Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1026 del 17/01/2018


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 1026 Anno 2018
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: ORILIA LORENZO

SENTENZA
sul ricorso 4974-2013 proposto da:
FAZIO FRANCESCA, elettivamente domiciliata in ROMA,
CIRCONVALLAZIONE CLODIA 167, presso lo studio
dell’avvocato ANNA CASTAGNOLA, rappresentata e difesa
dall’avvocato SALVATORE GARUFI;
– ricorrente contro

2017
3093

RIGANO

MARIA

ANTONIETTA,

RIGANO

LUCIA

MARIA,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA UGO OJETTI 350,
presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE MACCARRONE,
rappresentati e difesi dall’avvocato CARMELO LOMBARDO;
– controricorrenti –

Data pubblicazione: 17/01/2018

or

avverso la sentenza n. 13/2012 della CORTE D’APPELLO di
MESSINA, depositata il 12/01/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 28/11/2017 dal Consigliere Dott. LORENZO
ORILIA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato GARUFI Salvatore che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso e della memoria ai sensi del
378 cpc.;
difensore dei

udito l’Avvocato LOMBARDO Carmelo,

resistenti che ha chiesto il rigetto del ricorso e
l’accoglimento delle difese depositate.

e

Generale Dott. LUCIO CAPASSO che ha concluso per il

RITENUTO IN FATTO
1 Con atto 19.10.1994 Grazia Modafferi (in proprio e quale tutrice
del marito Antonino Rigano) e Carmela Rigano convennero in giudizio
davanti al Tribunale di Messina Francesca Fazio, proprietaria di un
immobile confinante, per sentirla condannare all’arretramento di un corpo
di fabbrica (denominato b) posto a distanza illegale e munito di vedute

subite dal loro immobile in conseguenza dei lavori eseguiti dalla Fazio.
La convenuta si oppose alla domanda e chiamò in garanzia
l’appaltatore Rosario Salvatore Intilisano che, intervenuto nel giudizio
negò ogni responsabilità e, spiegò a sua volta domanda di garanzia contro
il proprio assicuratore, la Fondiaria Assicurazioni, che intervenne
anch’essa nel giudizio deducendo l’inoperatività della polizza per il rischio
derivante dai lavori di scavo.
Dopo avere disposto una consulenza tecnica di ufficio il Tribunale
adito, con sentenza 526/02, condannò in solido la convenuta,
l’appaltatore e l’assicurazione al risarcimento dei danni nella misura di lire
25.000.000 con interessi e rivalutazione (punto 2 del dispositivo); ordinò
l’arretramento del fabbricato b (realizzato in aderenza) sino a dieci metri
dal fabbricato degli attori, subordinandola

“al pagamento”

(così

testualmente, ndr) entro due mesi della somma di lire 30.000.000
liquidata cc a titolo di risarcimento danni ed indennizzo (punto 3 del
dispositivo); condannò infine in solido la convenuta e i chiamati al
pagamento delle spese in favore dell’attrice (punto 4).
2 La sentenza venne impugnata davanti alla Corte d’Appello di
Messina in via principale dalla Fazio e in via incidentale, sull’entità del
risarcimento, da Grazia Modafferi nonchè da Lucia Maria e Maria
Antonietta Rigano (eredi di Antonino Rigano e Carmela Rigano), nonchè
dai due chiamati Intilisano e la Fondiaria Assicurazioni (sulla ritenuta
responsabilità dell’appaltatore, sul quantum liquidato e sull’omessa
pronuncia in ordine alla domanda di garanzia spiegata dall’Intilisano).

illegittime. Chiesero altresì il risarcimento dei danni per le gravi lesioni

Intervenuta la morte della Modafferi, Lucia Maria e Maria Antonietta
Rigano si costituirono anche quali eredi della madre.
3 Con sentenza non definitiva del 9.10.2009 la Corte territoriale,
decidendo su tutte le doglianze relative ai danni conseguenti ai lavori di
scavo, confermò il giudizio di responsabilità solidale dell’appaltatore e
della committente Fazio, escluse la responsabilità diretta

dall’assicurato appaltatore. La Corte di merito ritenne poi infondate tutte
le doglianze relative alla quantificazione del danno.
Con separata ordinanza dispose un nuovo accertamento tecnico in
ordine alla domanda di arretramento per violazione di distanze, al fine di
stabilire se lo spazio di proprietà degli attori avesse natura di chiostrina o
di cortile aperto.
4 All’esito dell’ulteriore indagine, la Corte d’Appello con sentenza
12.1.2012 ha confermato il capo 3 della sentenza di primo grado relativa
all’arretramento del fabbricato B precisando che la demolizione riguarda
la parete costituita dal tavolato in mattoni forati elevato a tutta altezza al
bordo dell’aggetto, mentre l’arretramento a dieci metri dalla parete
finestrata del fabbricato Rigano riguarda i balconi del fabbricato B.
La Corte d’Appello ha poi confermato il capo 4 della sentenza
limitatamente alla condanna in solido della convenuta Fazio e del
chiamato Intilisano al pagamento delle spese processuali ed ha
condannato i medesimi al pagamento delle spese del giudizio di appello in
favore delle due Rigano, ponendo invece a carico della sola Fazio quelle
relative alla consulenza tecnica svolta in grado di appello. Ha infine
compensato le spese del primo e del secondo grado di giudizio tra le
Rigano e la Fondiaria Assicurazioni.
Per giungere a tale soluzione, la Corte di merito, premesso che
correttamente il muro degli attori, posto sul confine, era stato qualificato
come muro di cinta e lo spazio scoperto sito al piano terra era stato
qualificato come cortile, e premessi alcuni cenni sul diritto di prevenzione,
ha rilevato che la parete in tavolato in mattoni forati si trovava a mt. 2,80

dell’assicurazione e accolse la domanda di garanzia spiegata

dalla parete finestrata del fabbricato Rigano e quindi a distanza inferiore a
quella di dieci metri prescritta dal locale strumento urbanistico e pertanto
andava demolita, mentre i balconi andavano arretrati sino a dieci metri,
trattandosi di corpi di fabbrica, soluzione, quest’ultima, che risolveva
implicitamente anche le questioni in materia di vedute. Ha poi ritenuto
illegittima la condanna al pagamento di un indennizzo al cui

arretramento e pertanto tale statuizione andava eliminata.
Contro tale decisione la Fazio ha proposto ricorso per cassazione
sulla base di due censure a cui resistono, con controricorso, le sorelle
Rigano.
La ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1

Preliminarmente, va esaminata e respinta l’eccezione di

inammissibilità del ricorso per nullità della procura sollevata nel
controricorso.
Come ripetutamente affermato da questa Corte, ai fini
dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, sotto il profilo della
sussistenza della procura speciale in capo al difensore iscritto
nell’apposito albo, è essenziale che la procura sia conferita in epoca
anteriore alla notificazione del ricorso, che investa il difensore
espressamente del potere di proporre quest’ultimo e che sia rilasciata in
epoca successiva alla sentenza oggetto dell’impugnazione; ove sia
apposta a margine del ricorso, tali requisiti possono desumersi,
rispettivamente, quanto al primo, dall’essere stata la procura trascritta
nella copia notificata del ricorso, e, quanto agli altri due, dalla menzione
della sentenza gravata risultante dall’atto a margine del quale essa è
apposta (v. Sez. 2 – , Sentenza n. 7014 del 17/03/2017 Rv. 643376; Sez.
2 – , Sentenza n. 24422 del 30/11/2016 Rv. 642200; Sez. L, Sentenza n.
19560 del 13/09/2006 Rv. 592429).
Nel caso in esame, la procura è apposta a margine del ricorso,
contiene il riferimento al “presente procedimento”, risulta trascritta nella

c-zb

inadempimento era stata subordinata la pronuncia di demolizione e

copia notificata del ricorso (non essendo eccepito il contrario). Risulta poi
dal ricorso (atto a margine del quale essa è apposta) il chiaro riferimento
alla sentenza impugnata con tutti i riferimenti: il requisito di specialità
può dunque ritenersi senz’altro soddisfatto, a nulla rilevando il riferimento
ad ulteriori attività estranee al giudizio di cassazione.
Sempre in via preliminare si impone un’altra considerazione: il

impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 cod. proc. civ.) di evitare
e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita
definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un
inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non
giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal
rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di
difesa e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità,
dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato a produrre i
suoi effetti. Ne consegue che, in caso di ricorso per cassazione “prima
facie”

infondato, appare superfluo, pur potendone sussistere i

presupposti, disporre la fissazione di un termine per l’integrazione del
contraddittorio ovvero per la rinnovazione di una notifica nulla o
inesistente, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in
un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del
giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia
dell’effettività dei diritti processuali delle parti (v. tra le varie, Sez. 3,
Sentenza n. 15106 del 17/06/2013 Rv. 626969; Sez. U, Ordinanza n.
6826 del 22/03/2010 Rv. 61207; Sez. U, Sentenza n. 26373 del
03/11/2008 Rv. 605610; e, più di recente, anche Sez. U, Ordinanza n.
23542 del 18/11/2015 Rv. 637243).
Nel caso di specie la ricorrente ha notificato il ricorso solo alle eredi
Rigano e non anche all’appaltatore Intilisano e alla Fondiaria SAI spa
(pure parti del giudizio davanti alla Corte di appello, che ha pronunciato
sulle spese anche nei loro confronti), ma in applicazione del citato
principio, si rende superflua, pur potendone sussistere i presupposti, la

rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo

fissazione di un termine per l’integrazione del contraddittorio nei confronti
dei predetti soggetti stante la palese infondatezza del ricorso, per le
ragioni di cui appresso.
1.1

Passando all’esame dei motivi, col primo di essi la Fazio

denunzia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 873, 877 comma 1 e
878 cc in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 e 5 cpc e omessa,

decisivo per il giudizio, dolendosi, attraverso una ricostruzione dello stato
dei luoghi e richiami alle risultanze delle due consulenze tecniche, della
qualificazione giuridica del muro di proprietà degli attori, che la Corte
d’Appello, sulla scorta dei rilievi peritali, ha definito di cinta e non di
fabbrica. Evidenzia che il muro solo per un minimo tratto di mt. 1,40 ha
facce libere e altezza inferiore a mt. 3,00 e non si può scorporare in tre
parti al fine di dare prevalenza al minimo tratto di mt. 1,40 per la
qualificazione come muro di cinta. Critica inoltre le modalità di
arretramento dei balconi.
1.2 Col secondo motivo la ricorrente denunzia violazione e/o falsa

applicazione degli artt. 873, 875 e 877 cc e delle norme integrative dello
strumento urbanistico comunale, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 e
5 cpc. Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto
controverso e decisivo per il giudizio. Dolendosi delle conseguenze della
qualificazione del muro operata dalla Corte d’Appello (impossibilità per la
convenuta di costruirvi in aderenza) e della ritenuta legittimità della
scelta costruttiva operata dalle prevenenti, la ricorrente affronta il tema
della prevenzione e critica le modalità della demolizione ordinata dalla
Corte d’Appello.
2.1 Le due censure, che si prestano ad esame unitario per il

comune riferimento al tema della riduzione in pristino, sono infondate.
Avendo la ricorrente lamentato innanzitutto la violazione di norme
di diritto, è opportuno chiarire che tale vizio consiste nella deduzione di
un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della
fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica

insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e

necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di
un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze
di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e
inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è
possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di
motivazione (v. tra le varie, Sez. L, Sentenza n. 195 del 11/01/2016 Rv.

Sentenza n. 8315 del 04/04/2013 Rv. 626129; Sez. L, Sentenza n. 7394
del 26/03/2010 Rv. 612745; più di recente, v. anche Sez. 2 – , Ordinanza
n. 20964 del 08/09/2017 Rv. 645246 in motivazione).
Ebbene, nel caso in esame – come esattamente rilevato anche dal
PG all’udienza – la critica mossa dalla ricorrente non investe affatto la
ricognizione della fattispecie astratta recata da una norma di legge e
quindi non pone nessun problema interpretativo, nel senso sopra indicato,
delle norme sulle distanze tra costruzioni e sul principio della prevenzione
(art. 873 cc), né delle norme che regolano la comunione forzosa del muro
che non è sul confine (art. 875 cc), né delle norme che regolano le
costruzioni in aderenza (art. 877) o che definiscono il muro di cinta (art.
878 cc), ma riguarda solamente l’erronea ricognizione della fattispecie
concreta a mezzo delle risultanze di causa e precisamente la esatta
individuazione del muro Rigano (quanto a dimensioni e caratteristiche) e
la sua ritenuta classificazione come muro di cinta e non piuttosto come
muro di fabbrica, nonchè la qualificazione dello spazio aperto, sempre di
proprietà Rigano, come cortile e non come chiostrina: si tende insomma a
sostituire, attraverso una alternativa valutazione del materiale istruttorio
(in particolare le risultanze peritali), la soluzione adottata dal giudice di
merito con quella ritenuta più favorevole (possibilità di edificare in
aderenza al muro di fabbrica e quindi non assoggettabilità
all’arretramento dal fabbricato delle attrici).
2.2 Né si ravvisano i vizi motivazionali denunciati.

Secondo il costante orientamento di questa Corte, anche a sezioni
unite – ed oggi ribadito – la deduzione di un vizio di motivazione della

638425; Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015 Rv. 638171; Sez. 5,

sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di
legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda
processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo,
sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale,
delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via
esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di

concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo,
quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad
esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei
mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge.
Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della
omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può
legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del
giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o
insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle
parti o rilevabile di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra
le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire
l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della
decisione (v. tra le tante, Sez. 3, Sentenza n. 17477 del 09/08/2007 Rv.
598953; Sez. U, Sentenza n. 13045 del 27/12/1997 Rv. 511208; Sez. 6 5, Ordinanza n. 91 del 07/01/2014 Rv. 629382).
Nel caso di specie, si è completamente fuori da tale ipotesi estrema.
Ed infatti, la Corte d’Appello partendo dalla descrizione dei due
fabbricati eseguita dall’ausiliare da esso nominato, ha innanzitutto
individuato e qualificato il muro sul confine come muro di cinta reputando
irrilevante il preesistente utilizzo di parte di esso quale appoggio della
tettoia precaria della cucina in corso di causa demolita così come il suo
collegamento, nelle sue estremità con le restanti parti dell’edificio (pagg.
8 e 9); ha qualificato lo spazio aperto come cortile e non come chiostrina
(spiegando le ragioni del proprio convincimento e tenendo presenti le
rispettive definizioni (v. pagg. 9 e 10); ha individuato l’andamento del

(5)

assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la

fabbricato Rigano (non rettilineo, ma con una rientranza di cm 258 per
effetto del cortile, scelta ritenuta legittima in base al criterio della
prevenzione) e poi ha rilevato l’andamento del fabbricato Fazio, tutto
sviluppato sul confine, parallelamente alla parete cieca del fabbricato
Rigano con lo spigolo terminale arretrato di circa 30 cm dal bordo libero
del cortile Rigano). Ha quindi accertato, sempre sulla scorta dei rilievi del

considerarsi anch’essi costruzioni) sono posti a distanza inferiore a quella
di mt. 10,00 prescritta dallo strumento urbanistico del Comune di Santa
Teresa di Riva in cui si trovano gli immobili per cui deve essere disposta
la demolizione della parete del fabbricato B costruita in aderenza e
l’arretramento a metri 10 del predetto fabbricato dal fabbricato Modaferi
Rigano, precisando che la demolizione riguarda la parete costituita dal
tavolato in mattoni forati elevato a tutta altezza al bordo dell’aggetto
mentre l’arretramento a distanza di dieci metri dalla parete finestrata del
fabbricato Rigano riguarda i balconi del fabbricato B (v. pagg. 10 e ss).
La Corte d’Appello ha precisato inoltre che l’arretramento dei
balconi risolve implicitamente tutte le questioni in materia di vedute
prospettate seppure in subordine.
Trattasi, come è evidente, di un percorso argomentativo fondato su
tipici apprezzamenti in fatto, esauriente, privo di vizi logici e
giuridicamente corretto quanto alla individuazione dei criteri distintivi tra
muro di cinta e di fabbrica, tra cortile e chiostrina o cavedio (v. sulla
nozione di cortile, Sez. 2, Sentenza n. 18662 del 16/09/2004 Rv. 577140
e sulla nozione di chiostrina o cavedio, Sez. 2, Sentenza n. 17556 del
01/08/2014 Rv. 631830), alla individuazione delle facoltà riservate al
preveniente rispetto al fondo inedificato del vicino (v., al riguardo Sez. 2,
Sentenza n. 3638 del 16/02/2007 Rv. 595368; Sez. 2, Sentenza n. 4962
del 04/04/2001 Rv. 545520) e alla differenza tra sporti e balconi con le
dovute conseguenze in tema di assoggettamento all’obbligo di rispettare
le distanze (v. Sez. 2, Sentenza n. 18282 del 19/09/2016 Rv. 641075;
Sez. 2, Sentenza n. 17242 del 22/07/2010 Rv. 614192). Esso pertanto si

consulente, che sia la parete dell’edificio Fazio sia i balconi (da

sottrae anche sotto il profilo motivazionale, alle critiche, tutte in fatto,
contenute nel ricorso che, in sostanza, tendono a sollecitare la Corte
Suprema ad un compito (rivalutare il merito attraverso l’esame di grafici,
perizie e stato dei luoghi) che il giudizio di legittimità certamente non le
assegna.
Il ricorso va quindi respinto con addebito di spese alla parte

Non ricorrono invece le condizioni per imporre il pagamento del
contributo unificato ex art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012,
n. 228, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato-Legge di stabilità 2013, che ha aggiunto il comma 1 – quater
all’art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002) perché il
presente procedimento non è iniziato “in data successiva al 30.1.2013″:
la notifica del ricorso si è infatti perfezionata con la ricezione, da parte del
difensore delle Rigano, in data 30.1.2013 e a tale termine occorre riferirsi
(v. Sez. U, Sentenza n. 3774 del 18/02/2014 Rv. 629556).
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del
presente giudizio che liquida in C. 4.200,00 di cui C. 200,00 per esborsi
oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Roma, 28.11. 2017.
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DEPOSITATO IN CANCELLERIA

Roma,

soccombente.

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