Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10255 del 19/04/2021

Cassazione civile sez. I, 19/04/2021, (ud. 19/11/2020, dep. 19/04/2021), n.10255

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23547/2016 proposto da:

S.C., C.A.M., elettivamente domiciliati in Roma,

Corso Trieste n. 87, presso lo studio dell’avvocato Antonucci

Arturo, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

Vassalle Roberto, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

Intesa Sanpaolo S.p.a., derivante dalla fusione di Sanpaolo Imi spa e

di Banca Intesa spa, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via di Villa Grazioli n.

15, presso lo studio dell’avvocato Gargani Benedetto, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Ferrari Lucilla,

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 833/2016 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 15/09/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/11/2020 dal cons. Dott. FALABELLA MASSIMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – S.C. e C.A.M. convenivano in giudizio Intesa Sanpaolo s.p.a. domandando che fosse dichiarato nullo l’ordine di acquisto di obbligazioni (OMISSIS) da loro posto in essere il 26 gennaio 2000, con condanna della banca convenuta alla restituzione della somma di Euro 25.923,55, pari alla somma investita, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria; in via subordinata chiedevano che fosse accertata la responsabilità per inadempimento della banca e che fosse risolto il contratto di intermediazione finanziaria relativamente a quell’ordine di acquisto, con condanna della banca alla restituzione del nominato importo, sempre maggiorato di interessi e rivalutazione. In via ulteriormente gradata domandavano la condanna di controparte al risarcimento del danno nella predetta misura.

Nella resistenza di Intesa Sanpaolo il Tribunale di Mantova respingeva la domanda.

2. – Gli attori soccombenti proponevano un gravame che la Corte di appello di Brescia rigettava sulla base di diverse considerazioni. Si riassumono, per una immediata migliore comprensione dell’oggetto delle doglianze formulate nel ricorso per cassazione, quelle su cui verte l’impugnazione odierna (salvo tornare in seguito sull’argomento in maniera più dettagliata). Il giudice dell’impugnazione anzitutto rilevava, per quanto qui interessa, come fosse stata rappresentata al cliente la rischiosità del titolo e l’adozione, da parte della banca, delle cautele necessarie per soddisfare l’interesse del cliente quanto al compimento di un investimento consapevole; precisava che la banca non aveva mai garantito il rimborso dei titoli e che, comunque, nell’anno 2000 gli intermediari non disponevano di dati dai quali desumere una rischiosità del prodotto finanziario di portata superiore rispetto a quella che poteva assegnarsi alle obbligazioni emesse da un paese emergente; osservava che in forza della disciplina legislativa vigente, non era necessaria la redazione per iscritto delle ragioni dell’inadeguatezza dell’operazione finanziaria: inadeguatezza che era stata invece oggetto di segnalazione nel modulo sottoscritto dal cliente; aggiungeva, che, in ogni caso, competeva all’investitore fornire la prova del nesso di causalità tra l’inadempimento dell’intermediario e il danno sofferto; negava, infine, che la banca fosse tenuta all’adempimento di obblighi informativi nel periodo successivo all’acquisto dei titoli.

3. – Avverso la sentenza della Corte di appello di Brescia, pronunciata il 15 settembre 2016, S. e C. propongono un ricorso per cassazione fondato su cinque motivi e illustrato da memoria. Resiste con controricorso Intesa Sanpaolo.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21 e art. 26, comma 1, lett. e), nonchè dell’art. 28, comma 2 reg. Consob. n. 11522/1998. Gli istanti rilevano che all’intermediario competeva di acquisire piena conoscenza dello strumento finanziario trattato e delle notizie e avvertenze contenute nell’offering circular, unica ed essenziale fonte di informazione relativa all’emissione; osservano, inoltre, che aveva errato il giudice distrettuale ad attribuire rilievo al fatto che il titolo fosse stato emesso da paese emergente, giacchè tale elemento risultava essere non solo irrilevante, ma anche fuorviante, essendo nota l’esistenza di paesi emergenti con rating di massima affidabilità. In linea generale i ricorrenti lamentano l’incompletezza del quadro informativo loro fornito.

Il motivo non ha fondamento.

La sentenza impugnata fornisce puntuali indicazioni circa l’attività informativa svolta dall’intermediario: emerge da essa che l’investitore era stato edotto della particolare rischiosità del titolo, e ciò con riguardo a tre profili che dovevano rivelarsi decisivi per la comprensione delle reali implicazioni dell’operazione finanziaria: il funzionario della banca aveva infatti riferito al cliente la possibile difficoltà nei pagamenti da parte dell’emittente (pag. 17), illustrato allo stesso S. che il maggior rendimento del prodotto finanziario era legato al più alto grado di rischiosità del medesimo (pag. 19) e spiegato che l’operazione era inadeguata, nel senso che era più rischiosa della media delle operazioni di investimento che l’odierno ricorrente aveva fino ad allora posto in atto (ancora pag. 17).

E’ escluso che, conferendo rilievo alle richiamate evenienze, la Corte di appello sia incorsa nel denunciato vizio di violazione di legge.

Come appena ricordato, nella circostanza l’intermediario segnalò l’inadeguatezza dell’operazione di investimento al cliente; questi, poi, decise di darvi egualmente corso, imbattendosi, l’anno successivo, nella perdita di valore dei titoli (derivante, nella specie, dal noto default della (OMISSIS)).

In un caso siffatto, l’obbligo, da parte dell’intermediario, di fornire all’investitore “informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o disinvestimento” (art. 28, comma 2 reg. Consob n. 11522/1998) va coordinato con quello di informare, in caso di operazione inadeguata, “delle ragioni per cui non è opportuno procedere alla sua esecuzione” (art. 29, comma 3 reg. cit.). E’ da ritenere, infatti, che ove l’operazione venga reputata inadeguata dall’intermediario e l’investitore lamenti il danno occorso per l’acquisto dei titoli, risulti centrale il dato della rappresentazione, all’investitore stesso, di quegli elementi che, nel più ampio quadro del generale obbligo informativo previsto dall’art. 28, comma 2, fossero idonei a dar conto della sconvenienza dell’operazione o del servizio di investimento.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in mancanza di indicazione, nel modulo d’ordine, del contenuto delle informazioni omesse, la sottoscrizione da parte del cliente della segnalazione di inadeguatezza non incide sul riparto del relativo onere di allegazione e prova, nè tantomeno costituisce prova dell’adempimento, da parte dell’intermediario, dell’obbligo informativo posto a suo carico, ma fa soltanto presumere che l’obbligo sia stato assolto, sicchè, ove il cliente alleghi quali specifiche informazioni siano state omesse, grava sull’intermediario l’onere di provare, con ogni mezzo, che invece quelle informazioni siano state specificamente rese, ovvero non fossero dovute (Cass. 24 aprile 2018, n. 10111; nel medesimo senso, Cass. 6 giugno 2016, n. 11578).

Ove tuttavia risulti accertato, come nel caso in esame, che siano state fornite specifiche informazioni atte a sconsigliare l’operazione, l’investitore, ove intenda lamentare, in sede di legittimità, l’incompletezza dell’attività informativa con riferimento a ulteriori circostanze, confermative dell’inadeguatezza dell’investimento, dovrà o denunciare la radicale anomalia motivazionale del provvedimento impugnato che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante – nelle diverse espressioni che tale vizio può assumere (“mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, “motivazione apparente”, “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”: Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054) -, oppure dedurre l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5. In quest’ultimo caso l’investitore stesso, oltre a dover precisare il “dato”, testuale o extratestuale, da cui le dette informazioni risultino esistenti, il “come” e il “quando” esse siano state oggetto di discussione processuale tra le parti, avrà l’onere di conto della loro decisività (cfr. sentenze da ultimo citate); egli, in particolare, potrà dolersi dell’incompletezza informativa solo ove dia conto della decisività che assumevano le indicazioni non date sul piano della formulazione del giudizio circa l’inadeguatezza dell’investimento: solo ove spieghi, cioè, per quale ragione i dati forniti erano insufficienti a persuadere dell’inopportunità di procedere all’operazione, mentre quelli taciuti risultavano necessari al medesimo fine.

Ciò detto, nel caso in esame i ricorrenti non hanno formulato censure nel senso indicato. Essi si sono limitati a denunciare genericamente l’incompletezza delle informazioni rese senza misurarsi con quanto osservato dalla Corte di appello circa l’esaustività dei ragguagli forniti dall’intermediario. L’unico rilievo dotato di una qualche specificità, a tale riguardo, inerisce all’asserita non conclusività del fatto che il titolo fosse stato emesso da un “paese emergente”; ma, gli istanti mostrano, sul punto, di non misurarsi col tenore complessivo della decisione impugnata: questa, infatti, oltre a conferire rilievo ad altre circostanze, svolge, con specifico riferimento al tema in esame, ben altre considerazioni. Si legge infatti nella pronuncia della Corte di Brescia che, all’epoca dell’acquisto, “le banche non disponevano di dati particolari dai quali desumere la rischiosità del titolo di portata superiore a quella che si può assegnare alle obbligazioni emesse da un paese emergente” (pag. 15): affermazione – quest’ultima – in cui non si rinviene affatto la formulazione di un giudizio di inadeguatezza fondato sulla provenienza del prodotto finanziario da uno Stato emittente rientrante nella detta categoria.

2. – Con il secondo motivo è lamentata la violazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21 e dell’art. 29 reg. Consob. n. 11522/1998 in relazione all’inadeguatezza dell’operazione. Reputano gli istanti essere inammissibile che l’avvertenza di inadeguatezza, sulla quale l’attenzione del cliente doveva essere richiamata, potesse essere affidata a una “x”, apposta sul modulo d’ordine, al di fuori degli spazi predisposti, senza che fosse possibile stabilire se tale segno integrasse una avvertenza e quale ne fosse il contenuto. Osservano, inoltre, che l’informativa sulla natura, i rischi e le implicazioni dell’investimento era del tutto generica e che la pronuncia impugnata aveva impropriamente negato che l’indicazione di inadeguatezza dovesse contenere specifica indicazione delle singole ragioni che l’avevano determinata.

Il motivo non merita accoglimento.

Sfugge al sindacato di legittimità, incentrato sulla violazione delle norme sopra richiamate, l’accertamento, in fatto, della segnalazione di inadeguatezza sul modulo d’ordine: segnalazione che la Corte di merito rimarca, del resto, trovare pieno riscontro in quanto dichiarato a voce dal funzionario della banca a S. (cfr. pag. 16 della sentenza impugnata).

Errano, poi, i ricorrenti, nel sostenere che le ragioni di inadeguatezza dell’operazione dovessero essere trascritte sul predetto modulo, giacchè secondo la giurisprudenza di questa Corte, la segnalazione di inadeguatezza contemplata dal cit. art. 29, comma 3, laddove si riferisce ad “esplicito riferimento alle avvertenze ricevute”, non richiede l’indicazione del contenuto delle informazioni al riguardo somministrate dall’intermediario (Cass. 24 aprile 2018, n. 10111 cit.; nel medesimo senso, Cass. 6 giugno 2016, n. 11578 cit.).

3. – Il terzo mezzo oppone la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, n. 4, c.p.c., nonchè per violazione dell’art. 115 c.p.c. e la violazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23. La censura investe l’affermazione della Corte di merito per cui l’investitore deve fornire la prova del danno e del nesso di causalità tra questo e l’inadempimento. Si deduce che la statuizione resa risultava essere incomprensibile avendo riguardo alla circostanza per cui gli appellanti avevano evidenziato di aver acquistato le obbligazioni (OMISSIS) e di essere rimasti coinvolti nel notorio default, e quindi pregiudicati dalla sopravvenuta insolvenza dell’emittente. E’ altresì dedotto che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di appello, il nesso di causalità tra il danno e l’inadempimento degli obblighi informativi deve essere sempre presunto.

Il motivo è inammissibile.

Quanto rilevato dalla Corte di appello in ordine all’assenza di prova del nesso di causa tra inadempimento e danno inerisce, come è evidente a una ratio decidendi aggiuntiva rispetto a quella basata sulla completezza del quadro informativo quanto ai rischi, alle implicazioni e all’adeguatezza dell’operazione finanziaria. Ora, se la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, il mancato accoglimento delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa. Il motivo, dunque, risulta inammissibile per difetto di interesse (per tutte: Cass. 18 aprile 2017, n. 9752; Cass. 14 febbraio 2012, n. 2108).

4. – Il quarto motivo denuncia la falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. e la violazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21, u.c., in relazione alla possibilità dell’intermediario di negoziare con i terzi “in nome proprio per conto del cliente”. Viene dedotto che la Corte di appello avrebbe erroneamente ritenuto nuova la censura con cui gli odierni ricorrenti avevano lamentato che l’intermediario potesse acquistare il titolo “in nome proprio e per conto del cliente” senza espressa autorizzazione scritta del medesimo e che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice dell’impugnazione, tale autorizzazione non fosse stata rilasciata.

Il motivo è inammissibile.

Esso è carente di autosufficienza, in quanto i ricorrenti non chiariscono come quanto è stato affermato in primo grado con riguardo al tema sopra indicato (pagg. 26 s. del ricorso) si correlasse alle domande svolte (le quali, è bene ricordare, avevano ad oggetto, in via gradata, la nullità dell’ordine di acquisto, la sua risoluzione e il risarcimento del danno). Non risultano cioè riprodotti dati testuali della citazione in primo grado da cui possa desumersi che i ricorrenti avessero puntualmente fatto valere l’assenza di autorizzazione quale autonomo profilo di inadempimento atto a giustificare le statuizioni risolutoria e risarcitoria. Va qui ricordato che la deduzione con il ricorso per cassazione di errores in procedendo implica che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” (Cass. Sez. U. 25 luglio 2019, n. 20181).

L’ulteriore doglianza incentrata sulle evidenze tratte dal modulo recante il conferimento dell’incarico di negoziazione attiene a una motivazione ad abundantiam (come tale non censurabile: Cass. 22 ottobre 2014, n. 22380; Cass. 5 giugno 2007, n. 13068): essa, del resto, ove pure fosse suscettibile di esame, si risolverebbe in una non consentita censura vertente su di un accertamento di fatto.

5. – Con il quinto motivo gli istanti censurano la sentenza impugnata per violazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, artt. 21 e 23, artt. 1337,1338,1374,1375 e 1175 c.c.. Viene dedotto che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di merito, la banca, quale custode ed amministratrice dei titoli, era tenuta ad informare gli investitori dei gravi reiterati declassamenti dei rating verificatisi nella seconda metà del 2001.

Il motivo non è fondato.

In tema di intermediazione mobiliare, gli obblighi informativi gravanti sull’intermediario ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21, comma 1, lett. b), sono finalizzati a consentire al cliente di effettuare investimenti pienamente consapevoli, sicchè tali obblighi, al di fuori dei contratti di gestione e di consulenza, devono essere adempiuti in vista dell’operazione da compiere e si esauriscono con essa (Cass. 27 agosto 2020, n. 17949; Cass. 24 aprile 2018, n. 10112; in tema cfr. pure: Cass. 2 luglio 2017, n. 16318, secondo cui deve escludersi che l’intermediario nella compravendita di valori mobiliari, quando abbia stipulato con il cliente solo un contratto di deposito titoli in custodia ed amministrazione, abbia un obbligo di informazione, proprio del contratto di gestione del portafoglio, relativo all’aggravamento del rischio dell’investimento già effettuato; Cass. 22 febbraio 2017, n. 4602, secondo cui il conferimento di un mero ordine di acquisito di titoli non obbliga la banca a fornire al cliente informazioni successive alla concreta erogazione del servizio).

6. – In conclusione, il ricorso è respinto.

7. – Le spese di giudizio seguono la soccombenza.

PQM

LA CORTE

rigetta il ricorso; condanna i due ricorrenti al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge per ciascuna delle impugnazioni proposte; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 19 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 aprile 2021

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