Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10255 del 20/05/2015


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 10255 Anno 2015
Presidente: BERRUTI GIUSEPPE MARIA
Relatore: RUBINO LINA

SENTENZA

sul ricorso 1091-2012 proposto da:
ROSSI

GABRIELE

elettivamente

RSSGRL60B29G4790,

domiciliato in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 9, presso lo
studio dell’avvocato GIORGIO DE ARCANGELIS, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato
ALESSANDRO GRACIS, giusta procura a margine;

ricorrenti

contro

BARBISAN PIEREMILIO BRTMRN59D52G224V, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA G. PISANELLI 2, presso lo
studio dell’avvocato DANIELE CIUTI, che lo rappresenta

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Data pubblicazione: 20/05/2015

e difende unitamente agli avvocati PAOLO SGUOTTI,
MARINA BERTELLI, giusto mandato a margine;
– controricorrenti

avverso la sentenza n. 202/2011 della CORTE D’APPELLO
di VENEZIA, depositata il 10/02/2011;

udienza del 09/01/2015 dal Consigliere Dott. LINA
RUBINO;
udito l’Avvocato GRACIS Alessandro;
udito l’Avvocato CIUTI Daniele;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO che ha concluso per
il rigetto del ricorso;

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udita la relazione della causa svolta nella pubblica

R.G. 1091 \ 2012
I FATTI

Nel 2002 venne emesso a carico di Rossi Gabriele un decreto ingiuntivo che gli impose

al saldo, ad estinzione del mutuo per 25 milioni di lire contratto con il Barbisan, a
garanzia del quale il Rossi aveva rilasciato un assegno di pari importo.
Il Rossi proponeva opposizione deducendo in via riconvenzionale la responsabilità del
Barbisannei suoi confronti quale promotore finanziario, per averlo convinto a
disinvestire alcune somme già da lui investite presso la Banca Fideuram, della quale il
Barbisan era promotore, e ad investirle nel finanziamento soci in favore della società
cooperativa a r.l. Merchant Union, facendogli perdere l’intero importo investito in due
successive tranches per complessivi 35 milioni di lire. Evocava in giudizio anche la
Banca Fideuram ovvero l’intermediario finanziario autorizzato alle cui dipendenze
lavorava il Barbisan quando il Rossi lo conobbe, per farla dichiarare solidalmente
responsabile ai sensi dell’art. 5 della legge n. 1 del 1991. Sosteneva il Rossi di aver dovuto
contrarre il prestito con il Barbisan non avendo ricevuto la restituzione del
finanziamento da lui erogato in favore della Merchant Union s.c. a r.l. e essendosi
trovato privo della provvista necessaria per estinguere il prestito da lui contratto per
l’acquisto della sua casa. Chiedeva quindi la revoca del decreto opposto e la condanna
del Barbisan e della Banca Fideuram in via solidale al risarcimento dei danni.
Il Tribunale di Treviso dichiarava il difetto di legittimazione passiva della banca, della
quale il Barbisan non era più promotore da epoca precedente al primo finanziamento in
favore della Merchant Union da parte del Rossi, riteneva la responsabilità contrattuale
del Barbisan ed il concorso di colpa al 50% del Rossi, e quindi, revocato il decreto
ingiuntivo, condannava il Rossi a corrispondere al Barbisan euro 3.873,47, oltre interessi
legali dal febbraio 1997 al saldo.
Proposto appello da parte del Rossi ed appello incidentale da parte del Barbisan, la
Corte d’Appello di Venezia, con la sentenza qui impugnata, accoglieva l’appello
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di pagare a Barbisan Pieremilio la somma di euro 12.911,42, oltre interessi legali dal 1993

incidentale e rigettava quello principale, condannando il Rossi a pagare al B. l’importo di
euro 12.911,42, pari all’intero prestito ricevuto, oltre interessi legali dal gennaio 1997 al
saldo (essendosi prescritto il diritto a ricevere gli interessi per i periodi precedenti).
La corte territoriale in particolare escludeva che l’attività svolta dal B. nei confronti del
Rossi, che aveva portato all’erogazione da parte di quest’ultimo di due finanziamenti in
favore della Merchant Union, con previsione di un alto tasso di rendimento e

finanziari , perché il B. da tempo non lavorava più come promotore finanziario di Banca
Fideuram, perchè i due prestiti erano stati sottoscritti direttamente dal Rossi ( che al fine
di sottoscriverli, era dovuto diventare socio della cooperativa) ed essi non rientravano
tra le attività previste dall’art. 1 della legge n. 1 del 1991, né tanto meno il Barbisan
poteva qualificarsi come promotore della Merchant Union, della quale non era mai stato
dipendente, ai sensi dell’art. 5 della predetta legge. La corte non riteneva neppure che i
rapporti tra le parti fossero riconducibili con certezza ad un accordo contrattuale, ed
anche in questo caso riteneva ravvisabile soltanto una obbligazione di mezzi in capo al
Barbisan ed astrattamente ipotizzabile solo una responsabilità professionale dello stesso
qualora egli non avesse rispettato il livello di diligenza media esigibile, ma non certo una
responsabilità derivante dal mancato buon fine dell’affare consigliato al cliente.
Escludeva comunque una responsabilità professionale in concreto del Barbisan, atteso
che lo stesso aveva a sua volta investito suoi denari personali nella stessa società, che
questa vantava al momento dell’investimento bilanci certificati e non prometteva
rendimenti di molto superiori a quello dei titoli di Stato. Concludeva ritenendo che il
dissesto della Merchant Union non fosse prevedibile al momento dei finanziamenti
erogati dal Rossi e che nessuna responsabilità professionale potesse essere ascritta al
Barbisan. Quanto al secondo investimento da parte del Rossi, evidenziava che non fosse
emersa la prova di alcuna sollecitazione in tal senso da parte del B.
Rossi Gabriele propone ricorso per la cassazione della sentenza n. 202 \ 2011 della
Corte d’Appello di Venezia, depositata il 10.2.2011, notificata il 2.11.2011, articolato in
nove motivi, nei confronti di Barbisan Pieremilio.
Resiste il Barbisan con controricorso.
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restituzione a medio tempo, potesse essere qualificata come di promozione di servizi

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso il Rossi denuncia la carente e contraddittoria
motivazione e con il secondo motivo di ricorso il ricorrente si duole della violazione

avrebbe svolto attività di gestione patrimoniale e consulenza ex art. 1 della legge n. 1 del
1991 in suo favore.
I due motivi possono essere esaminati congiuntamente e sono entrambi infondati.
Il ricorrente non evidenzia neppure efficacemente una contraddittorietà della
motivazione, e quanto alla violazione di norme di diritto, la corte d’appello non esclude
che il Barbisan possa aver svolto attività di consulenza finanziaria in favore del Rossi,
che conosceva fin dagli anni ’80, da quando egli era promotore finanziario per la Banca
Fideuram ed i cui investimenti ha continuato a seguire dopo che, nel 1990, è cessato il
suo rapporto con la B. Fideuram.
Quello che la corte ha motivatamente escluso è che il B. potesse essere qualificato come
promotore finanziario di banca Fideuram all’epoca dei fatti, pur essendo cessato il
rapporto con questa prima della operazione in contestazione, e non avendo peraltro
l’operazione finanziaria conclusa dal Rossi su consiglio del B. alcun rapporto con Banca
Fideuram.
Quindi la corte d’appello ha correttamente escluso che l’attività di consulenza svolta dal
B in favore del ricorrente fosse riconducibile alla figura del promotore finanziario , che è
la persona fisica che, ai sensi dell’art. 5 della legge n. 1 del 1991, esercita
professionalmente l’offerta fuori sede come dipendente, agente o mandatario, con
attività svolta esclusivamente nell’interesse di un solo soggetto e previa iscrizione
nell’apposito albo e sottoposizione ai controlli previsti.
Che poi questi svolgesse attività di promotore finanziario per la Merchant Union non è
stato neppure sostenuto dal ricorrente, che non ha neppure evocato in giudizio la

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dell’art. 1 della legge n. 1 del 1991 con riferimento alla statuizione per cui il Barbisan non

predetta società perché fallita da tempo al momento dell’inizio della causa, e comunque
tale qualità sarebbe incompatibile con la sua qualità di socio della stessa.
A ciò si aggiunga che l’operazione di cui si discute ( in cui il Rossi è divenuto socio di
una cooperativa ed ha erogato due finanziamenti in favore di questa) non è neppure
riconducibile alle operazioni in valori mobiliari regolate dalla legge n. 1 del 1991 — che
consistono in acquisti di azioni, obbligazioni, titoli del debito pubblico.

(unico soggetto per conto del quale il Barbisan abbia svolto l’attività di promotore
finanziario), né che il Barbisan avesse cessato ogni rapporto con Banca Fideuram da
prima dell’affare Merchant Union, circostanza della quale erano stati avvisati tutti i
clienti ed il Rossi in particolare, e che l’affare Merchant Union non avesse nulla a che
fare con le attività di Banca Fideuram
Con il terzo motivo di ricorso, il Rossi si duole della motivazione carente e petitoria in
relazione alla erroneità del ragionamento presuntivo eseguito dal giudice di primo grado
per ritenere l’intervenuta stipula di un contratto di consulenza finanziaria tra le parti.
Il ricorrente sostiene che chi di fatto esercita attività di intermediazione finanziaria senza
essere a ciò autorizzato, e senza che ci sia un preciso contratto con il risparmiatore
risponde per il semplice contatto sociale. Il richiamo al contatto sociale non può essere
preso in considerazione in primo luogo perché non è stato dedotto in precedenza, in
secondo luogo perché non è pertinente. Il riferimento alla rilevanza del contatto sociale
è stato utilizzato, anche dalla giurisprudenza di questa Corte, per far ritenere che sia
sorto un rapporto diretto ( al quale si applicano le regole sulla responsabilità
contrattuale) tra il fruitore di una prestazione che si rivolge ad una struttura ed il
soggetto incardinato nella struttura che ha erogato la prestazione senza aver un
precedente rapporto di fiducia con il cliente, mentre nel caso di specie manca il
presupposto a monte, atteso che non è più in discussione che non esista una
responsabilità di banca Fideuram non essendo più all’epoca dei fatti il Barbisan suo
promotore finanziario e non è stato mai neppure ipotizzato che sussista una
responsabilità della Merchant Union, da tempo fallita.

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Non è inoltre più in discussione il difetto di legittimazione passiva di Banca Fideuram

La censura sul vizio di motivazione sul punto indicato è comunque irrilevante, in quanto
la corte afferma che non è provata la conclusione di un contratto di consulenza
finanziaria ma in ogni caso esclude, tramite un accertamento in concreto delle
circostanze di fatto che una responsabilità contrattuale sia in concreto ravvisabile, non
individuando alcun difetto di diligenza o di correttezza nel comportamento tenuto dal B
( il quale ha consigliato al Rossi un investimento che lui per primo aveva compiuto,

si è reso conto che l’investimento era andato male e che non si recuperava neppure in
parte il capitale versato, ha prestato al Rossi il denaro necessario per pagare il mutuo,
pretendendone solo la restituzione , alla quale il Rossi non intendeva provvedere, e solo
a distanza di anni).Sotto questo profilo, si tratta di valutazione di merito compiutamente
motivata non censurabile in questa sede.
Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 1218 e 2697 c.c. da
parte della sentenza impugnata, laddove essa ha affermato la mancata prova da parte del
Rossi dell’inadempimento colposo del B. nell’avergli prospettato una operazione
finanziaria inadeguata rispetto al suo profilo di investitore, ex art. 360, primo comma n. 1
c.p.c. Il ricorrente evidenzia che, allegato l’inadempimento da parte del cliente Rossi,
gravasse sul Barbisan l’onere di provare che il suo comportamento fosse stato in tutto
corretto e che l’investimento non avesse prodotto gli esiti sperati per ragioni
indipendenti dalla sua volontà e esulanti dalla prevedibilità.
Il motivo va rigettato avendo la corte d’appello fatto corretto uso delle regole sulla
ripartizione dell’onere probatorio in materia di inadempimento contrattuale all’interno di
un rapporto che, laddove riconducibile all’area contrattuale, sarebbe di prestazione
professionale. Anche se tra le parti fosse stato concluso un contratto di consulenza
finanziaria – circostanza della quale la corte territoriale non ha certezza – il contenuto
delle obbligazioni a carico del Barbisan come professionista non consisterebbe in ogni
caso nel far conseguire al cliente il buon risultato dell’affare consigliato, ma nell’aver
fornito una corretta informazione idonea a mettere il cliente in condizioni di scegliere in
modo consapevole e nell’aver consigliato un investimento che non fosse estraneo al

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divenendo socio di una cooperativa che aveva dei bilanci certificati positivi, e quando ha

profilo di rischio del cliente, nonché nel non aver alterato od omesso i dati a sua
conoscenza.
L’onere probatorio di aver adempiuto alla sua obbligazione grava quindi sul
professionista ma si attaglia al contenuto della sua responsabilità, ovvero non può farsi
un salto logico, come propone in definitiva il ricorrente e desumere dal fatto che
l’investimento sia stato indubbiamente consigliato dal Barbisan e che abbia avuto esito

di conseguenza tenuto a reintegrare il cliente della intera perdita patrimoniale subita in
quanto il consulente finanziario non risponde di per sé verso il cliente del buon esito
dell’affare.
Il danno che sicuramente il Rossi ha subito, consistente nella perdita del capitale
investito, è immediatamente imputabile al comportamento della Merchant Union s.c. a
r.l. che non ha restituito il prestito e solo a determinate condizioni, che la corte
d’appello ha ritenuto non configurabili nel caso di specie con motivazione esente da vizi
e con corretta applicazione delle regole, poteva essere chiamato a risponderne in tutto o
in parte chi aveva consigliato di compiere un investimento rivelatosi sbagliato.
Con il quinto motivo, il ricorrente ritiene erronea ad inadeguata la motivazione laddove
lo ha qualificato persona non sprovveduta ed ha ritenuto l’operazione adeguata al suo
profilo di rischio attesa l’apparente sicurezza della stessa.
Il motivo è infondato, la motivazione sul punto è completa e coerente, perché dalla
sentenza emerge che non fosse prevedibile, al momento in cui venne consigliato il primo
investimento ( che lo stesso Barbisan aveva posto in essere per primo), che esso avrebbe
avuto esito negativo, anche perché vi erano bilanci positivi e certificati; quanto al
secondo investimento, la corte dice che esso sfuggì ad ogni controllo del Barbisan, che
in relazione ad esso non svolse alcuna attività di intermediazione, perché il Rossi, socio
della cooperativa, decise autonomamente di sottoscrivere un nuovo prestito e poi l’anno
successivo, quando la società non fu in grado di restituirlo alla scadenza, si trovò a sua
volta nell’impossibilità di pagare il mutuo non avendo ricevuto indietro il capitale
prestato.

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rovinoso, con perdita integrale del capitale versato, che il consulente sia in colpa e che sia

Con il sesto motivo il ricorrente denuncia la contraddittorietà della motivazione in
riferimento all’affermazione contenuta nella sentenza per cui il secondo investimento
non fosse stato consigliato dal Barbisan. Egli sostiene che la corte non avrebbe tenuto
conto del fatto che il Barbisan stesso abbia riconosciuto, in sede di interrogatorio
formale, che entrambi gli investimenti vennero effettuati dal Rossi su sua precisa
indicazione.
Con il settimo motivo, il ricorrente denuncia la contraddittorietà della motivazione con
riferimento alla affermazione per cui, in riferimento al primo investimento, il Rossi non
avrebbe provato né di essersi attivato per ottenerne la restituzione né che gliene fosse
derivato un danno.
Con l’ottavo motivo, il ricorrente denuncia la nullità della sentenza per error in procedendo
con riferimento all’art. 112 c.p.c. in riferimento ai punti della sentenza in cui si
affermava, quanto al primo investimento, che il Rossi non avrebbe provato né di essersi
attivato per ottenerne la restituzione né che gliene fosse derivato un danno e, quanto al
secondo invesfimento,che lo stesso non fosse stato consigliato dal Barbisan. Sostiene
infatti che, non essendo queste circostanze state eccepite dal B., la corte non avrebbe
potuto prenderle in considerazione in tal modo precludendo al Rossi di articolare la sue
difese su quei punti.
Sesto, settimo e ottavo motivo possono essere esaminati insieme e devono essere

rigettati, perché censurano profili della motivazione che non sono decisivi ai fini della
decisione.
Infine, con il nono ed ultimo motivo, il Rossi denuncia la nullità della sentenza per error

in procedendo in riferimento all’art. 116 c.p.c. con riguardo alla cattiva gestione delle prove
per la mancata valutazione dell’interrogatorio formale del convenuto e del documento n.
14 contenuto nel fascicolo di primo grado dell’opponente, dai quali entrambi
emergerebbe la prova ad avviso del ricorrente che anche il secondo investimento
sarebbe stato effettuato su indicazione del Barbisan, con dignità di confessione giudiziale
per le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio formale.
Anche questo motivo è infondato perché il giudice non è tenuto, nel contesto della
motivazione, a dar conto di ogni singola risultanza processuale ma può selezionare quelle
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che ritiene rilevanti ed idonee a supportare una motivazione coerente della soluzione che
ritiene più convincente sulla base delle risultanze istruttorie.
La corte d’appello, in estrema sintesi, ha ritenuto che il B non ha operato nella fattispecie
come intermediario di Banca Fideuram né come promotore finanziario;che il primo
investimento è stato sicuramente consigliato dal B.; che non vi è certezza che il consiglio

di un consiglio estemporaneo tra due persone che si conoscevano e della quale l’una (il
Rossi) aveva già avuto modo di apprezzare le competenze professionali dell’altra (il
Barbisan); che in ogni caso, anche se si volesse inquadrare il consiglio dato dal Barbisan
al Rossi nell’ambito della consulenza professionale, non è ravvisabile nessun profilo di
colpa in capo al Barbisan per aver proposto al Rossi l’operazione finanziaria intrapresa
da entrambi con esito fallimentare. Ne consegue che, non avendo ritenuto la corte
d’appello ascrivibile alcuna responsabilità professionale al Barbisan, con motivazione
esente da vizi, il fatto che il secondo investimento sia stato o meno consigliato dal B.
perdeva rilievo nell’economia e nella logica della motivazione.
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come al dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Pone a carico del ricorrente le spese di giudizio sostenute dal
controricorrente e le liquida in complessivi euro 4.000,00 di cui 200,00 per spese, oltre
accessori e contributo spese generali.
Così deciso nella camera di consiglio della Corte di cassazione il 9 gennaio 2015

Il Consigliere estensore

Il esidente

del Barbisan sia da qualificare nell’ambito di una consulenza professionale piuttosto che

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