Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10254 del 19/04/2021

Cassazione civile sez. I, 19/04/2021, (ud. 19/11/2020, dep. 19/04/2021), n.10254

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22964/2016 proposto da:

M.M., M.S., elettivamente domiciliati in Roma, Via

Bisagno n. 14, presso lo studio dell’avvocato Tagliaferri Riccardo,

che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato Zanchi Duccio,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

Laura Mantegazza n. 24, presso lo studio del Dott. Gardin Marco,

rappresentata e difesa dall’avvocato Fatano Raffaele, giusta procura

in calce al controricorso;

– controricorrente –

nonchè contro

L.D.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 306/2016 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, del

01/03/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/11/2020 dal cons. Dott. FALABELLA MASSIMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – M. e M.S. convenivano innanzi al Tribunale di Pistoia il promotore finanziario Danilo L. e la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. per sentirli condannare in solido al risarcimento dei danni corrispondenti agli importi a questo erogati per operazioni di investimento mobiliare ammontanti a complessivi Euro 609.000,00: importi che non erano stati mai restituiti agli istanti.

Nella resistenza della sola banca, il Tribunale respingeva la domanda, ritenendo non assolto l’onere probatorio gravante sull’attore quanto all’esecuzione dei versamenti.

2. – L’appello proposto dagli attori era accolto parzialmente: la Corte di appello di Firenze, infatti, condannava il solo L. al risarcimento dei danni cagionati agli attori nella indicata misura di Euro 609.000,00. Respingeva, di contro, la domanda spiegata nei confronti della banca intermediaria; la Corte dava in proposito atto del complessivo quadro processuale, contrassegnato dall’assenza di resoconti degli investimenti pregressi, dalla mancata documentazione afferente il trasferimento dei fondi, della non plausibilità della circostanza per cui accreditamenti di cospicua entità, pari a Euro 506.000,00, fossero stati fatti per contanti e – infine – della mancata annotazione, negli estratti conto, delle ulteriori rimesse che sarebbero state effettuate a mezzo di assegni; rilevava che le dichiarazioni confessorie del promotore finanziario rese in sede di interrogatorio formale avanti al giudice di primo grado presentavano valore solo indiziario e che difettava, nel complesso” alcun serio elemento di riscontro, opponibile alla banca, in ordine alla materialità del fatto illecito che si affermava produttivo del danno. La stessa Corte escludeva, da ultimo, con riguardo al rapporto tra gli attori e il promotore, che competesse il risarcimento del danno non patrimoniale: rilevava, al riguardo, che non era stata formulata domanda di ristoro del danno morale e che non erano stati delineati i requisiti di un ipotetico danno esistenziale derivante dalla lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione.

3. – La sentenza della Corte toscana è stata impugnata da M. e da M.S. con un ricorso fondato su tre motivi. Resiste con controricorso la Banca Monte dei Paschi di Siena. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo oppone l’omessa valutazione circa un fatto decisivo della controversia e la violazione e falsa applicazione dell’art. 346 c.p.c.. Assume parte ricorrente che la sentenza impugnata sarebbe meritevole di cassazione, avendo la Corte di merito omesso di “accertare la palese erroneità e incongruità della decisione, assunta dal giudice di primo grado, di escludere l’efficacia probatoria di alcune prove documentali prodotte dei ricorrenti nel giudizio di primo grado”.

Il motivo è inammissibile.

In base a quanto è dato di intendere, i ricorrenti lamentano che per effetto della mancata ammissione delle istanze istruttorie formulate in primo grado (che pare fossero dirette all’escussione testimoniale e all’esibizione: pag. 8 del ricorso), l’assunto dell’assenza di prova circa le rimesse effettuate dai medesimi, fatta propria dai giudici di merito, sarebbe risultato irragionevole; a fronte dell’acquisizione probatoria cui erano preordinate le istanze, la documentazione prodotta sarebbe risultata in conseguenza idonea a comprovare le dazioni di somme intercorse tra essi istanti e il promotore finanziario (cfr. ricorso, pag. 15).

Sennonchè la censura è anzitutto carente di autosufficienza, in quanto non riproduce il preciso contenuto delle istanze di prova di cui si dibatte (in tema di prova testimoniale, nel senso dell’esistenza, in capo al ricorrente per cassazione, dell’onere di indicare specificamente le circostanze che formavano oggetto della prova: Cass. Sez. U. 22 dicembre 2011, n. 28336; in materia di esibizione, cfr. Cass. 17 novembre 2009, n. 24221, ove si sottolinea la necessità di dar conto che detta istanza avrebbe potuto avere rilievo decisivo ai fini della soluzione di un punto parimenti decisivo della controversia: il che implica, all’evidenza, che al giudice di legittimità debba rappresentarsi il preciso contenuto del documento o dei documenti di cui era stata domandata l’acquisizione).

I ricorrenti non spiegano poi, con la necessaria precisione, la ragione per cui sarebbero stati esonerati dal censurare, con l’appello, la pronuncia di rigetto delle istanze istruttorie articolate in primo grado (istanze che la Corte di merito rileva non furono riproposte all’udienza di precisazione delle conclusioni avanti al Tribunale e nemmeno nel giudizio di gravame). Infatti, il tema relativo alla legittimità di una istanza istruttoria non ammessa in primo grado va introdotto, in appello, dalla parte soccombente, attraverso una specifica censura (Cass. 26 gennaio 2006, n. 1691; Cass. 22 luglio 2005, n. 15393) ed è stato precisato, di recente, che ove il giudice di primo grado abbia rigettato l’ammissione di una deduzione istruttoria, ritenendola irrilevante (in quanto, nella specie, attinente ad un fatto incontroverso), l’appellante ha l’onere di censurare la statuizione di rigetto dell’istanza istruttoria con uno specifico motivo di gravame, non essendo sufficiente che egli impugni la sentenza, lamentando l’omessa pronuncia su domande e l’errata valutazione del materiale probatorio da parte del primo giudice, perchè quello d’appello debba necessariamente compiere un nuovo apprezzamento discrezionale della complessiva rilevanza delle richieste istruttorie disattese in primo grado (Cass. 2 gennaio 2018, n. 1532).

2. – Il secondo mezzo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2049 c.c. e del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 31 nonchè la violazione e falsa applicazione dell’art. 1227 c.c.. La sentenza impugnata è censurata “nella parte in cui ha ritenuto insussistenti elementi di prova a supporto delle pretese avanzate dei ricorrenti nei confronti della Banca Monte dei Paschi di Siena”. I ricorrenti si dolgono, in particolare, dell’esclusione della responsabilità della banca e invocano, in proposito, il disposto dell’art. 31, comma 3 t.u.f. (D.Lgs. n. 58 del 1998) giacchè tale disposizione – è detto – configura a carico degli intermediari “una responsabilità di natura oggettiva nei confronti del cliente danneggiato dal promotore preposto”.

Il motivo è infondato.

L’interrogatorio formale reso in un processo con pluralità di parti, essendo volto a provocare la confessione giudiziale di fatti sfavorevoli alla parte confitente e favorevoli al soggetto che si trova, rispetto ad essa, in posizione antitetica e contrastante, non può essere deferito, su un punto dibattuto in quello stesso processo, tra il soggetto deferente ed un terzo diverso dall’interrogando, non avendo valore confessorio le risposte, eventualmente affermative, fornite dell’interrogato: per vero, la confessione giudiziale produce effetti nei confronti della parte che la fa e della parte che la provoca, ma non può acquisire il valore di prova legale nei confronti di persone diverse dal confitente, in quanto costui non ha alcun potere di disposizione relativamente a situazioni giuridiche facenti capo ad altri, distinti soggetti del rapporto processuale e, se anche il giudice ha il potere di apprezzare liberamente la dichiarazione e trarne elementi indiziari di giudizio nei confronti delle altre parti, tali elementi non possono prevalere rispetto alle risultanze di prove dirette (Cass. 12 ottobre 2015, n. 20476; Cass. 24 febbraio 2011, n. 4486).

Ebbene, la Corte di merito non ha omesso di apprezzare la valenza indiziaria della confessione resa dal promotore finanziario, ma, conformemente al principio testè richiamato, ha sottolineato come tale elemento non potesse ritenersi decisivo a fronte delle risultanze di causa, che non davano alcuna evidenza dei trasferimenti di denaro di cui avrebbe beneficiato il promotore finanziario. E’, poi, appena il caso di rammentare che la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involge apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto a un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (così, da ultimo, Cass. 4 luglio 2017, n. 16467) e dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. 31 luglio 2017, n. 19011; Cass. 2 agosto 2016, n. 16056; Cass. 21 luglio 2010, n. 17097). Del resto, la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa: ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti (Cass. 6 marzo 2019, n. 6519; Cass. 28 novembre 2014, n. 25332): in tal senso, gli istanti non possono, in questa sede, opporre la valenza probatoria di documenti acquisiti al giudizio (come, da ultimo, in memoria: pag. 8).

Quanto rilevato dalla Corte di merito in ordine al mancato raggiungimento della prova della “materialità del fatto illecito” (sentenza, pag. 4) è evidentemente assorbente rispetto alle ulteriori questioni in punto di responsabilità della banca intermediaria che i ricorrenti pongono col secondo mezzo di censura: segnatamente a quella dell’esistenza o meno del nesso di occasionalità necessaria.

3. – Col terzo motivo è lamentata la violazione e falsa applicazione dell’art. 2059 c.c.. Si deduce che la sentenza impugnata sarebbe erronea “nella parte in cui non ha riconosciuto il diritto dei ricorrenti ad essere risarciti del danno non patrimoniale patito, ritenendo che la domanda di risarcimento formulata fosse generica”.

Il motivo va disatteso.

La proposizione, contenuta nella sentenza di appello, secondo cui era mancata una domanda di risarcimento del danno morale dipendente da reato non è stata specificamente censurata.

Quanto all’ulteriore rilievo, espresso nella pronuncia, per il quale il danno derivante dalla lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione non era stato efficacemente delineato nei requisiti (e cioè nel sostrato fattuale di riferimento), esso appare ineccepibile. Infatti, la lesione di un diritto inviolabile non determina, neanche quando il fatto illecito integri gli estremi di un reato, la sussistenza di un danno non patrimoniale in re ipsa, essendo comunque necessario che la vittima abbia effettivamente patito un pregiudizio, il quale va allegato e provato, anche attraverso presunzioni semplici (Cass. 10 maggio 2018, n. 11269; Cass.21 giugno 2011, n. 13614). I ricorrenti nemmeno confutano, del resto, l’affermazione della Corte di appello circa l’assoluta genericità dei parametri che avrebbero dovuto sorreggere la domandata liquidazione equitativa del danno da essi lamentato.

4. – Il ricorso è respinto.

5. – Le spese seguono la soccombenza.

PQM

LA CORTE

rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 19 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 aprile 2021

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