Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10260 del 12/05/2014


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 10260 Anno 2014
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: PETITTI STEFANO

Ritenuto

che, con ricorso depositato in data 14

febbraio 2012 presso la Corte d’appello di Catanzaro,
CIANCI Antonio e IAMUNDO Vincenzo chiedevano la condanna
del Ministero della Giustizia al pagamento dei danni non
patrimoniali derivanti dalla irragionevole durata del
processo penale promosso a loro carico con avviso di
conclusione delle indagini preliminari, depositato dal
P.M. in data 7 ottobre 2005, e definito in data 8 luglio
2011 con lettura del dispositivo, con cui veniva
dichiarata l’assoluzione per non aver commesso il fatto;
che l’adita Corte d’appello riteneva che, tenuto conto
della fase delle indagini, della sua complessità, del
numero degli imputati, della intervenuta riunione, nonché
dell’attività espletata, il giudizio avrebbe potuto essere
definito in un arco di tempo non superiore a cinque anni e
sei mesi, sicché, essendosi esso protratto per cinque anni

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Data pubblicazione: 12/05/2014

e nove mesi, riteneva insussistente il pregiudizio da
irragionevole durata e rigettava la domanda;
che Cianci Antonio e Iamundo Vincenzo hanno proposto
ricorso per la cassazione di questo decreto, affidato a

che il Ministero della giustizia ha resistito con
controricorso;
Considerato che il collegio ha deliberato l’adozione
della motivazione semplificata nella redazione della
sentenza;
che non è di ostacolo alla trattazione del
procedimento la mancata presenza del Pubblico Ministero,
atteso che in tema di intervento del P.M. nel giudizio
civile di cassazione, per effetto delle modifiche
introdotte dagli artt. 75 e 81 del d.l. 21 giugno 2013, n.
69, conv. in legge 9 agosto 2013, n. 98, la partecipazione
del P.M. alle udienze che si tengono presso la sesta
sezione non è più obbligatoria, impregiudicata la facoltà
del P.M. di intervenirvi, ai sensi dell’art. 70, terzo
comma, cod. proc. civ., ove ravvisi un pubblico interesse
(Cass. del 20 gennaio 2014, n. 1089);
che, con il primo motivo di ricorso, i ricorrenti
lamentano omessa insufficiente e contraddittoria
motivazione in relazione all’avvenuto riconoscimento, al
procedimento in questione, di una ragionevole durata pari

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due motivi;

a cinque anni e sei mesi, in contrasto con i parametri
previsti dalla CEDU e non tenendo conto della circostanza
che le parti avevano richiesto che il giudizio si
svolgesse nelle forme del rito abbreviato;

violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge n.
89 del 2001, dell’art. 111 della Costituzione, nonché
degli artt. 1226 e 2056 cod. civ., sostenendo che i fatti
dedotti e la documentazione allegata sarebbero stati
comprovanti la violazione del diritto alla ragionevole
durata del processo, e al contempo il danno patito in
ragione dell’avvenuta lesione del diritto tutelato dalla
legge Pinto, riconosciuto dall’art. 111, secondo comma,
della Costituzione;
che il ricorso, i cui due motivi possono essere
trattati congiuntamente per evidenti ragioni di
connessione, è fondato;
che, invero, occorre premettere che «la ragionevole
durata del processo ai sensi della legge n. 89 del 2001,
non può ritenersi rigidamente predeterminata, ma va
desunta dalla complessità del caso, dal comportamento del
giudice e delle parti, da quello di ogni altra autorità
chiamata a concorrervi o comunque a contribuire alla sua
definizione. Ne consegue che il termine di due anni e
sette mesi di durata ragionevole dei processi penali

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che, con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano

individuato dalla C.E.D.U. per i processi penali nel corso
dei quali siano stati emessi provvedimenti restrittivi
della libertà personale ed il termine di durata di tre
anni dei processi ordinari – e ciò per il primo grado di

che la C.E.D.U. ha ritenuto valicabili i limiti indicati
qualora i processi siano complessi perché pongono problemi
interpretativi di non facile soluzione e riguardano più
imputati» (Cass. n. 8585 del 2005; sulla non rilevanza
della adozione di una misura cautelare personale vedi,
però, Cass. n. 23036 2011);
che, nella specie, la Corte territoriale, usando una
formula puramente astratta, ha ritenuto ragionevole la
durata di cinque anni e sei mesi tenuto conto della fase
delle indagini, della sua complessità, del numero degli
imputati, della intervenuta riunione e dell’attività
espletata;
che, tuttavia, l’adita Corte ha del tutto omesso di
considerare che il giudizio presupposto si era svolto
nelle forme del giudizio abbreviato, il che avrebbe dovuto
indurre ad una valutazione della durata dello stesso in
termini più strettamente adeguati alla durata ragionevole
di tre anni;
che, di conseguenza, ha errato il giudice di merito
nel negare che il giudizio

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de quo

avesse una durata

merito – non sono da intendere in senso assoluto, atteso

irragionevole e che gli odierni ricorrenti ne avessero
subito un danno;
che, in conclusione, il ricorso va accolto e

il

decreto impugnato cassato, con rinvio, per nuovo esame,

composizione;
che al giudice di rinvio è demandata altresì la
regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto
impugnato e rinvia, anche per le spese del giudizio di
legittimità, alla Corte d’appello di Catanzaro, in diversa
composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
Sesta Sezione Civile – 2 della Corte suprema di
cassazione, il 18 marzo 2014.

alla Corte d’appello di Catanzaro, in diversa

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