all’utilizzo dei 60 milioni. (v. pag.2).
Pertanto, il Serrano avanzò due distinte domande, volte ad
ottenere che le convenute venissero condannate a restituire
l’importo quali uniche socie oppure, in seconda battuta,
fossero comunque dichiarate obbligate nei suoi confronti per
l’intervenuto arricchimento senza causa (v. pag. 8 della
sentenza impugnata).
La non breve premessa torna utile nella misura in cui serve a
comprendere con maggiore chiarezza la ratio della decisione
della Corte di merito, fondata su un duplice ordine di
considerazioni: a) mancata impugnazione, da parte del
Serrano, del rigetto della domanda di restituzione svolta in

6

A

stessa associazione, in due diverse soluzioni, la somma di 60

via principale b) inammissibilità della domanda svolta dallo
stesso Serrano in via subordinata: ed infatti sia nel caso in
cui la somma di 60 milioni fosse stata data all’associazione
a titolo di liberalità sia nel caso in cui fosse stata data a
titolo di mutuo, in entrambe le ipotesi, la dazione avrebbe

dell’azione ex art.2041 cc vuoi perché la dazione determinata
dalla liberalità escludeva la restituzione ed era quindi
preclusiva dello stesso arricchimento ingiustificato vuoi
perché l’obbligazione restitutoria connessa al rapporto di
mutuo era evidentemente preclusiva dell’azione residuale ex
art.2041 cc.
Ove, per contro, il versamento della somma fosse stato
indebito,cioè privo di giustificazioni, in tal caso avrebbe
potuto trovare ingresso l’esercizio dell’azione di

repetitio

indebiti.
Tutto ciò considerato, risulta con chiara evidenza come la
Corte territoriale abbia argomentato adeguatamente sul
merito della controversia con una motivazione sufficiente,
logica, non contraddittoria e rispettosa della normativa in
questione.
Invero, è appena il caso di osservare che per escludere la
proponibilità dell’azione ex art.2041 cc è sufficiente la
semplice possibilità dell’esercizio di una diversa azione

7

trovato fondamento in una causa, ostativa all’esercizio

indipendentemente

dal

fatto

che

quest’ultima

possa

effettivamente condurre ad un risultato utile.
Alla stregua di tutte le pregresse considerazioni, deve
pertanto ritenersi che la sentenza impugnata appare esente
dalle censure dedotte, con la conseguenza che il ricorso per

rigettato.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alla
rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità,
liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida
in complessivi E 5.200,00 di cui C 5.000,00 per compensi,
oltre accessori di legge e spese generali, ed C 200,00 per
esborsi.
Così deciso in Roma in camera di Consiglio in data 11.2.2015

cassazione in esame, siccome infondato, deve essere

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA