Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1026 del 17/01/2011

Cassazione civile sez. I, 17/01/2011, (ud. 23/11/2010, dep. 17/01/2011), n.1026

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 18676-2009 proposto da:

R.M.G.R. ((OMISSIS)) elettivamente

domiciliata in ROMA, PIAZZA AUGUSTO IMPERATORE 3, presso lo studio

dell’avvocato GIOVANNI TOGNON, rappresentata e difesa dall’avvocato

FIORILLO ERNESTO, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA ((OMISSIS)) in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 583/08 V.G. della CORTE D’APPELLO di BRESCIA

del 25/02/09, depositato il 25/02/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/11/2010 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO DIDONE;

è presente il P.G. in persona del Dott. PIETRO ABBRITTI.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

p. 1.- La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. è del seguente tenore: “1.- Con il decreto impugnato la Corte di appello di Brescia ha rigettato la domanda di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001 proposta da R.M.G.R. nei confronti del Ministero della Giustizia in relazione alla durata irragionevole di due giudizi civili riuniti e di una procedura esecutiva. Ha osservato, in particolare, la Corte di merito che la ricorrente lamentava l’irragionevole durata di: 1) un processo proposto avanti al Tribunale di Milano (R.G. n. 9130/1991), introdotto con atto di citazione notificato il 10 maggio 1991 contro la società Centro Edile spa (poi fallita), la Dott. A. e l’amministratore unico della società Ing. S., avente ad oggetto l’accertamento dell’estinzione di un debito della R. a favore dei convenuti, risalente al periodo maggio 1986 – dicembre 1989;

2) un procedimento di opposizione della R. ad un decreto ingiuntivo per il pagamento di L. 80 mm (R.G. n. 15452/1991) ottenuto dalla A. dal Tribunale di Milano e munito di immediata efficacia esecutiva, successivamente riunito a quello sub 1) e definito con sentenza depositata in data 25 marzo 2002, in virtù della quale la R. era risultata creditrice del Centro Edile spa di Euro 6.410,06 a titolo di spese legali;

3) un processo di lavoro instaurato nel 1992 dalla R. al Pretore di Milano con il quale chiedeva che fosse accertata l’avvenuto svolgimento di un rapporto di lavoro subordinato tra essa e il Centro Edile spa, definita con sentenza n. 3609/1993;

4) nelle more il Centro Edile spa è stato dichiarato fallito, la R. si era insinuata nel fallimento ed è stata ammessa al passivo in data 17 febbraio 2004 ed in pari data è stato dichiarato estinto il processo;

Pertanto, risultava ancora pendente solo il processo esecutivo contro l’ A. nel quale la R. è intervenuta per conseguire la restituzione delle somme pagate a seguito del decreto ingiuntivo.

Dunque la domanda era inammissibile in relazione ai giudizi di cognizione – definiti con sentenza nell’anno 2003 – perchè presentata oltre il termine di mesi sei dalla sentenza, come stabilito dalla L. n. 89 del 2001, art. 4 mentre non poteva essere accolta quanto al processo esecutivo perchè non era possibile ricavare dagli atti la data del suo inizio e quindi verificare la sua durata (eventualmente irragionevole)”.

Contro il decreto della Corte di appello la R. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. Resiste con controricorso il Ministero della Giustizia.

2.- Con i due motivi di ricorso la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto e formula i seguenti quesiti:

a) se vi è stata violazione della L. 24 marzo 2001, art. 2, n. 89, degli artt. 1223, 1226, 1227 e 2056 c.c. e art. 6 CEDU, “e cioè se nella liquidazione del danno non patrimoniale il Giudice italiano non debba parametrare tale liquidazione alla gravita della violazione del diritto di ragionevole durata riconoscendo un importo di duemila Euro per ogni anno eccedente il termine ragionevole di durata”;

b) se vi è stata violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e art. 2043 c.c. “e se, pertanto, in ragione della non ragionevole durata del processo, vada riconosciuto dal Giudice Nazionale un danno patrimoniale, inteso quale specifico pregiudizio che sia derivato alla parte dal fatto che la controversia si è eccessivamente protratta nel tempo e la cui sussistenza è in re ipsa e, comunque, è stata illustrata nel corpo del ricorso, da liquidarsi in via equitativa avendo, comunque, come riferimento il pregiudizio economico consistente nella mancata percezione del petitum della causa di merito a cui integralmente ci si riporta”.

3.- Il ricorso appare manifestamente inammissibile per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., della regola della specificità dei motivi di impugnazione e del principio di autosufficienza, perchè, da un lato i quesiti sono del tutto aspecifici rispetto alle ragioni del rigetto della domanda (inammissibilità per i giudizi di cognizione e mancata prova del ritardo del processo esecutivo), sono del tutto astratti e tautologici, risolvendosi nella richiesta di accertamento della dedotta violazione senza spiegare la fattispecie concreta, la regola applicata dal giudice del merito e la diversa regola applicabile secondo il ricorrente e, da ultimo, manca di specificità in relazione al processo esecutivo in relazione al quale neppure è dedotta la data di intervento della ricorrente.

Il ricorso, quindi, può essere deciso in camera di consiglio”.

Parte ricorrente ha depositato memoria difensiva.

p. 2.- Il Collegio condivide le conclusioni della relazione e le argomentazioni sulle quali esse si fondano – non scalfite dal contenuto della memoria – e che conducono alla declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Va in ogni caso evidenziato che l’assunto, richiamato dalla ricorrente nella memoria, circa la cumulabilità della durata del processo di cognizione e di quello esecutivo è stato ritenuto infondato dalle Sezioni unite (24 dicembre 2009 n. 27348) secondo le quali “in tema di equa riparazione per violazione del termine ragionevole di durata del processo, questo va identificato, in base all’art. 6 della CEDU, sulla base delle situazioni soggettive controverse ed azionate su cui il giudice adito deve decidere, che, per effetto della suddetta norma sovranazionale, sono “diritti e obblighi”, ai quali, avuto riguardo agli artt. 24, 111 e 113 Cost., devono aggiungersi gli interessi legittimi di cui sia chiesta tutela ai giudici amministrativi. Ne consegue che, in rapporto a tale criterio distintivo, il processo di cognizione e quello di esecuzione regolati dal codice di procedura civile e quello cognitivo del giudice amministrativo e il processo di ottemperanza teso a far conformare la P.A. a quanto deciso in sede cognitoria, devono considerarsi, sul piano funzionale (oltre che strutturale), tra loro autonomi, in relazione, appunto, alle situazioni soggettive differenti azionate in ciascuno di essi. Pertanto, in dipendenza di siffatta autonomia, le durate dei predetti giudizi non possono sommarsi per rilevarne una complessiva dei due processi (di cognizione, da un canto, e di esecuzione o di ottemperanza, dall’altro) e, perciò, solo dal momento delle decisioni definitive di ciascuno degli stessi, è possibile, per ognuno di tali giudizi, domandare, nel termine semestrale previsto dalla L. n. 89 del 2001, art. 4, l’equa riparazione per violazione del citato art. 6 della CEDU, con conseguente inammissibilità delle relative istanze in caso di sua inosservanza”.

Le spese – liquidate in dispositivo – vanno poste a carico di parte ricorrente soccombente.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento in favore del Ministero resistente delle spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 565,00 oltre le spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2011

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