Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10254 del 18/05/2016


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Civile Sent. Sez. L Num. 10254 Anno 2016
Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: MANNA ANTONIO

SENTENZA

Sul ricorso L9355-2013 proposto da:
LLLhAJ Trkni- NH C.E. OLHJEN70-5. 2 ;
domciliato ni ROMA, VIA PONZIO COMTNIO 05, presso lo
studio dell’avvocato ANDREA VANNI, rappresentato e
difeso

dall’avvocato ACHILLE

GENTILCORE,

giusta

delega in atti;
– ricorrente –

2016
951

contro

HOTEL CORPORATION OR EUROPE P.I. 008858760150, in
persona del legale rappresentante pro tempore,
domiciliato in ROMA, VIA VINCENZO BELLINI 24 (STUDIO

Data pubblicazione: 18/05/2016

DE BERT1S-JACCHIA), presso lo studio degli avvocati
AVID MARTA SANTORO e DAVIDE GIUSEPPE SPORTELLI, che
o rappresentano e difendono giusta delega in atti;
– controricorrentíl-

avverso la sentenza n. 62/2013 della CORTE D’APPELLO

udita la rela’:jone della causa svolta nella pubblica
udienza del 03/03/2216 dal Consigliere Dott. ANTONIO
MANNA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PAOLA MASTROBERARDINO, che ha concluso
per l’inammissibilità del ricorso.

di MILANO, depositata il 01/02/2013 r.g.n. 1314/2012;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza depositata il 1°.2.13 la Corte d’appello di Milano rigettava il
gravame contro la sentenza n. 1497/12 con cui il Tribunale ambrosiano aveva
respinto – per quel che rileva nella presente sede – l’impugnativa del
licenziamento disciplinare intimato il 26.5.06 dalla Hotel Corporation of Europe

due motivi.
Parte intimata resiste con controricorso.
Le parti depositano memoria ex art. 378 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1- Il primo motivo denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c.
sui poteri del giudice in ordine alla valutazione delle prove, per avere la Corte
territoriale acriticamente recepito il convincimento del Tribunale circa l’esistenza
di prova adeguata dell’addebito ascritto al lavoratore in base alla sola
deposizione della parte offesa (ossia del suo collega di lavoro Walter Sansà, già
in passato distintosi per comportamenti razzisti), contro cui il ricorrente
avrebbe proferito ingiurie e minacce; si obietta a riguardo in ricorso che tale
testimonianza di per sé non può bastare e che i giudici di merito hanno altresì
travisato il senso della deposizione, basata su mere congetture.
Il motivo è infondato.
Nessuna norma di legge (né nel c.p.c. e neppure nel c.p.p.) vieta che il
giudice possa maturare la propria decisione in base ad una sola testimonianza
(per altro, secondo quel che si legge nella gravata pronuncia, nel caso di specie
riscontrata anche dalla deposizione del teste Pirotta), purché ne dia congrua ed
esatta motivazione, atteso che l’antico brocardo unus testis nullus testis non si
concilia con il principio del prudente apprezzamento delle prove sancito dall’art.
116 co. 1° c.p.c., che impone al giudice di valutare le prove non
quantitativamente, ma qualitativamente, per dare prevalenza a quelle più
convincenti (cfr. Cass. n. 8122/2000; Cass. n. 133/74; Cass. n. 1669/72; Cass.
n. 1537/64; Cass. n. 746/64; Cass. n. 938/63).
Per il resto il motivo si dilunga nel sollecitare un diverso apprezzamento della
prova quanto ad attendibilità e significatività, operazione preclusa innanzi a
questa S.C. alla luce dell’art. 360 co. 1° n. 5 c.p.c. sia nel testo oggi vigente a
seguito della modifica apportata dall’art. 54 d.l. n. 83/2012, convertito in legge
7.8.2012 n. 134 (applicabile ratione temporis vista la data di deposito della
sentenza impugnata) sia alla stregua del testo previgente.
1

a Belhaj Yassine, che oggi ricorre per la cassazione della sentenza affidandosi a

\s.5,
RG.., . 19355/13
)

2- Con il secondo motivo ci si duole di vizio di motivazione, di errai- in
iudicando in relazione all’art. 2119 c.c. e di vizio di ultrapetizione ex art. 112
c.p.c., per avere la sentenza impugnata ravvisato una giusta causa di
licenziamento non tanto alla luce della presunta lite fra il ricorrente il suo

considerazione della condotta complessiva (e anche precedente) di Belhaj
Yassine, comprovata dalle anteriori sanzioni disciplinari irrogategli; in tal modo
– si sostiene in ricorso – la pronuncia gravata è incorsa in vizio di ultrapetizione
in quanto la società, nel confermare il licenziamento per grave compromissione
del rapporto fiduciario, ha dedotto che il pregresso quadro disciplinare fosse da
solo sufficiente a giustificare il recesso; inoltre, il ricorso chiede una rilettura dei
fatti secondo corretti canoni di valutazione.
Il motivo è infondato quanto al dedotto vizio di ultrapetizione, atteso che i
giudici di merito si sono attenuti al costante insegnamento di questa Corte
Suprema, secondo cui in tema di licenziamento disciplinare il giudice deve
valutare il fatto addebitato – per valutare l’esistenza di una giusta causa o di un
giustificato motivo soggettivo – alla luce delle sue connotazioni materiali e
soggettive e apprezzare il venir meno del rapporto fiduciario, connaturato ai
suddetti concetti, di guisa che gli stessi non possono essere separati o
parcellizzati (contrariamente a quanto sembra supporre parte ricorrente), a tal
fine considerando anche gli eventuali precedenti disciplinari del lavoratore.
Né l’affermazione aziendale – secondo cui il pregresso quadro disciplinare
sarebbe stato già da solo sufficiente a giustificare il recesso – può essere intesa
come volontà di limitare la domanda di accertamento della giusta causa
espungendo quella evincibile dalla lettera di contestazione disciplinare, che ha
costituito la materia del contendere in entrambi i gradi di merito.
In ordine, poi, alla sostanziale richiesta di rilettura nel merito delle risultanze
istruttorie, basti osservare che si tratta d’una operazione non consentita in sede
di legittimità alla stregua di quanto già ricordato nel paragrafo che precede.

3- In conclusione, il ricorso è da rigettarsi.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la
soccombenza.
P.Q.M.

La Corte

collega di lavoro, quanto in ragione del venir meno dell’elemento fiduciario in

n. 19355/13

rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare le spese del giudizio di
legittimità, liquidate in euro 3.100,00, di cui euro 3.000,00 per compensi
professionali ed euro 100,00 per esborsi, oltre al 15% di spese generali e agli
accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater d.P.R. n. 115/2002, come modificato dall’art. 1
co. 17 legge 24.12.2012 n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del co. 1 bis dello stesso
articolo 13.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 3.3.16.

R.

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