Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10252 del 18/05/2016


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Civile Sent. Sez. L Num. 10252 Anno 2016
Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: BRONZINI GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso 19210-2013 proposto da:
METRO ITALIA CASH AND CARRY S.P.A. C.E. 02827030962,
in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FILIPPO
CORRIDONI, 23, presso lo studio dell’avvocato GIULIO
CELEBRANO e ANDREA CELERRANO,
2016
947

che la rappresentano e

difendono amente agli avvocati MARINA BS1Pk
OLGIATI, STEFANTNO BERETTA, SALVATORE TRIFIRO’ giusta
delega in atti;
– ricorrente contro

Data pubblicazione: 18/05/2016

DI ROSA ELISABETTA C.E. DRSLBT70P57P205B, domiciliata
in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA
>00 CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato PAOLA fil NATALE, giusta delega in atti;
– controricorrente –

di MILANO, depositata il 12/02/201 r.g.n. 2570/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 03/03/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE
BRONZINI;
udito l’Avvocato CELEBRANO ANDREA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PAOLA MASTROBERARDINO, che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

avverso la sentenza n. 67/2013 della CORTE D’APPELLO

R.G. n. 19110/13
lenza 3.3.2016, causa n. 4
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Di Rosa Elisabetta impugnava avanti il Tribunale del lavoro di Milano il recesso intimato da
parte della datrice di lavoro Metro Italia Cash and Carry spa per superamento del periodo di
comporto; la convenuta contestava la fondatezza del ricorso. Il Tribunale dichiarava la

licenziamento vi era un prospetto che, però, conteggiava i giorni dal 15.2.2010 al 18.10.2010,
data in cui la lavoratrice aveva usufruito di aspettativa non retribuita; pertanto il calcolo era
errato in quanto non erano stati superati i giorni necessari sulla base del prospetto né
potevano considerarsi anche assenze pregresse non indicate e che non era possibile, per il
principio di immutabilità delle ragioni addotte per il recesso, considerare anche giorni di
assenza precedenti alla data indicata nel prospetto; irrilevante, infine, era che la lavoratrice
fosse stata a conoscenza del superamento del periodo di comporto come da missive mandate
alla società.
La Corte di appello di Milano con la sentenza impugnata rigettava l’appello della società. La
Corte osservava che non gravava sulla società l’obbligo di indicare le assenze in specifico nella
lettera di recesso, ma che era stato lo stesso datore di lavoro che l’aveva fatto per cui alla
luce de principio di immutabilità delle ragioni comunicate come motivo del licenziamento,
anche alla luce dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità, non potevano considerarsi
anche le assenze non indicate nel prospetto, dedotte solo in giudizio e diverse da quelle che lo
stesso datore di lavoro aveva ritenuto fondamento della risoluzione del contratto.
Per la cassazione di tale decisione propone ricorso la società con un motivo corredato da
memoria ; resiste controparte con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2110 c.c. e dell’art. 2 L. n, 604/66, nonché dell’art. 3
Costituzione. Il datore di lavoro non doveva documentare le assenze nella lettera di
contestazione. La lavoratrice era ben consapevole di avere superato il periodo di comporto
come da missive da lei stessa inviate alla datrice di lavoro per cui non vi era stata alcuna
lesione del principio di affidamento le criterio. Alla luce della soluzione adottata dai Giudici di
merito sussisteva una ingiustificabile ed irrazionale disparità di trattamento con chi non
comunica le assenze e chi le comunicava erroneamente.
Il motivi appare infondato avendo la sentenza gravata seguito l’orientamento della
giurisprudenza di legittimità che si condivide e cui si ritiene di dover dare continuità secondo il
quale: ” nel caso di licenziamento per superamento del periodo di comporto, il datore di

illegittimità del recesso rilevando che allegato alla lettera con cui era stato intimato il

lavoro, ove abbia contestato al lavoratore il superamento del periodo di comporto prolungato
ricaduta, non può poi modificare l’addebito, invocando il superamento di un diverso e
nore periodo di comporto legato all’ipotesi di comporto breve. Anche in tale ipotesi, infatti,
trova applicazione la regola dell’immodificabilità delle ragioni comunicate come motivo del
licenziamento, la quale, operando come fondamentale garanzia giuridica per il lavoratore, il
quale vedrebbe altrimenti frustrata la possibilità di contestare la risoluzione unilateralmente
attuata e la validità dell’atto di recesso, ha carattere generale, e vale quindi per tutti i casi di
assoggettamento del rapporto di lavoro a norme limitatrici del potere di recesso del datore di
lavoro, quali sono sia le norme della legge n. 604 del 1966 sia quella di cui all’art. 2110,
secondo comma, cod. civ.” ( Cass. n. 18283/2009; cfr. anche Cass. n. 6143/2005)
perfettamente applicabile al caso in esame. In altri termini il datore di lavoro non ha l’onere di
specificare dettagliatamente le giornate di assenza del dipendente ma se lo fa (come nel caso
in esame visto che egea nella lettera di recesso era stato allegato un prospetto indicante le
assenze effettuate) non può poi, solo in giudizio, riferirsi ad un periodo che lui stesso non ha
preso in alcuna considerazione al momento in cui ha ritenuto di disporre il licenziamento. E ciò
in base al fondamentale ed inderogabile principio dell’immutabilità delle ragioni comunicate
come legittimanti il recesso da tempo consolidato nella giurisprudenza di legittimità ed
architrave del sistema garantistico statutario in materia di licenziamenti per giusta causa, cui il
recesso per periodo di comporto va assimilato sotto il profilo qui in esame (come già ricordato
dai Giudici di merito). Non rileva che la lavoratrice fosse a conoscenza di avere superato il
periodo di comporto perché comunque sussiste la violazione del principio prima ricordato che
costituisce un limitiball’esercizio dei potere del datore di lavoro. Ancora non sussiste alcuna
violazione del principio di uguaglianza tra il datore di lavoro che comunica le date di assenza e
il datore che non le comunica posto che indubitabilmente non versano nella medesim a
situazione; peraltro la comunicazione specifica delle giornate di recesso può assolvere al ruolo
di scoraggiare verifiche giudiziarie, ma per questo deve essere correttamente esercitata sulla
base di una verifica puntuale e preventiva delle assenze che si ritengono pertinenti.
Si deve quindi rigettare il proposto ricorso. Le spese del giudizio di legittimità- liquidate come
al dispositivo- seguono la soccombenza.
La Corte ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis, dello
stesso articolo 13.

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./,

P.Q.M.
a Corte:
rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio
di legittimità che si liquidano in euro 4.100,00 di cui euro 4.000,00 per compensi
professionali oltre spese generali nella misura del 15% e agli accessori come per
legge.
La Corte ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il
ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.

Roma, così deciso nella camera di consiglio del 3.3.2016

LS-)

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